Nella tortura della polvere

Nella tortura della polvere

ANTOLOGIA VOL. 184

Iannozzi Giuseppe

anonimo

LIBERO PIÙ DI DIO

Il naso quasi uguale a quello
di quel Pinocchio sì ingenuo,
e tante tante inezie da scontare,
ma nessuna voglia di bruciare
tra le fiamme per farmi fiamma
anch’io

Nessun Dio, nessun Mefisto
nel cuore o in una tasca:
per questo solo mi dirò
un po’ Pinocchio, un po’ imperfetto
E così chi mi ama potrà seguirmi
o inseguirmi là dove vado io,
là dove non esiste il giudizio
di certi infami che in bocca hanno
profonde carie e immense bugie
pronte a giudicare chiunque
per presto sbranarlo nel rogo
d’una più che mai falsa verità

E tu, se ancora mi ami un po’,
se credi di sì, provaci a prendermi…
io libero più di Dio

EPITAFFIO

Lascia che dicano e dicano…
han soltanto la loro parola,
l’epitaffio tremendo
che per sempre li seppellirà
nella muta terra senza pietà

IO NON AMO (E TU NON AMI)

Mi piace immaginare la rugiada
che al mattino rinfresca i fiori,
e amo guardare le tue lacrime
mentre fumo la prima sigaretta
Mi piace il rumore del fiume
e la sua risata che invade la casa;
amo il sudore che scivola sulla tua pelle
e vorrei dirti di non lavarlo via,
di non chiuderti in bagno, nel box doccia
Amo il tuo corpo e l’anima che l’accompagna
Ma io non amo la frusta della tua lingua
Ma io non amo vederti chiudere la porta

Tu come la bianchezza d’una colomba in volo,
come una vestale sposata alla mia ombra,
per tutto questo ho preso la tua anima
Tu come l’audacia d’un’aquila sulla preda,
come il desiderio di Maria Maddalena per Cristo,
per tutto questo ho preso il tuo corpo
Ma io non amo la frusta della tua lingua
Ma io non amo vederti chiudere la porta

E tu ridi, e piangi. e castighi
Poi fuggi via in un addio ma mai per sempre

E io non rido e non piango, però bestemmio
Sodomizzo poi dei nostri corpi l’impronta sul letto

Tu non ami la frusta del mio cuore.
e non ami vedermi aprire la porta

Ci lasceremo liberi oltre noi stessi
quando non ci sarà più alcuna Stagione,
perché io non amo vederti chiudere la porta,
perché tu non ami vedermi aprire la porta

Ci cercheremo liberi oltre noi stessi
quando sarà finito il tormento dell’Eternità
perché io non amo la frusta della tua lingua,
perché tu non ami la frusta del mio cuore

RICORDERAI IL SORRISO
(da “Donne e parole”)

Ricorderai il sorriso
che ti amava tanto,
che t’imbarazzava tanto

Scoprirai che,
che fra sole e luna
davvero poi non c’è
tutta quella differenza,
tutta quella diffidenza
che gli amici dicevano a te,
che i cinici
insegnavano ieri a te

E scoprirai da te,
da te,
che male davvero non c’è
sotto la neve bianca,
né sotto la cenere ancor calda

E ti chiederai perché,
(perché?)
ogni cosa ha fatto male a te,
a te più che a me

E, fra le lacrime
con o senza un perché,
puntini di sospensione…

I.

Mi spiace,
l’indice,
che girava
a una a una
le pagine
del Libro Sacro,
accusa stanchezza,
è adesso inceppato
o giù di lì,
come il grilletto
nel corpo rugginoso
di una pistola

Mi spiace,
non c’è più
una sola poesia
che sappia colpire;
dalla canna,
di tanto in tanto,
sol vengono fuori
abusate banalità
– parole a salve

II.

Andiamo, andiamo,
prendiamo su con noi
anche dio
o quel che ne resta

Andiamo, andiamo,
Lovecraft
sta già abbassando
il sole

Andiamo,
andiamo a bussare
alle porte del paradiso

Andiamo, andiamo
a sputare due risate
venute male:
non sarà come prima,
non sarà mai più la bellezza
d’un sognare a occhi aperti
a dominare
sugli spazi in ombra

Andiamo, andiamo,
Lovecraft
sta già pescando
dalla luna nel pozzo
la pazzia dei fantasmi

Andiamo, andiamo,
anche se il ritardo
che portiamo sulle spalle
è davvero pazzesco

Andiamo,
andiamo a bussare
alle porte del paradiso
Andiamo,
andiamo a consegnare
le spoglie di dio
a chi troveremo o no

III.

E diranno
Hanno voce,
lascia che dicano:
hanno svegliato
il mattino,
abbandonando
nella polvere
la sua bellezza

Diranno
Hanno voce
e a ognuno di loro
gli suggerisce l’Eco
le peggio cose

Lascia che
nelle parole
all’inconsistenza votate
si seppelliscano
oggi e domani

IV.

Un trucco, così domani smetto,
smetto i ricami punto croce,
le lusinghe delle pagine, l’alfabeto…
Smetto di seppellire cimiteri
in spazi pieni di epitaffi a vuoto

V.

E poi perdersi,
e poi, per un momento
o due anche,
in movimento ritrovarsi
come se non contasse
il Tempo i battiti suoi
e tutte le Scadenze
tra gli ingranaggi
incastrate e rimandate

E poi scoprire
che solo fu lo scherzo
d’un triviale giullare
questa buffa nostra vita
che mendichiamo a vita

VI.

Buono, cattivo
Nessuna la differenza
Nessuna sofferenza
se di Troia le mura cedono,
se il cieco vate racconta
il falso o il vero, l’inganno
che ugual torto muove
a chi in piedi o disteso

Domani
di altri saranno i corpi esposti
e nella tortura della polvere trascinati

VII.

C’è chi con l’inchiostro
dei fogli viola la verginità
e chi invece col rasoio
barbe e baffi taglia
ai sedicenti comunisti
alla poltrona arrivati
col sorriso su intatto

Strumento affilato assai
in mano a entrambi,
anche se a onor del vero
potrebbe del barbiere
la mano tremare
e di netto tagliare
agli impostori la giugulare
ben prima
d’un articolo di giornale

VIII.

Tornare indietro,
far fuori Plutarco,
le vite parallele,
l’influenza dei caratteri
in positivo
o in negativo

Tornare
a un perfetto niente
che non conosceva
né il Bene né il Male

Tornare
a scaccolarsi il naso
per il piacere
di respirare vuoti d’aria

ASCOLTANDO VOCE DI RASOIO

Io mi chiedo perché
Sei sparita quando dicevi
che andava tutto per il meglio,
che le tue ciglia non mordevano lacrime
Sei andata via,
lasciando un buco nella vita mia

Alle pareti sopravvivono le tracce
di tutti i quadri che hai portato con te
Sulla scrivania, accanto al calamaio
riposa la cornice
che fa prigioniera la tua immagine
Sei andata via nel più freddo giorno d’inverno
Hai detto che andava tutto a meraviglia,
che non mi dovevo meravigliare
se ridevi come una pazza a ogni ora
Ti accendevi poi una sigaretta
e la mano l’allungavi verso la bottiglia,
e il bicchiere lo riempivi una due tre volte

Sei andata via che era quasi Natale
Qui fa un freddo cane, proprio come allora:
le strade sono battute da uguale solitudine,
gli ambulanti vendono castagne calde a nessuno,
e un bambino spara palle di neve contro un albero
È che non me ne sono fatto ancora una ragione

Chissà se adesso mi stai pensando
o se mi stai dimenticando nell’orgasmo
d’una nuova felicità a me ignota più della verità
Ma lo so, sono gli oziosi pensieri
di uno che piano piano aggiusta la puntina sul piatto
per poi accasciarsi in poltrona
sotto la voce di rasoio di Cohen

Sei andata via
Sospetto che lo hai fatto apposta
di non lasciarmi neanche un biglietto
Non ti potrò perdonare mai:
il clima di festa mi ha sempre danneggiato
Sono ancora qui al punto di partenza,
mentre rimetto a posto la puntina sul vinile

Manchi tu, ma Gesù risorge sempre
Sempre uguale a se stesso, ogni anno
Senza scucir parola, ogni anno ti rimpiango
ascoltando i miei più tristi dischi in vinile

CON VOCE DI RASOIO
(da “Fiore di Passione”)

Con voce di rasoio
all’orecchio ti sussurro: “Spogliati,
lasciami tornare a casa,
fammi tornare alla vita
o donami alla morte”

Con voce di baritono
t’invito a darmi a una musica proibita
Con mani nude e impacciate
ti prego di lasciarmi andare
o di donarmi a un tempo senza confini,
senza partenze o arrivi

Il mondo, questo girotondo infelice,
non credi anche tu
conti già fin troppi perché
senza alcun’ombra di risposta?
Questo gioco mio e tuo
non è forse abbastanza
per andare avanti?

Se la cerchi c’è, se la sai vedere c’è
una Fontana di Trevi in ogni città,
fra macchine e fabbriche di rabbia
Possibile tu non avverta
come viene, come viene su,
limpida e fresca, l’acqua?
Con delicatezza
in un lampo bagna caseggiati,
alberi e giardini,
e fanciulle in fiore, innocenti o quasi

Come un monaco tibetano
all’orecchio ti sussurro: “Spogliati,
lasciami tornare a casa,
fammi tornare alla vita
o donami alla morte”

Ho nel cuore il suono d’una campana
e in tasca un rasoio ben affilato
per prendermi cura di me,
dello spirito che albe e tramonti
allo stesso modo bacia

Come un uomo, come un bambino
ti porto il mio ordine bene in chiaro:
“Spogliati, spogliati per me,
senza vergogna spogliati
e mostrami la tua femminilità
senza arrivi o partenze”

Come uomo, come uomo
t’invito a tagliare
il cordone ombelicale
al poeta che non sono,
affinché possa venire in te

VOI ANELATE A UN’INCOMPRENSIBILE BANALITÀ

Voi anelate a un’incomprensibile banalità,
io a una professionalità uguale
a quella d’un condannato a morto

SULL’IGNORANZA

L’ignoranza è quella parte di noi più vera, sudicia, potente: è l’anima che dà vita all’uomo nel bene e nel male.

NEL FREDDO SOLE

Aveva occhi grandi, smaniosi un po’,
e non guardava in faccia nessuno:
solo allungava la mano,
e da solo s’accompagnava
infilando una strada e un’altra, ripetendo
“Si continua a sparare sulla Croce Rossa”

Nel freddo sole cadde,
come il mattino in inverno,
cercando un rifugio che fosse vicino,
ma invano:
prima gli arrivò il passo suo rotto
a tagliargli la strada… soffocandogli il petto

Lo ricordo che m’incontrava
per un alito di parole e qualche spiccio;
lo ricordo che mi raccontava
di quand’era un ragazzino col suo aquilone;
lo ricordo che piangeva,
con occhi consumati, di lei ch’era andata via;
lo ricordo che gli faceva, più di me, compagnia
il rosso del vino e la sua anestesia

Aveva occhi grandi
e un cuore più grande ancora,
ma malato di troppe solitudini e umiliazioni
ricevute

Raccoglieva solo pochi spicci,
senza mai chiedere di più

Alle indecenti convenienze proposte,
sempre, per sempre rispose
con un secco “No” ubriaco di dignità

Cadde, come il mattino in inverno,
nel freddo sole
Ma l’eco del suo dolore al vento
non la lasciò in eredità
Non la lasciò in eredità

DOMANI SARÒ MORTO

Domani, domani sarò morto,
così penso che è proprio il caso
che abbia indietro un sogno o un incubo:
le scarpe e il rossetto rosso per lucidarle,
il cappello e il saggio su Erasmo da Rotterdam,
e se hai cuore, un po’ di quella tua zuppa di piselli
Ma sarei più felice se volessi darmi indietro
la mafia di Frank Sinatra e il diavolo dei Rolling Stones

Domani, domani sarò uguale a tanti altri,
così penso che è proprio il caso
di dire quel che c’è da dire, adesso:
la molotov inesplosa è accanto alla culla del bambino,
il mazzo di rose che ti ho regalato ce l’ha tua madre,
i profilattici, quelli, li ha presi tuo padre per sbaglio
E’ tutto a posto, come sempre
Solo non so dove Sinatra e gli Stones

Tutto qui, domani sarò morto
Era giusto che lo sapessi dalla mia bocca,
perché fuori c’è Morte e io ne sono parte:
si salveranno solo i più sfortunati

E il jingle è uno strillone e giornali invenduti
che ripetono “Dove Sinatra e gli Stones?”

E il jingle è uno strillone e giornali invenduti
che ripetono “Dove Sinatra e gli Stones?”

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
Questa voce è stata pubblicata in amicizia, amore, arte e cultura, attualità, cultura, eros, Iannozzi Giuseppe, passione, poesia, società e costume e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.