Per un sole sospettato di nuvole
ANTOLOGIA VOL. 261
Iannozzi Giuseppe
BELLEZZA INFINITA
… stanco,
il Poeta della Malinconia
gli occhi chiuse sul giorno,
e sognò una donna nuda,
e vide l’anima di lei
fulgente di gioia,
di bellezza infinita;
e, finalmente,
anche lui incontrò
la grandezza di Dio
IRLANDA
Irlanda, paese di magie,
di ostesse agli ubriachi,
e di streghe sfrontate
che a ogn’ora, col sole
o no, le gambe mostrano
all’occhio straniero
e a quello più abituato
degl’irlandesi nel ghigno
seppelliti.
Può forse Primavera
non accendere passione
dentro ai virili petti?
Di desio colmi i cuori,
il maschio pelo gittano
gli uomini sui seni
delle frementi donne,
nulla affatto ingenue,
della lussuria
consapevoli vittime.
ANDIAMO AVANTI!
E sia, andiamo avanti!
Ha appena finito
di piover giù la pioggia,
e la notte costella di stelle
le pozzanghere
dai nostri piedi calpestate.
SENZA UNA MINIMA FORTUNA
Ho visto uomini seminare il male
e li ho visti toccare un secolo di vita
senza che un alito di vento
gli scomponesse mai la chioma
Giù in paese dicevano parole,
le ripetevano come un mantra;
aspettavano i retti che il tempo
trovasse il tempo d’esser giusto
Aspettavano che la giustizia
sposasse del popolo la verità
Aspettavano, speravano
Ma ogni giorno, ogni santo giorno
uscivano dalla chiesa le bare,
quelle di uomini poveri in canna
che mai avevano rubato una paglia;
ogni giorno un timorato di Dio
finiva male, a pezzi, in orizzontale,
senza neanche aver sfiorato
la mezza età
Ho visto uomini seminare il bene
e in sequenza li ho visti cadere
senza che una minima fortuna
gli asciugasse la fronte di sudore
COME RONDINI SUL FILO DEL RASOIO
Come rondini sul filo del rasoio,
grandi si diventa
senza dimenticar mai la fantasia
In questo cielo dove io sto,
se lo vuoi mi puoi trovare o no;
sempre resisto e mi dico contro
le brutture delle mode del mondo,
e a mio piacimento modello
le nuvole e sogno forte,
e sfido degli dèi l’ira profonda
In lungo e in largo
nei mari delle fantasie ho navigato
la vela contro i tempi spiegandola,
il timone ben saldo reggendolo,
scontrando di Orione le tempeste
per cattiva sorte
addosso a me sputate;
e se disperato
un pianto o un canto
ieri oltre i sette cieli l’ho levato,
nulla davvero
è andato nel Cieco Niente perduto,
ché ancora sono qui
come una rondine che non si arrende
Come una rondine sul filo del rasoio
non meno vanto,
ma improvvisando guardo largo…
oltre le consuetudini delle possibilità alari
guardo largo
I.
Qualche volta
accade che
notte venga
e non finisca
se non contro…
muri di nebbie
II.
Se fossi Donna
sarei Primavera
che bacia la Luna
III.
Rose ai tuoi piedi,
sorprese
che dimenticherai
IV.
L’anima d’un uomo
– se ce l’ha –
dentro alla sua
vuol sentirla una donna
che sia una donna
e non un avanzo di galera
V.
Rottura di lune
questo aspettare
su una panchina
una donna
che il cuore
l’ha bruciato
per un sole
sospettato di nuvole
VI.
Ti ho dimenticata,
ti ho dimenticata
Puoi credermi,
sulla parola, sì
L’ho detto ieri,
e lo ripeto oggi,
te lo ricorderò domani
Ti serve forse
una proposta
indecente più di questa
per capire
che non si può capire
la verità
fra me e te?
VII.
Spreco d’energie
scrivere poesie,
come per mestiere,
come per dovere
Spreco d’anima,
peccato di vanità
NON POSSO ACCETTARE I TUOI AUGURI
Non posso, credimi, non posso accettare
Non posso accettare i tuoi auguri lontani
Stanno sulla bilancia il Bene e il Male,
come tocchi di carne straziati ben bene
vuoti di vita, vuoti di valore;
non vale, non vale davvero la pena
scegliere quale il pezzo migliore
A chi mi ha chiesto ho detto la verità,
la sola che conosco
A chi mi ha pregato di scacciare
dal tavolo le mosche, ho detto la verità:
mai ho conosciuto una donna,
una donna votata all’Ordine dell’Amore;
ho però conosciuto giusto ieri un folle
e uno che da sé s’impiccò a testa in giù
un milione di anni fa o giù di lì
Ricevo posta un giorno sì e uno no
Nessuna lettera mi parla di te,
e così lascio la penna nel calamaio:
non risponderò né oggi né mai
L’ho capito da un po’ che non è
di poesia la vita
L’ho capito da un po’ che non è
di poesia la vita,
così non scrivo più d’amore,
barzellette senza né capo né coda
per far ridere certi poveri cristi
– marinai che più non sanno la fede,
la gioia d’andare per mare
UN MILIONE MAJAKOVSKIJ
Stamattina mi sono aperto gli occhi
con il solito, un bicchiere di distorta lucidità
Sul pavimento, in salotto, avanzi d’amore,
mozziconi e giochi da tavolo in confusione
E la mia faccia più brutta del solito
tra pedoni caduti re e regine, e sullo specchio
quel cazzo d’aforisma scritto col tuo rossetto
E queste due lacrime dolci e amare, silenti,
che tagliano in due la finzione del mio sorriso
mentre il cuore in petto mi perde un colpo
Lo so, lo so bene d’essere solamente un uomo,
giusto un piccolo ingombro nell’Universo
E l’alba è già alta e così tanto rossa oltre le Alpi
e non si frena proprio più la voglia di morire
Stasera ce l’avrò il mio bel daffare, ce l’avrò!
Un milione di Majakovskij e un altro di whisky,
una poesia a metà, e un colpo veloce di pistola
Perché mai soffrire come un cane affamato
legato alla libertà d’una rugginosa catena?
NON PERDERE LA TENEREZZA
Un gesto, uno
per non sprofondare
nella paura d’amare
e per non dimenticare la tenerezza
Donare fiori di campo,
fiori rubati al vento
che accarezza i campi;
regalare secondo l’occasione
rose o fiori d’oro
a chi oggi c’è
e anche a chi domani no,
seppellendo al di là di noi
il superfluo,
pungenti spine e petali appassiti
che potrebbero far sfiorire
nel tempo breve d’un secondo
l’anima del ricevente.
PER UNA LAMA DI LUCE
Ci manca sempre,
sempre la meraviglia
di meravigliarci per un lama di luce:
per nostra colpa solamente
– perché presi nell’insoddisfazione
del metro dei giorni uguali ai giorni –
più non sappiamo emozionarci
quando il battito del cuore di Dio,
timido e tremante,
preme su quelle inflazioni
dentro al nostro petto
gelosamente custodite
manco fossero esse tesoro
da non rigettare.
ACQUA SANTA
Non ti amerò
perché sei tu a comandarlo
a condannarmi
Non cercherò le tue labbra
né ringrazierò le lacrime che un dì versasti
nella tinozza dell’acqua santa sotto la Croce
Non dimenticherò
che mi hai dimenticato
per un capriccio di gabbiani
e un batter di mani a teatro
Non ti perdonerò d’avermi amato
sempre a modo tuo per il mio bene
Sempre a modo tuo per il mio bene
Adesso mi lasci intendere
che vorresti…
che sei pentita o giù di lì
Butta giù quel grattacielo,
i faraoni alle scrivanie dietro
alle loro babeliche torri di burocrazia
Butta giù il telefono
e dimentica d’esser legata
alla condanna d’un numero
Questo ti consiglio,
vieni poi a me accanto;
e vedremo se per noi
qualcosa si può ancora fare,
anche se non so davvero
dimenticare
C’ERO ANCH’IO A DIRMI ADDIO!
È solo un anno
che simile a tanti altri passa
È solo il tempo
che si fa più vecchio di quei buchi
che le suole delle scarpe minano
È solo il botto d’un petardo
fra il ragliare forte degli asini
È solo il canto d’una sirena
che il suo mare cerca per svanire
È solo il popolo degli gnomi
che nell’ira delle stagioni si prende
È solo uno spazio vuoto
con un fil di voce raccontato
a chi il sonno non lo sa mai o quasi
cogliere in tempo
È solo un amore che va a puttane
senza neanche sputarti in faccia
un’ultima volta
È solo calpestata fantasia
e un valzer viennese che cade
nella valanga dei ricordi dell’Ebreo Errante
È solo un tiratore scelto
che l’ultimo suo bacio l’ha regalato
alla canna del fucile per stupido amor
di dire “C’ero anch’io a dirmi Addio!”
Sono le nostre gambe
che per il destino di Garibaldi tremano
È una Parigi di gambe rotte e corte,
come le bugie che abbiamo raccontato
allo specchio e al nostro migliore amico
Ma sono in tanti a farti la corte
Ma sono in tanti a divertirsi così
Ma sono in tanti a sognarti amore
Ma sono in tanti a farsi solitudine
Quando tu non vedi, quando tu non vedi
E lo sguardo lo butti in fondo alle tasche
per inseguire una chimera
Quando tu non vedi, quando tu non vedi
MARIA
E andrai tu,
andrai tu incontro al tempo
cogliendo del prato
i fiori più belli
E avrò io ancora la mia penna
e la sedia di ieri su cui oggi siedo,
muto, con il solito vecchio sguardo
E nasconderai tu i polsi
perché non si vedano i segni
del tentato suicidio
Dirai a tutti d’aver posseduto
mille amanti e mille stelle ai tuoi piedi;
e a Dio racconterai di come il sole
al mattino spogliava la tua bellezza
Continuerò io invece con una mano
a pettinarmi la barba bianca,
mentre la destra impegnata a scrivere
quanto forte fu per te il mio amore,
il mio cuore sconsiderato che s’illuse
E in una melodia lontana
torneranno le tue parole,
le tue tante parole all’orecchio mio;
e tornerà l’immagine di noi due
sotto a quel lampione
che illuminò il tuo fuggire con allegria
il fiume dei timidi miei baci
Nasconderai i polsi,
fingerai d’esser tu ritratto di allegria,
e rivangherai l’età mia già antica allora
Ti basterà un momento per capire
che non sono cambiato affatto
nel tessuto delle rughe, né nell’ordito
di quelle poesie che non osai leggerti,
Maria
E in un sussurro mi confesserai
che ho vinto il tempo
senza possederti mai veramente;
a capo chino
ti farò capire che è vero,
e farò una magia, ti farò capire
che non sei tu cambiata;
e ti scoprirò bambina,
ancora bambina
VIVI QUALCUNO
(seconda versione)
Amami oggi, amami sempre di più,
lascia lontane da noi le confusioni
che da mane a sera regnano sovrane
in certi mercati sol ricchi d’inflazioni
Amami e amami fino in fondo,
senza mai perderti nei pensieri tuoi
A letto hai letto tutti i romanzi rosa
e quelli che parlano di guerra,
e fino alle lacrime ti sei commossa
per ogni fila di uomini caduti
nei dispetti degl’inutili sogni loro
Così, oggi, sciogli i capelli e sorridi
felice d’esserti lasciata alle spalle
il pianto delle notti buie e insonni,
perché adesso sì, vivi qualcuno,
un uomo più o meno umile,
perfetto in quelle sue imperfezioni
che sai decifrare
AMAMI UNA, DUE VOLTE
È il cielo in cerca d’un rifugio
A me sempre manca il coraggio
di tagliare la coda alle lucertole,
e continua a darmi fastidio la luce
Dal collo in giù, amami una,
due volte o di più
Son cigni i ballerini, lo fanno bene
Sull’amante volano, lo feriscono
con passi leggeri, astuti di tecnica
s’inventano volti più bianchi della cera
Li amano le donne, alla follia li amano,
gentiluomini due volte li credono
Giovane donna, fammi divertire,
mostrami il bianco dei denti
E amami una, due volte
Dal volto ti sei levata la maschera
Inconsolabile Eschilo
Più non gli basta il jazz,
più non gli fa effetto il whisky
Tragico corre dietro ai ballerini
E amami una, due volte o di più
Sei bella, bella dal collo in giù
E il cielo non ha trovato un rifugio
Dal collo, dal collo in giù il miele
Raccogli le mie mani, abbi cura di me,
e non fiatare: in cielo già sporge
un buco nero, lo vedi anche tu!
Di buchi neri è ormai gravido il cielo
Ma tu amami, dammi quel che hai
dal collo in giù, dal collo all’inferno
E amami una, due volte o di più
COMMEDIA UMANA
Nascondetemi dal sole,
dai suoi raggi
È la notte alle spalle,
e ancor sulla lingua resiste
sapor di donna
e nella testa producono eco
le opere di Balzac
Lontano, ti prego,
da questa Commedia Umana
di sudori al mattino assetati
di altri sudori
rinnovati e giovani
Lasciami
sotto il peso del lenzuolo,
tanto arriva anche qui
la confusione dei pazzi
di sotto in strada,
che con le loro urla belluine
l’orecchio e la pietà di Dio
feriscono
LA TUA CALIBRO 9
Sai sorridere bene,
ma quella calibro 9
non la nascondi
a dovere
So che sei bella
Me lo ripeti
ogni giorno
Hai capito
il significato
estremo
d’esser donna
Ti metti
in mostra,
sei bella
sei una stella,
lo sai bene
Hai capito
che più del pensiero
conta la forma
Sai sorridere bene,
ma le pistole
non sono adatte
alle bambole
or come ora
Domani chissà!
Ma oggi
ti conviene
farmi fuori
con i tacchi
ancheggiando
mostrandomi
la perfezione
del tuo culetto
a mandolino
che non avrò mai
per mio cuscino
Hai imparato
presto i nomi
di Dio, tutti
Quella calibro 9
non ti si addice
Per farmi secco
non hai bisogno
di premere il dito
sul grilletto
Sei bella
sei una stella,
me lo ricordi
ogni santo giorno
E mi maledico io
Sei bella, sì
Lascia a me
la calibro 9
La mia mano sa
tutto della canna
del grilletto
del mirino,
ma non la userò
Basta un attimo
Un tuo comando
Il tuo sculettare
per mandarmi
al Creatore
VIVEVO
Vivevo per il suono della tua voce
Vivevo per quella luce
dentro agli occhi tuoi
Quasi felice
tentato ero di creder in Dio
IO, UN POVERO VECCHIO
Io, un povero vecchio
pazzo, costretto a star
all’occhio, a ogni passo
una trappola;
a questo vale esser Sire,
rischiar di morire
per nemica mano:
persino il balordo al gabbio
ha più tranquillità
d’un Re che mille genti
ha soggiogato
colla sua sola forza!
IL PUNTO
Chi si ricorda di me
è morto insieme a me.
ALLO SPECCHIO
Sempre la solita storia
in questa strana vita mia,
una metà parte, l’altra resta;
ma se poi sospettoso
allo specchio mi guardo
sempre trovo l’imago
che già conosco,
angelo e demone riuniti
ed entrambi di me
si fan beffe!
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