La confessione

LA CONFESSIONE

Iannozzi Giuseppe

confessore

“Padre!”
“Sì, figliolo.”
“Come vuole lei, ma sono figlio di nessuno”, puntualizzo.
“Tu mi hai chiamato Padre!”, ribatte lui.
Fingo di non aver sentito.
Tossisco.
“Dio ama tutti allo stesso modo”, dice con un tono di voce indecifrabile. Fa un breve pausa, poi aggiunge: “Parla pure.”
“Anche se in mano hai la carta più alta; anche se lo sai di essere il migliore e il più giusto tra i geni ribelli; anche se tutti ti temono e mai si azzarderebbero di giocare al tavolo con te; anche se ti hanno eletto cavaliere oscuro; anche se cadono i muri e le recinzioni insieme ai castelli di sabbia della fanciullezza; anche se potresti essere al di là del bene e del male per innalzare la necessità al ruolo che da sempre le spetta; anche se avresti un milione di buone ragioni per vincere e continuare a distruggere idoli e falsità; anche se potresti vincere, accade qualcosa in te, comprendi che… e allora sai che di più ti conviene non giocare la carta della vittoria, e così dai le spalle a tutto e a tutti, perché sia l’eterna lontananza in un addio a portare avanti, meglio di te, il tuo gioco contro la mediocrità.”
Il vecchio confessore, nascosto nel confessionale, trae un bel respiro.
“Non capisco.”
“Non è facile da capire”, ribatto io. “E’ una storia lunga, molto lunga.” “Ho tempo per ascoltare.”
“Non è così facile. E’ la storia della mia vita.”
“Non è detto che tu debba raccontarmela tutta oggi.”
“Non è così facile. O gliela racconto per intero o non la racconto affatto, perché potrei aver ucciso qualcuno!”
Il confessore tace. Forse non sa che pesci prendere.
“Perché sei venuto allora? Non intendi confessarti, non credi in Dio, ma vuoi che ascolti la tua storia.”
“Esatto. Voglio soltanto che lei ascolti la mia storia perché, bene o male, un libro l’ho letto: la Bibbia.”
“Non ti seguo.”
“Padre, non credo in Dio, però, come le ho accennato, forse ho ucciso qualcuno. Non ne sono sicuro. E’ passato un po’ di tempo e certe cose tendo a dimenticarle, o meglio a seppellirle.”
“Ed ora soffri, sei ossessionato: l’ombra di Banco si è finalmente presentata a Macbeth.”
“No.”
“E’ tardi, figliolo.”

“Capisco, padre. Le sto portando via il suo tempo.”
Mi alzo dall’inginocchiatoio e faccio per squagliarmi.
Pensavo che venendo in chiesa, avrei trovato qualcuno disposto ad ascoltarmi, come tanto tempo fa faceva Francesco.
Non ho più saputo nulla di lui. Ci siamo persi, e forse la colpa è mia. Ci sono tanti punti oscuri nella mia vita, così tanti che nemmeno il Diavolo saprebbe dove sbattere le corna.
“Resta, resta figliolo! Non è tardi, non per te. Per me, forse sì. Dio è un pagliaccio con delle idee bizzarre, ma…”
“Non mi chiami figliolo”, lo zittisco mentre esce dal confessionale.
E’ più vecchio di quanto immaginassi. Di sicuro ha superato l’ottantina e non ha affatto l’aria di uno che se la passi bene. Le rughe sul suo volto dicono più di mille parole.
“Non credi in Dio. Bene, non ci credere”, fa lui sereno trascinandosi fino all’altare, come uno al quale abbiano legato sulle spalle una croce di piombo.
Si mette assiso davanti all’altare, su un gradino di freddo marmo e trae un profondo respiro.
Lo raggiungo, seppur poco convinto che questo ometto possa essermi utile. E’ già un miracolo che si regga ancora in piedi. Sembra una vecchia scimmia. A ogni modo mi metto comodo pure io accanto a lui.
“Padre, lei si è mai chiesto chi ha creato Dio?”
“Dio esiste da sempre. E’ eterno.”
“Padre, questa è una stupidità e lei lo sa meglio di me.”
“Anche se lo fosse, be’, è la verità che noi conosciamo.”
“C’è un’altra verità ed io ho ucciso… forse ho ucciso qualcuno per conoscerla questa verità.”
“Sei un tipo difficile tu. Non riesco a seguirti, ma forse è colpa della vecchiaia.”
“Vuole ascoltarmi o no?”, sputo secco.
“Mi sono messo comodo apposta. Parla, parla pure. Sono abbastanza in là con gli anni per non dovermi preoccupare di quel che dirai.”
“Quand’è così! Non è una bella storia e non c’è il lieto fine. Nessuna storia che valga due soldi finisce come vorremmo.”
Lui sbuffa, un po’ divertito, un po’ rassegnato.
Non ho idea se ascolterà sul serio la mia storia, con il cuore e con l’anima, né oso immaginare quello che poi penserà al riguardo. Ho però bisogno di raccontare quella che è stata la mia vita. Il perché non lo so bene nemmeno io. Non mi pesa sulla coscienza niente di tutto quello che ho fatto. Per dirla in maniera spicciola, talvolta il bisogno è di parlare e basta, soprattutto quando la mente ha viaggiato più del corpo che la ospita.
Mi schiarisco la gola, dando due colpi di tosse che subito si fanno eco spandendosi al di là delle povere arcate della chiesa.
“Padre, questa non è una confessione”, ribadisco al prete che, adesso, mi guarda dritto negli occhi, più interessato di quanto non lo fosse all’inizio. “Come le ho accennato – forse, e lo sottolineo ben forte questo dannato forse – ho ucciso”. Faccio una breve pausa. Devo essere sicuro che lui non si limiti ad ascoltarmi con le orecchie soltanto, perché, innanzitutto, ho bisogno che ascolti con quell’anima in cui lui crede ed io invece no. Cado in contraddizione, aspettandomi che questo pretino faccia della sua anima un vaso atto a raccogliere la cronaca, minuto per minuto, della mia vita? Non lo so, e, in tutta sincerità, me ne frega meno di niente.
Il prete mi invita a continuare, a sputare il rospo come si usa dire.
“D’accordo, hai ucciso, forse che sì forse che no. Ed è peccato, il più grande che un uomo possa commettere, indipendentemente dal fatto che uno nutra una sincera fede nei confronti di Dio o viceversa. Ma l’uomo è figlio di Caino, da sempre!”, sentenzia, con un tono di voce ammaccato, quasi volesse lasciare a intendere che uccidere non è il più grave dei peccati.
E allora glielo dico secco: “Non un semplice uomo.”
Lui non capisce.
“Potrei esser stato io l’assassino di Cristo.”
Lui sorride, mentre sulla fronte di rughe gli si formano alcune gocce di sudore.
“E non parlo in senso figurato”, sottolineo.
Il pastore sospira. Non capisce. Forse pensa che io sia fatto o matto completo. Sta bene così. Pensi pure quel che vuole. Non sarò di certo io a mettere in dubbio che, nel corso della sua carriera ecclesiastica, avrà avuto non poche occasioni di ascoltare i deliri di penitenti che gli avranno raccontato d’aver ucciso il Figlio di Dio.
Sospiro anch’io, poi comincio a raccontare, a ruota libera, sperando di non far troppi casini nel cercare di spiegare la mia posizione.

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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2 risposte a La confessione

  1. Lady Nadia ha detto:

    Per un attimo ho temuto che l’uomo uccidesse anche il prete. Davvero un bel pezzo che tiene sulle spine, però cavoli, avrei proprio voluto sapere!
    Ma il suo bravo autore così ha deliberato, e dunque me lo faccio andar bene. È un grande racconto, mi è davvero piaciuto. C O M P L I M E N T I.

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  2. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Davvero lo hai pensato? Beh, non ha ucciso il prete, però crede di aver ucciso qualcuno di molto importante. Secondo me non ha tutte le rotelle a posto. 😀
    No, non ci sarà un seguito!!! A dirla tutta il seguito c’è, è in un romanzo che pubblicai tanto tempo fa.

    In pratica, dal romanzo che pubblicai anni or sono ho ricavato questo racconto. Grazie, Nadia.

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