Gli occhi tristi di Kurt Cobain (1ma versione) – Giuseppe Iannozzi + Promo ”Angeli caduti” di Beppe Iannozzi (Cicorivolta edizioni)

Gli occhi tristi di Kurt Cobain

Giuseppe Iannozzi

Nota Bene: E’ questa la primissima versione del racconto, vecchia oramai di anni. La versione definitiva, allungata, riarrangiata, praticamente quasi in toto riscritta, è invece disponibile in Angeli caduti (Cicorivolta edizioni) di Beppe Iannozzi.

Kurt Cobain

Kurt Cobain


angeli_caduti_giuseppe-iannozziAngeli caduti
Beppe Iannozzi
Cicorivolta edizioni
ISBN 978-88- 97424-56-7
pagine: 230
© 2012
prezzo: € 13,00

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Per i residenti in Torino e provincia: da venerdì 17 agosto potrete trovare Angeli Caduti di Beppe Iannozzi presso le librerie Feltrinelli (senza bisogno di ordinarlo):

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con preghiera di diffusione

La giornata era iniziata grigia. Il solito stordimento accompagnato da una rabbiosa tristezza mortificava l’espressione del volto sprimacciato contro il cuscino.
Danzanti luci ancora si riflettevano nella memoria, ma incoerenti com’erano non avevano alcun significato decifrabile. Ricordava poco o nulla della serata, ma il mattino era quello tipico che gli faceva detestare d’esser ancora al mondo.
Si impose d’alzarsi dal letto: la testa gli doleva e la camera era sottosopra, come al solito, un bordello. Una bottiglia di vodka piena a metà sul pavimento l’invitava, ma non era dell’umore giusto. La calciò via. Disturbato si accese una sigaretta cercando in mezzo alla confusione un paio di jeans e una maglietta non troppo puzzolente. Fumava con rabbia & la cenere cadeva a terra come pioggia. La luce lo disturbava. Un vago profumo d’incenso ancora saturava l’aria insieme al pesante puzzo di mille sigarette fumate la sera prima. Sul letto riposava una siringa e una mezza dose. La chitarra riposava silenziosa accanto al letto a due piazze, un letto sempre più vuoto & che raccoglieva il suo corpo stracco solo a notte fonda. Non sapeva dire assolutamente che ora del giorno fosse, ma la giornata doveva essere iniziata da un bel pezzo: era normale per lui svegliarsi quando il sole di Dio era già avviato a consumarsi nella babele di suoni stonati della vita lungo le strade.
La sua compagna non c’era, non c’era mai, la troia, mai quando aveva bisogno di lei.
Non si era mai rassegnato che lo trattasse così. O meglio che non lo trattasse proprio.
Ormai non scopavano neanche più.

Si schiarì la voce e buttò a terra la cicca schiacciandola sotto il piede: una piccola ustione che non avvertì o che ignorò. Poi, con voce triste, ripeté:

My girl, my girl, don’t lie to me
Tell me where did you sleep last night
In the pines, in the pines
Where the sun don’t ever shine
I would shiver the whole night through
My girl, my girl, where will you go
I’m going where the cold wind blows
In the pines, the pines
… sun … shine
I would shiver … whole … night throughhhhhhhh (*)

Kurt Cobain and Courtney Love

Kurt Cobain and Courtney Love

Le parole vomitate dalla sua bocca gli sembravano straniere, ma erano l’espressione migliore di quello che provava.
La troia.
Si passò una mano tra i capelli biondo cenere, e questi gli ricaddero sul volto lasciando scoperto solo un occhio arrossato perso nel vuoto della realtà, che impregnava ogni cosa del suo microuniverso. Si sentiva spremuto, una cosa che non aveva più niente da dire, ma che provava dolore, un dolore assurdo che gli era impossibile da lenire. Cercò ancora di cantare qualche strofa delle sue canzoni, ma la voce si rifiutava di venire. Solo la rabbia e la tristezza erano prigioniere delle canzoni. Inciampò in qualcosa e cadde ginocchioni vomitando sulla moquette. La testa gli girava, il mondo impazziva & lui anche. Camminò gattoni come un bambino, senza alcun senso dell’orientamento, fino a quando si lasciò cadere sulla schiena. Non se n’era reso conto, ma piangeva mute lagrime, mentre le parole della colonna sonora della sua vita facevano eco nel cervello. No, nel suo cuore.
Si sentiva di merda e il mondo era ancora più merdoso a guardarlo mentre se ne stava steso a terra come un vecchio boxeur che solo attende che l’aneurisma cerebrale finalmente ponga fine alla vita una volta per tutte.
Cominciò a ridere senza motivo & intanto cantava, cantava con rabbia e tristezza la sua anima che era sol più infinita tristezza. Tristezza. Tristezza. Tristezza, l’ossessione ultima.

With the lights out it’s less dangerous
Here we are now, entertain us
I feel stupid and contagious
Here we are now, entertain us
A mulatto, an albino, a mosquito, my Libido
a denial

Dov’era finito il mondo?
Che cazzo di fine aveva fatto?
Quando s’era spento?
E perché lui non era stato avvertito?
Non gliene fotteva un cazzo. Che andassero tutti quanti al diavolo.
Al diavolo, Polly!
Poteva restarsene sdraiato a terra e far finta che… Poteva ma non era giusto.
Poteva far finta che tutto era stato una finta, ma non sarebbe stato giusto.
Poteva far finta. Ma a che scopo? Nessuno.
Provava disgusto persino per la rabbia e la tristezza che di dentro covava. Erano diventate due compagne assai fastidiose e permalose: doveva dedicare tutta l’attenzione a loro & non gli stava bene. Non più. Anche quando era finito in coma a Roma, quelle sporche troie non l’avevano mollato un attimo: si erano appostate al suo capezzale & l’avevano costretto con la forza a risvegliarsi quando lui solo desiderava d’esser dimentico di sé per l’eternità. Un nero corvo beccava la materia grigia & la ragione non voleva che saperne di spegnersi. E le troie ridevano, & a turno gli staccavano un pompino mentre lui, dentro, dentro, soffriva. E nessuno che lo sospettasse. Solo il corvo sapeva la verità e lo torturava: a piccoli brani il cervello se ne andava in pappa ma non la coscienza, perché quella rimaneva vigile a mirare un abisso distorto di fantasmi e satiri addomesticati ad ingoiare la tenerezza della sua anima.
Se solo fosse rimasto in coma per sempre!
No, non avrebbe funzionato. Non avrebbe… Cazzo! Il mondo non concede pace a uno che è stanco, non gli dice mai che se ne può andare e dimenticare il passato, non gli concede la possibilità di annullare la sua identità. Questo pensava, o meglio questo era quanto intuiva. Intuiva che la sua vita era un discorso lasciato in sospeso. Un cadavere appeso alla croce, & se è appeso a una fottuta croce, mai e poi mai avrà pace. Un cadavere è tanto simile a un feto abortito da una puttana e lasciato a marcire in una lattina di cibo precotto. E lui adorava il cibo precotto, quelle assurde lattine senza senso, che erano la sua dieta insieme all’anima della chitarra.
Le lattine di cibo sono il Nirvana.

I’m so lonely but that’s okay I shaved my head…
And I’m not sad
And just maybe I’m to blame for all I’ve heard…
But I’m not sure
I’m so excited, I can’t wait to meet you there…
But I don’t care
I’m so horny but that’s okay…

– Non posso.
– Tu non puoi mai, cazzo! Non puoi mai venire.
– Kurt, non alzare la voce con me.
– Sei una puttana… Solo una puttana dice…
– Cosa?!
– Hai capito cosa.
– Non ho capito & non ho tempo da perdere.
– Non hai mai tempo, mai una volta. Che cazzo ci farai con tutto ‘sto tempo per te?
– ‘Fanculo.
– ‘Fanculo a te.

La testa gli doleva & la voce di lei era accesa nel cuore: lampeggiava e gridava, una sirena spiegata d’un’ambulanza che si perdeva, si perdeva punto e basta.
A fatica si impose di rialzarsi; stare in piedi gli costava fatica.
Inciampò: una scatola di cornflakes o qualche altra stupida scatola, forse un barattolo. Non gliene fotteva un cazzo. Non più.
Gli dispiaceva solo per sua figlia: non l’aveva mai conosciuta veramente. Nata e portata via. Ventisette anni, una carriera, il collasso orgasmatico di stare in scena e sulla breccia dell’onda, tutto un aborto che aveva ricercato con tutto se stesso. Ed ora, quei ventisette anni gli pesavano e gli facevano male: non era preparato ad essere invaso da milioni di curiosi & sentirsi sempre fuori posto, tremendamente solo, violentato, v-i-o-l-e-n-t-a-t-o, Violentato, VIOLENTATO, V-I-O-L-E-N-T-A-T-O.
Accese un’altra sigaretta: gli occhi gli bruciavano come se della candeggina li avesse lavati.
La chitarra… La teneva in braccio come fosse la sua bambina. Le dita sapevano quali corde toccare: il tocco magico c’era sempre, le note erano le stesse di sempre ma mai uguali & non era stupido o assurdo, era la verità.

– Fammi sentire mia figlia.
– Kurt…
– No… Così non va, non va proprio. Non è così che dovrebbero andare le cose fra noi.
– E come, allora?
Silenzio.
– Dovremmo stare più vicini.
– Kurt, tu sei matto!

Già, le note erano sempre le stesse, solo più tristi, evocatrici d’una rabbia impotente.

– Che succede Kurt?
– Devi dirmelo tu!

Non era mai successo niente come dire che era sempre successo troppo senza che s’incontrassero mai veramente. Solo pochi istanti l’uno vicino all’altra. Ma lei, anche in questi momenti, sapeva essere distante. Lei, lei non aveva mai fatto parte della sua vita. Ma l’aveva contaminata, la vita. E la morte.
La chitarra, la sua tenera bimba, così fragile!
Si sorprese a ballare ubriaco stringendola a sé. Oh, era ubriaco di tristezza, pronto a fare il grande passo. Non poteva più rimandare, perché troppo amava quella bimba fra le sue braccia, capricciosa, tenera, innocente, rabbiosa, affamata, delicata, bisognosa di cure. La chitarra & la figlia & la moglie, chi gli era fedele? Chi l’amava senza nulla chiedere in cambio se non amore? Amore… assurdo, assurdo e basta! Non reggeva più la pesantezza di non essere con loro. E ventisette anni possono essere più di quanti uno osi immaginare quando tutto l’intorno è gonfio di niente.
La lasciò cadere a terra in mezzo alle altre cose, la chitarra.
Barcollando si trascinò fino in bagno per guardare ancora un volta faccia a faccia Kurt Cobain.

– Kurt ci sei?
– Ci sono… Non ci sono… Ci sono… Non ci sono… C’ero!
– Kurt?!
– Kurt, cosa?
– Cosa vuoi? Kurt, sei Kurt Cobain.
– E che significa?
– Sei stanco, Kurt.
– Sì, sono stanco. Tanto.
– …
– …?!
– Dunque hai deciso.
– Già.

Era sempre lui allo specchio: il riflesso era quello che conosceva bene.
Piangeva. E lo specchio piangeva lui, Kurt Cobain.
Gli occhi erano vuoti, due pozzi neri scavati dentro il cranio, & lo fissavano.

Le dita a sfiorare il contatto ritratte
i passi in cadenza che possiede il suolo solo lui
Batte e ribatte solido compatto denso corpo sonoro
La pelle che s’apre al respiro, nei pori gli umori
la pelle che impara l’odore diventa sapore emana calore
Carne, Sangue, che si possa guardare
che si possa toccare che si possa plasmare

A me non torna niente, niente torna mai

In basso è come in alto e fuori è come dentro a lato come al centro
In basso è come in alto e fuori è come dentro a lato come al centro (**)

Bene, era stato l’ultimo faccia a faccia: tutto era stato deciso da tempo, ma lui solo ora ne aveva preso coscienza. L’aveva sempre avuta, ma non gli aveva prestato ascolto con tutto se stesso. O gli aveva prestato attenzione, forse troppa, & se ne era quasi dimenticato d’avercela una coscienza. Non poteva rimandare oltre. Doveva avere una fine il tormento che covava di dentro. Doveva amarsi un po’ di più, dare finalmente qualcosa di concreto a se stesso: ritornare In Utero.

La quiete stagnava come un fantasma in ogni angolo.
Si svegliò madido di sudore. Un altro incubo.
Non un goccio di saliva in bocca: arsura.
Era successo un’altra volta.
L’incubo si era fatto realtà & in questo aveva vissuto il suo vero “Io”.
La realtà, il tempo, lo spazio che viveva e occupava, non gli appartenevano. Questo lui lo sapeva bene. Lui apparteneva all’incubo & solo in esso poteva godere del diritto di libero arbitrio.
– Qualcosa non va?
– No, cara. Torna a dormire.
– Ma?
– Nessun ‘ma‘.
Si alzò dal letto stancamente per chiudersi subito in bagno: lo specchio era lì, davanti a lui, che lo specchiava, ma lui sapeva che il volto riflesso non era il suo, solo un feticcio.
Si schiumò la faccia per radersi, ma poi decise che non era il caso. Continuò a fissare il feticcio nello specchio.
Gli occhi tristi di Kurt non gli davano requie. Doveva sapere. E per sapere c’era un solo modo.
Uno solo.
Baciò la moglie addormentata, andò in soggiorno e prese in braccio il vecchio fucile da caccia che gli aveva lasciato in eredità suo padre.

Un colpo. BANG.

La notizia del suicidio di Kurt Cobain dilagò: fans isterici piangevano l’idolo d’una generazione. In tutto il mondo.
Gli occhi tristi di Kurt furono trasmessi via etere in ogni angolo, o quasi, del pianeta.

Uno sconosciuto, un comune giovane borghese, lo stesso giorno del suicidio di Kurt, si era dato la morte: anche lui aveva una moglie, una figlia, & maldestramente, con gli amici, il sabato sera provava a suonare in garage. La moglie lo pianse ma nessun altro. In paese tutti dicevano che l’uomo era sempre stato affabile con tutti & mai aveva manifestato segni di debolezza mentale. Il suo suicidio era stata una sorpresa per tutti, comunque una notizia da poco che sui giornali del giorno dopo trovò uno spazio ridotto nella “Cronaca nera locale”, cinque righe. Prima del fattaccio, l’uomo era da tutti considerato come una persona felice.

Il senso autodistruttivo di Cobain: mostra felice all’obiettivo del fotografo olandese Niels Van Iperen una lattina di cibo precotto.
Solo in quell’occasione ho visto gli occhi di Kurt felici.
Kurt era goloso di cibo precotto.

Qualche anno dopo il suicidio, davanti alla tomba di Kurt, il cesto delle offerte funebri, composto dagli amici e dalla famiglia secondo il rito buddista, fu riempito soltanto con i suoi Cd preferiti, corde di ricambio per chitarra, petali secchi di gardenie e una buona scorta di cibo in scatola. Era tutto ciò di cui Kurt Cobain aveva bisogno per raggiungere il suo personalissimo Nirvana… Quello vero.

you know you’re right
i’m so warm and calm inside
no longer have to hide
let’s talk about someone else
sterling silver begins to meet
nothing really bothers her
she just wants to love herself
will move away from here…

Note:

* Estratto da una lirica di Huddie Ledbetter

** Estratto da una lirica dei CSI, Noi non ci saremo Vol. II, parole di Giovanni Lindo Ferretti

N.d.A.: tutte le liriche citate sono state scritte da Kurt Cobain tranne dove indicato diversamente.

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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5 risposte a Gli occhi tristi di Kurt Cobain (1ma versione) – Giuseppe Iannozzi + Promo ”Angeli caduti” di Beppe Iannozzi (Cicorivolta edizioni)

  1. cinzia stregaccia ha detto:

    ogni volta sono brividi e pur questa sia stupenda quella del libro lascia senza fiato..
    cinzia

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  2. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Questa è una versione molto molto più grezza e lunga la metà rispetto a quella definitiva.
    In prima battuta, questo racconto lo scrissi di getto con la musica dei Nirvana in sottofondo.

    Direi che funge da curiosità, forse una chicca per i miei 4 lettori manzoniani. 😉

    Grazie, Cinzietta.

    bacione

    beppe

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