La mia anima nella tua collezione

La mia anima nella tua collezione

ANTOLOGIA VOL. 206

Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe

REGINA DI GERUSALEMME

La luna, la luna
quanto il mio sorriso alta,
stanotte: non è forse così,
non è forse così, mia Regina?

Hai di nuovo sognato
il Drago, il Crociato
e Gerusalemme in fiamme;
e il mondo d’attorno gira,
gira e gira in una vertigine
di persa verginità

La luna,
così alta, così alta
non l’avevi vista mai
Il sorriso che scorgi
l’anima in petto
ti spaventa,
non è forse così?
Il sepolcro vuoto
e la luna sì strana;
il mio sorriso
ancor t’imbarazza
la bellezza
fra le gambe nascosta,
mia Regina

LA MIA ANIMA
NELLA TUA COLLEZIONE

Fosti tu a prendere
il mio cuore
sotto i tuoi tacchi affilati
E ora ti ripresenti a me
Il sorriso è quello
che conosco,
quello che ieri
mi ha fatto inciampare
e cadere
E sei di nuovo qui;
spezzarmi il cuore
non ti è bastato,
adesso vuoi anche
l’anima mia;
e non mi mollerai
tanto facilmente,
perché di anime,
belle e stupide
come la mia,
ce ne sono poche,
e nella tua collezione
una come la mia
non può davvero mancare

LA TUA ASSENZA

Dove sei scomparsa
nessuno lo sa

Se tu sia ancor qua
o passata nell’Aldilà
a rovinar di Cherubini
e Portaborse l’esistenza,
noi che umani siamo,
e che moriamo
per una scimmia sulle spalle
o per una peritonite di troppo,
noi non lo sappiamo

Alla tua salute ora bevo
Tutti simpatici gli amici tuoi,
s’ubriacano che è una bellezza
Bestemmiano anche,
si grattano le ascelle,
e nei bagni cercano un’avventura
che gli faccia dimenticare
d’esser stati partoriti
per presto finire in una tomba,
anonima e lontana,
vuota d’epitaffio
e d’una foto di circostanza

L’ultima tua in bella calligrafia
la tengo nascosta sotto il cuscino

FUNERALI DI STATO

Si morì
fra polvere e macerie,
nient’affatto convinti che
la vita un perché
sempre
a portata di mano
o al termine della notte
nascosto

Si morì
schiacciati
dal peso tremendo
della terra
sotto i piedi franata,
nello squasso
delle mura sbriciolate,
delle edicole sacre
rovesciate
E non era ancora
la Pasqua

Si morì
per non sperare più
in sogni mai sognati
Si morì
per finire
in un incubo
partorito dal profondo
della terra

Si finì
di essere
senza avere il tempo
minimo di capire
che risate e pianti
più non avrebbero sepolto
albe e tramonti
dentro ai nostri occhi

Crollò infine
il cielo
in Aprile
ai Funerali di Stato

ASCOLTANDO VOCE DI RASOIO

Io mi chiedo perché
Sei sparita quando dicevi
che andava tutto per il meglio,
che le tue ciglia non mordevano lacrime
Sei andata via,
lasciando un buco nella vita mia

Alle pareti sopravvivono le tracce
di tutti i quadri che hai portato con te
Sulla scrivania, accanto al calamaio
riposa la cornice
che fa prigioniera la tua immagine
Sei andata via nel più freddo giorno d’inverno
Hai detto che andava tutto a meraviglia,
che non mi dovevo meravigliare
se ridevi come una pazza a ogni ora
Ti accendevi poi una sigaretta
e la mano l’allungavi verso la bottiglia,
e il bicchiere lo riempivi una due tre volte

Sei andata via che era quasi Natale
Qui fa un freddo cane, proprio come allora:
le strade sono battute da uguale solitudine,
gli ambulanti vendono castagne calde a nessuno,
e un bambino spara palle di neve contro un albero
È che non me ne sono fatto ancora una ragione

Chissà se adesso mi stai pensando
o se mi stai dimenticando nell’orgasmo
d’una nuova felicità a me ignota più della verità
Ma lo so, sono gli oziosi pensieri
di uno che piano piano aggiusta la puntina sul piatto
per poi accasciarsi in poltrona
sotto la voce di rasoio di Cohen

Sei andata via
Sospetto che lo hai fatto apposta
di non lasciarmi neanche un biglietto
Non ti potrò perdonare mai:
il clima di festa mi ha sempre danneggiato
Sono ancora qui al punto di partenza,
mentre rimetto a posto la puntina sul vinile

Manchi tu, ma Gesù risorge sempre
Sempre uguale a se stesso, ogni anno
Senza scucir parola, ogni anno ti rimpiango
ascoltando i miei più tristi dischi in vinile

LABBRA DI CILIEGIA

L’hanno cantato
Lo spettacolo deve andare avanti
Labbra di Ciliegia, ho già pronta la pistola
e in testa un lungo lungo tunnel nero

Non farti di me una brutta idea
Ho già visto tutto questo
– le Porte della Percezione
e il vecchio Dulouz piangere
E non lo nego, è stata una sorpresa
scoprire una mosca nel whisky
proprio nel momento
che credevo d’aver tutto vinto
Lo sai, ha la pistola voce tonante
più forte cento volte della mia

Labbra di Ciliegia, tu ami tante cose:
lo sciroppo d’acero e quello di ciliegie,
il caffè caldo per svegliarti al mattino, il sole
e le stampe giapponesi di fiori, samurai e geishe,
e ami pure milioni di petali,
milioni di petali di ciliegio sulle onde del vento
Tu sì, ami molte cose
E forse hai ragione, non avrei il coraggio
di metterti in ginocchio

Sono al di là dell’amore
Sono oltre l’amore,
forte abbastanza per aprirmi un tunnel
nero e cieco da tempia a tempia,
e debole abbastanza da perdonare
quelle tue labbra rosse, di ciliegia

Lo spettacolo deve andare avanti
senza di me, senza di me

Labbra di Ciliegia, temo che…
ci sia una furtiva lagrima sul viso

CREDO NEL BLUES

Proteggimi, credo nel blues,
nel diavolo che porta le anime via
agli incroci delle vie
Proteggimi dalla tentazione,
dalle tue gambe di miele e fiele
Tanti i peccati sulle spalle
e uno a uno vengono a galla

Proteggimi perché non è servito
pregare né suonare l’armonica
Presto s’è fatta arida la bocca
in questo mondo di santi e serpenti
Tutti han suonato i loro sonagli
per convincermi sulla strada maestra;
quando poi all’incrocio
s’è trattato di scegliere
se andare a destra o a sinistra,
in ginocchio son caduto
per non rialzarmi più dal blues

Proteggimi perché sono un uomo solo,
solo un uomo che crede nel blues,
nel sesso comprato per pochi spicci
che di sé nell’anima non lascia gioia
ma profonde ferite, mio Dio, sì

Proteggimi dalla bionda carezza
dei tuoi capelli dal vento molestati
Proteggimi adesso o mai più
perché quando uno cade nel blues,
perché quando uno non vede più
il sole o la luna lungo il suo cammino
sicuro è che sarà un bastardo,
senza casa e riposo,
sino al giorno del giudizio e di più

Proteggimi tu anche se non servirà
Proteggimi tu anche se non servirà
baciarmi la mano forte di cordite
che a mezzogiorno resse la pistola
Proteggimi tu anche se non servirà
baciare il martello del cuore in petto

BELLA BIONDA, RAGAZZA FELICE

Nei tuoi occhi,
nel cielo tuo azzurro,
vengo oggi amato
Nei tuoi occhi oggi io amo

Nel tuo cielo, dì dopo dì, mi perdo,
felice d’incontrare carezze d’oro
Bella bionda, bionda divinità,
puoi credermi
quando prego perché non finisca
È in te che ho cominciato a vivere

Raccolto,
sono stato da te raccolto
quando credevo
che mi sarei macerato
in un’infinità di solitudini
Sono stato da te raccolto
nel biondo tuo cuore
Raccolto da te, per sempre

Per sempre
nella profondità dei tuoi occhi,
del tuo cielo
Per sempre
nella bellezza della tua anima

Nel cielo dei tuoi occhi,
nella limpidezza della tua anima
Accanto a te appartengo all’eternità,
bella bionda, ragazza felice

Bella bionda, la divinità ti appartiene

È dentro di te che ho cominciato a vivere
Oh, puoi credermi quando dico che è così
Insieme a te ogni cosa bella ha avuto inizio
È così, è così

AVERE TE

Se avessi ori in abbondanza
ti comprerei intrugli di felicità
e saresti tu felicemente drogata,
coccolata
da fiumi di vodka e borotalco,
e dalla caparbietà d’un uomo
E se la realtà
di come gira il mondo
riuscisse un giorno
a imporre in te la ragione,
facendoti sbandare
da dove a dove,
finalmente
quell’uomo capirebbe
che ci ha provato pure lui,
al pari di tanti altri,
a vender la Terra
al primo alieno di passaggio…
Capirebbe d’esser
caduto in errore,
di non aver ancora abbastanza
per poter comprare te,
per prendere l’anima tua in blocco
e di dosso sciogliersi la stanchezza

FRA GLI ABISSI DI MARY

Per te dal francese traducevo
le più amare e avare poesie;
per te le Alpi scalavo e scendevo
con la colpevole consapevolezza
che qualcun altro amavi e odiavi,
ché con carezze di piombo
ti carezzava le spalle la Nera Signora

Nell’occhio destro quel tic
che a un semaforo collassato
tenero ti prostituiva
Eravamo giovani allora
Mi raccontavi sempre la sua storia e la sua fine,
di come nell’esercizio della sua divisa s’inabissò
Eri tu un angelo, un angelo bruno caduto
In un tempo lontano a tutti sconosciuto,
delle ali il peso dalla schiena scucisti via,
continuando a credere
– con una punta di dubbio
nel labirinto dei pensieri tuoi –
che le ombre non restano ombre
per sempre

Per me che t’amavo mai provasti
un po’ di pietà, neanche quando
fra funghi chiodini e pozzanghere di sole,
ridendo sguardi addosso a lui in ombra,
l’amor mio me lo seppellisti in faccia

Per questo, per questo
di punto in bianco
smisi di tradurre escrementi e brutture
Fra gli incidenti del passato
perdemmo entrambi qualcuno,
e tu forse qualcosa di più
Tu forse qualcosa di più

Col suo carico scimmiesco
ti cavalcava la Nera Signora;
diventavi piccola, così piccola
mentre t’ingobbivi
a ogni minuto un po’ di più

Nonostante la confusione del momento, Mary,
dei denti lo avvertivo anch’io lo stridio violento,
per questo solamente lo sgarbo oggi ti perdono

Ti perdo oggi e non ieri, perché ti perdono
Ti perdono e ti perdo, ti perdono e ti perdo
Ti perdo

LASCIA CHE SIA COSÌ

E ora, ora lascia che…
lascia che sia
il vento a parlare
Abbiamo lasciato la casa
che era nostra e ogni cosa,
ogni cosa che accolse
i nostri respiri prima,
ogni cosa che testimone si fece
dei silenzi che ci presero dopo

Ora, ora lascia che…
lascia che i fantasmi scivolino via
con la pioggia e con le prostitute di Dio
Lascia che sia così, lascia che sia così

Non abbiamo più niente,
tutto il bello lo abbiamo sciupato
senza riguardo
Questo camino a cielo aperto
che è pieno di cenere bagnata
non mente, non mente su niente
mentre i tuoi occhi apparecchi
sulla mia assenza

LASCIA CHE SIA COSÌ
(versione alternativa)

E ora, ora lascia che…
lascia che sia
il vento a parlare
Abbiamo lasciato la casa
che era nostra e ogni cosa,
ogni cosa che accolse
i nostri respiri prima,
ogni cosa che testimone si fece
dei silenzi che ci presero dopo

Ora, ora lascia che…
lascia che i fantasmi scivolino via
con la pioggia e con le prostitute di Dio
Lascia che sia così, lascia che sia così,
purtroppo eco ripetuta, martellata a vuoto

Non abbiamo più niente,
tutto il bello lo abbiamo sciupato
senza riguardo
Questo camino a cielo aperto
che è gravido di cenere bagnata
non mente, non mente su niente
mentre gli occhi tuoi blu crocifiggi
sull’ombra mia scarna all’orizzonte

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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