Ricordi quando sull’altalena volavi?
ANTOLOGIA VOL. 231
Iannozzi Giuseppe
OCCHI NERI
La prima volta che ti ho incontrata,
l’ho capito dal tuo sguardo
che eri una strega: tacchi alti,
gambe lunghe, e occhi neri, lucenti sì,
ma d’una luce diversa, presa dall’Inferno!
La prima volta che ti ho regalato una rosa,
non hai battuto ciglio, l’hai presa in mano
e mi hai guardato strano; in quel momento
ho capito, ero fregato per sempre e di più
La prima volta che ho tentato di baciarti,
con uno schiaffo mi hai fatto volare lontano
dal tuo bel seno: cinque petali di fuoco
riposano ancora sulla mia guancia
Però le labbra mie ardenti non han perso
né il vizio né il desiderio d’incontrare
il tuo sapore, la tua lingua
Ci sono state tante prime volte con te
Io ho sempre perso qualcosa, un dente
il cuore, un ritaglio d’animo, e mai la vita
nonostante tu ci abbia provato
a portarmela via con tutta la tua malizia,
vestendoti di nudità, magia e ambiguità
Ci sono state tante prime volte con te
Strega, una strega sei: non sei cambiata
d’una virgola da quando ti ho conosciuta
Sempre bella uguale sei, sempre perfida
Lo stesso sguardo nero più del nero,
che viene dritto dall’Inferno e che sfida
degli uomini la saggezza e la stupidità
Una strega sei, con te ogni partita è persa
sin dall’inizio: avevo messo in conto,
pure questo, perciò non smetterò mai
di portarti di mia mano ogni dì una rosa,
una rossa rosa
KING LEAR
I sudditi miei – ah, me tapino! –,
li dovrei tutti fustigare,
e metter poi a pane e acqua
così che possano sentire
pure loro il morso feroce
che m’è dentro allo stomaco
Un morso sì forte
che non lo si può domare
con carezze o preghiere,
con magie di streghe e diavoli
Ché un Re, come me Pazzo,
soltanto ha sudditi che mettono
avanti a sé l’inchino
e in bocca il sorriso più feroce,
illudendosi di nasconderlo
al vuoto mio sguardo
Come se fossi da sempre orbo,
i miei sudditi così illusi sono!
Se sol sapessero
tutto quello che io ho visto,
al mio cospetto allora tremerebbero
e non oserebbero tramare stronzate
col favore delle ombre e dei ventagli
Se solo sapessero, i miei sudditi!
Se solo… Ma niente sanno
Solo da vicino conoscono
la solita oppiacea nebbia
che li porta di campo in campo
a inseguirsi senza mai toccare
alcunché
Se solo… allora sì che la fronte
gli cadrebbe a toccar il freddo
pavimento di pietra millenaria
E come me tacerebbero
E come me il morso allo stomaco
lo accuserebbero
SANTO E TIRANNO
Come il più santo dei tiranni
negro sangue ho pianto
dall’orecchio sinistro;
colla sola forza della mutezza
ho strappata la catena d’oro
che al marmo mi teneva legato
Mi guardo adesso d’attorno,
scruto questo oscuro mondo
senza provar sorpresa o amore
per le pazze creature di dio
– per le affilate loro lingue
fragili di diabolica mortalità
È DI DONNA LA POESIA
E’ di donna la poesia
il nome che reca
di porta in porta
in estate in primavera
SE CON ME VUOI STARE
Se con me vuoi stare,
se stanco non ti sembra il mio fianco,
se in me non vedi un vecchio bisbetico,
giovane compagna mia,
accompagnami lungo le strade della notte
sotto questo cielo di stelle cadenti
Lascia che la mia mano tenga la tua,
e non ti spaventare: i barriti degl’infedeli
non scassineranno le tue labbra
né il tuo generoso candido petto
Di blasfemia si ciba il mondo,
e non posso prometterti
che con me la vita sarà sempre
rose e fiori
Dalla mia soltanto l’egoismo
di volerti a me accanto, e non so
se sia abbastanza per fare amore
Ma non portar via
la tua mano dalla mia,
non lasciare
che cada io
nell’inutilità dei giorni
Non lasciarmi spegnere
VALERIA
Devo dirtelo
col cuore
che mi sale in gola
ora che, finalmente,
sono al tuo cospetto
grazie a un miracolo
non ben precisato
Ho provato,
Dio soltanto lo sa
quante volte
ho provato
a dirti la verità
con la mia lingua,
faccia a faccia;
ma la Luna
alta in cielo,
pria che potessi io
aprir bocca,
m’abbacinava
con lama d’argento,
costringendomi
ad abbandonare
a rotta di collo
il cielo dove tu stai
Dolce Valeria,
mai ho pensato
che un che di malvagio
o altro segno negativo
in te nascosto
Con questa mia poesia
imperfetta,
al cospetto della Bellezza
che tu sei, Valeria,
conosci ora il sentimento
che tante volte ho provato
a portare al tuo cuore
Davanti a te sì divina,
io meno d’un mendico,
prego perché tu, Valeria,
abbia la bontà infinita
d’accettare il mio omaggio
ANGELI
Gli angeli
han lasciato
cadere
le loro ali
umili
ma divine
Gli uomini
non hanno
pianto
né raccolto
una sola
piuma
Tutti gli angeli
han baciato
le donne
per strada
fossero belle
o meno
Ognuna
ha avuto
la sua parte,
graffi di sangue
sulla schiena
e la verga
tra le gambe
I fianchi
han preso
d’assalto
altri fianchi
Tutto questo
oggi si racconta,
e io ricordo soltanto
che m’hai baciato
LA MIA CONDANNA
Perché il core
m’è sì tanto pesante;
perché gli occhi
mi si fanno di lagrime,
e davanti a me
sol il nero scorgo,
il buio che pare
maligno spirito
oltre ogni dire?
Le mie mani premono
la freddezza
del marmo tombale,
e le tue labbra
ch’eran petali
adesso sì gelide
al tatto,
mute in assoluto
Questa disperazione
chi, chi la potrà mai
cancellare
se ogni bene
l’alma mia più non sa?
Chi oserà mai
morir meco!
Sol l’eco risponde
e conferma la condanna
LA DONNA PIÙ AMATA
Il ferale Niente
la viva carne morde,
all’improvviso,
in un tempo sì breve
che non si pensa;
e subito il deliquio
fa deboli le membra
del malcapitato,
poi incredulo,
obnubilato,
invano cerca lo sguardo
appiglio
fra le ragnatele
di tenebra rifinite
Ed ecco
che al morente
nell’orecchio
gli par pure di sentire
il miagolio d’un gattino,
che, purtroppo,
sì tanto simile è
al vagito di chi
al mondo viene
Ricordando l’amante,
la donna più amata
e a tutti tenuta nascosta,
infine muore,
disperato se ne va
VIOLINI
Violini sbuffano fumo
tanta è la foga
con cui gli uomini
ne suonano l’anima
fino a farne grido
inghiottito dall’infinito;
e fingendo innocenza,
Belzebù, con tutta calma,
suona il flauto,
entrando in città
seguito da topi e serpenti
FINALMENTE CI CONSIDERATE
Quando morti,
finalmente
di noi vi ricordate:
in petrosi giardini
ci scoprite seppelliti,
e allora sì, ci considerate,
con lacrime brevi e silenti
i poeti
– che lavorarono l’amore –
finalmente
li considerate un po’
e con loro parlate
tenendo strette le labbra:
consapevoli siete
che più non hanno
una bocca viva
che la vostra bramava;
consapevoli siete
che più non hanno
nuove foschie di cuore
da confessarvi
Più non li temete
RICORDI QUANDO SULL’ALTALENA VOLAVI?
Ricordi quando sull’altalena volavi?
Non c’erano mai problemi;
schiere di angeli raccoglievano
le tue risate, le intrecciavano poi
per farne dono alla tristezza di Dio
Sembra così lontano quel tempo,
così lontano e tu non ridi più,
e tu non hai lacrime da buttar giù,
sol rimani con la testa fra le mani,
ascoltando le note di Chet Baker
E che cosa pensi, nessuno lo sa
Le corse sulla spiaggia, tu che giocavi
con le onde che ti lambivano i piedi nudi,
quelle corse non all’oggi appartengono,
né a quel film muto bello e impossibile,
eppur tante volte pensato
Ricordi quando sull’altalena volavi alta
e c’era una mano amica che ti prendeva?
Ricordi quando volavi alta
e incontravi il primo fiocco di neve bianco,
che dal cielo veniva giù in segno
di ringraziamento d’esser così sempre tu?
SOLO UN BUFFONE, AMICA MIA
Mi abbandoni e fai bene
Alla fine, a galla è venuta
la verità
Non sono il Re tutto d’oro,
sono solo il buffone di corte
col cerone in faccia
e la bocca nel rossetto
mortificata,
ma gli occhi son di lacrime
che lungo le gote
non lascio scivolare
Saprò seppellirmi
nelle risate sparate alle spalle,
negli insulti che per strada
di sicuro non mancheranno
insieme a mille tentativi
di farmi rovinare a terra
con sgambetti
e colpi di fionda alla testa
Berrò l’acqua
delle sporche pozzanghere,
pregando d’affogare
nella loro ridicola profondità
Alla fine, a galla è venuta
la verità: un buffone,
giusto un fallito, Amica Mia
HO FATTO IL MIO DOVERE
Ho fatto il mio dovere,
frantumando sgrammaticature
e parole cariate vuote di luce
Ho fatto quel che andava fatto
e non ricordo più niente, più niente
Non un ricordo ingombra la memoria,
non uno sgarbo o uno sgorbio sposa
la storia che fra noi mai fu
Ho fatto il mio dovere,
e l’ho fatto per amor mio,
per amore della mia statura
Voi anelate a un’incomprensibile banalità,
io a una professionalità uguale
a quella di uno che semina morte
Voi cercate ancora la luna in fondo al pozzo,
io no,
io so che posso essere più d’un cecchino
Ho fatto il mio dovere
mentre Dio si dava via a una distrazione,
a un capriccio di donne un po’ così e così
Ho fatto il mio dovere
consumando il passato a lume di candela,
aggiustando versi su versi
fino a sfiorare una perfezione da coglioni
Voi anelate a vivere fra nani e mezze verità,
voi amate andare avanti con le gambe corte,
io no, punto a una semplicità più che perfetta
che uno a uno sgozzi agnelli bianchi e neri
Ho fatto il mio dovere,
fino in fondo ho fatto
tutto quello che andava fatto
per amore della mia statura,
della mia statura solamente
E ora non ricordo, più niente ricordo
Solo anelo a una professionalità uguale
a quella di uno che semina morte,
solo aggiusto lo sguardo per cacciarmi
in una perfezione da coglioni e superarmi
SUI LIBRI
Non posso dire
che i libri m’han salvato
la vita o restituito un briciolo
di quella fragile ingenuità
di quand’ero bambino
e per il mondo dei sogni vagavo
Non posso dire
che m’han dato identità
o dignità che già non avessi
negli anfratti dei cessi
I libri, i loro autori appartengono
a quella gran buffonata
che noi, con flebile serietà
ma di più con voglia assai
di truffare il prossimo,
chiamiamo poesia e umanità
IN ATTESA VIVIAMO
In attesa viviamo
come nel braccio della morte
Come cani e pagliacci
che il gioco dell’osso aspettano
per ingannare il tempo
che gli rimane da ingrassare
MI SEI CADUTA NEL CUORE
mi sei caduta nel cuore
in un giorno che addosso
mi piovevano sassi;
e dal cielo gli angeli
han preso a ridere
del destino che adesso
noi insieme a combattere
MEMORIE
le tue piccole carezze
le tue piccole gioie
le tue piccole amarezze
le vivrò sulla pelle
baciandoti con la pioggia,
amandoti con il sole
le tue memorie
mi saranno care
più di tutte le vite
che in passato ho vissuto
lontano da te,
inutile a chiunque
L’INUTILE
Una strega maligna
più d’una lingua lunga
m’ha legato,
costretto a scrivere
poesie a cottimo
perché un giorno
un pazzo a me simile
scoprendomi postumo
si possa far vanto
d’esser pure lui poeta
inutile come il vento
che si porta
sull’immobile sabbia
degli aridi deserti
DIVINA BELLEZZA
Nell’acqua bassa
arrossendo
cerchi di nasconderti
almeno un poco
per uno sguardo
che furtivo
ha rapito
uno spruzzo
della tua bellezza
Così seducente
mentre le braccia
le porti al seno
alla bell’e meglio
nascondendolo
all’occhio sconosciuto
E sulle gote
vivo impresso
rimane il rosso
della giovane vita;
così divina tu sei!
Che Belle, scelgoil violino Ciao King Ti Voglio Bene!!!
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Uffy, non riesco più a mettere un’immagine! Perchè?
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Questa fa sorridere
L’INUTILE
Una strega maligna
più d’una lingua lunga
m’ha legato,
costretto a scrivere
poesie a cottimo
perché un giorno
un pazzo a me simile
scoprendomi postumo
si possa far vanto
d’esser pure lui poeta
inutile come il vento
che si porta
sull’immobile sabbia
degli aridi deserti
Perché anche senza la strega tu scrivi poesie di cottimo! 🙂
Buongiorno Caro King ^_^
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Ti piace quella del violino, va bene, allora è tua. ;-*
Ti voglio bene anche io. ;-*
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In effetti è un po’ ironica, per cui fa sorridere. 😀
Buongiorno, carissima VIoletta. ❤
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