Morimmo come slot machine
ANTOLOGIA VOL. 252
Iannozzi Giuseppe
SIAMO
Qui noi si aspetta
Buddha di periferia siamo,
nella luce delle albe
e dei tramonti sempre uguali
spiamo, sperando di scorgere
una sfumatura di colore
che sia un poco originale
NON È L’ULTIMO SALUTO
E adesso dormi,
e non immaginavi potesse essere così,
o forse sì: gli occhi chiusi e il buio davanti,
ma pure lui ha importanza uguale a zero
ché non lo puoi distinguere né intuire.
Ma io ricordo, non dimentico le carezze
che mi sapevi portare; non dimentico
quelle nostre discussioni senza fine
che sempre finivano come finivano,
senza soluzione, incastrate fra albe bastarde
e tramonti sempre alla boia d’un Giuda;
e sempre ce lo dicevamo che non ci credevamo
in un’altra vita, e nel nostro dire non c’era
sorpresa né disperazione, un vaffanculo sì.
E adesso dormi, dormi e non ti sveglierai
anche se ci sono puntini di sospensione,
milioni di stelle che con la loro inutile luce
il sepolcro tuo fingono di portarlo
all’attenzione d’un Dio onnipotente,
senza saper di te un’acca, un capello.
E adesso dormi, dormi e oggi come allora
sorrido io a te, con quel mio sguardo
che un po’ t’inteneriva perché di bambino
che dei serpenti ha capito la metà d’un cazzo,
e delle donne ancor meno.
E adesso dormi,
ma non è questo un saluto per dimenticare
e ogni ricordo di te seppellire;
non è questo il mio ultimo saluto, dolce Lupa!
CORVI
volammo come corvi
morimmo come slot machine
ROSE ROSSE
Rose, tante rose rosse per te
Rose, solo rose meritano le rose
Queste rose sulle tue gote
Queste rose rosse per te
Per te rosse, per te rose,
rose di delicati petali
Rosse di vita, rosse di gioia
Rose di nostalgia quando vai via
Rosse rose, rose rosse, sempre rose
Rose su ogni stilla di miele
che dalla tua bocca alla mia
Rose, rose colte per te
che arrossisci da una vita intera
Quante e quante rose, Bella Mia
IDEALI
No, gli ideali no
Tradiscono
gli ideali,
bandiere instabili
E quando muoiono
lasciano
il loro cadavere
in eredità a te
che li hai abbracciati,
perché
ti possa tu ricordare
che c’è chi sol attende
d’esser da te tradito
IL MAESTRO E MARGHERITA
Beata te
che hai un diavolo
per capello
Io solo un ombrello
tutto rotto
che non mi ripara
dalla neve le spalle
né altro
Io vado in giro così
senza troppe pretese,
senza fare spese
Le tasche bucate
vuote
da sempre
Un bianco mimo
sulla strada
m’indica l’amore
col gesto d’un ceffone
E rimane che il dolore
seppur finto
io lo sento fitto e tutto
penetrar la carne
Il termometro segna
sotto lo zero
Domani,
poco ma sicuro,
nevica di brutto
C’è un tempo
che è un inferno di ghiaccio:
i cuori son lenti lenti,
e non uno sguardo
a portare un breve calore
su me
C’è un tempo
E che tempo!
Beata te
che hai un diavolo
per capello
Io solo un ombrello
tutto rotto
e poco poco cervello
Perché amo,
amo ancora te
che sì e no ti ricordi
di me
Di me
che cerco e cerco,
e mai trovo
la fiamma dei tuoi capelli
raccolti in sogno
nell’incavo della mia spalla
GIORNO DI NOVEMBRE
Quel giorno di novembre
il vento soffiava forte
sulle foglie brune:
piangevano
addosso a noi
avvolgendoci
nel malato loro abbraccio,
quasi presentissero
che da un momento all’altro
dalle tue labbra
sarebbe dilagata la condanna,
che m’avrebbe visto
per sempre lontano
dal tuo sguardo di luna
Resistevo,
malato e brutto
nel tuo sguardo resistevo,
consapevole che l’autunno
ogni foglia porta a marcire
fra la pioggia,
lavando nei cimiteri
epitaffi scritti a mano
da bizzarri poeti
sol ricchi delle loro parole
Con l’indice
subito mettesti a tacere
il crisantemo appena fiorito
dell’inutile mio balbettare;
e già sentivo io nascere
singulti su singulti dentro
al commosso mio petto,
e già sentivo montar forte
il tuo disprezzo per me
Negli anni che seguirono,
imparai a esser tomba,
a soffocare sul nascere
ogni emozione
TRA L’ARNO E IL PO
Ricordo ogni minuto
di quei giorni
che furono due soltanto,
simili a veloci gabbiani
riflessi su l’Arno
Di sassi le tasche piene
Difficile il cammino,
il sole addosso
e l’ansia a segnare la faccia
d’angoscia e altre sciocchezze,
quasi uguali a carezze
che nessuno vorrebbe su sé
Ricordo ogni minuto
E sì, oggi comprendo:
Florence, un giglio
e strade di ciottoli
come grani
d’un rosario strappato
Ricordo sì, ogni particolare
e un dormire di poche ore
su una branda vicino all’abbaino,
il tetto spiovente e la luna puttana
a contarmi le età sulla faccia
di salse lacrime piovute
per chissà quale distrazione
Ricordo il secondo giorno
a camminare sotto il primo crepuscolo
con gli occhi di cispe e la bocca di nicotina
Muti i pochi volti mi passavano accanto,
mentre allungavo il passo e accorciavo
tiro dopo tiro la cicca fra le labbra
Troppi grilli per la testa;
e però quando ce li hai dentro
a cantarti amore, non lo capisci
che stai perdendo la bussola
insieme alla dignità
Perché tutti, prima
o poi, sogniamo quel che sogniamo:
una disperazione
e una fine con occhi letterari
Tutti pensiamo
a quella morte che si dice
sfoglierà le pagine di Leucò
E ti svegli poi una mattina,
scoprendo che l’urlo non c’è,
che finito è il tormento
così com’era iniziato
E scopri d’aver un sogghigno,
che ti rende un poco attraente
E capisci da te che è stato lei
un appunto, un frammento,
nulla di più
E prendi una nuova strada
– che conosci da sempre –
con l’occhio buttato
sui riflessi che sul Po
sconfinano…
col fiato buono,
lasciandoti alle spalle
cenere e cicche,
le apparenze d’una gioia
che fu di due giorni appena
SCHIENA DI VENERE
Se nuda scoprissi la tua schiena
impazzerei nella perfezione
della sensualità femminile
Se nuda scoprissi la linea
che ti fa Venere, d’amor morirei
col sorriso di Dio in bocca
KING LEAR
I sudditi miei – ah, me tapino! -,
li dovrei tutti fustigare,
e metter poi a pane e acqua
così che possano sentire
pure loro il morso feroce
che m’è dentro allo stomaco
Un morso sì forte
che non lo si può domare
con carezze o preghiere,
con magie di streghe e diavoli
Ché un Re, come me Pazzo
soltanto ha sudditi che mettono
avanti a sé l’inchino
e sulla bocca il sorriso più feroce,
illudendosi di nasconderlo
al vuoto mio sguardo
Come se fossi da sempre orbo,
i miei sudditi così illusi sono!
Se sol sapessero
tutto quello che io ho visto,
al mio cospetto allora tremerebbero
e non oserebbero tramare stronzate
col favore delle ombre e dei ventagli
Se solo sapessero, i miei sudditi!
Se solo… Ma niente sanno
Solo da vicino conoscono
la solita oppiacea nebbia
che li porta di campo in campo
a inseguirsi senza mai toccare
alcunché
Se solo… allora sì che la fronte
gli cadrebbe a toccar il freddo
pavimento di pietra millenaria
E come me tacerebbero
E come me il morso allo stomaco
lo accuserebbero
0.
Per un esercizio di stile si muore senza un dio, senza una donna o una dama di carità, senza carie da sputare.
I.
Da un incubo goduto a metà
si leva da folle occaso il sole
Un sogno abortito a metà
e nella fontanella cranica
si dimentica il bambino
E niente più bonsai poi
II.
Sol dicea
“Quel che ho,
poco o niente,
nell’anima mia…
ma di più quel che
non scorgete”
Sol dicea
la povera sua verità
che i Signori li seppelliva
in un indiscusso silenzio
III.
Un origami la donna,
sfinge anche,
ma si sa che
di sé e dei diversi
mai è contenta
Talvolta
di Nemesi si fa figlia,
e di uomini e cavalli
le nude spoglie
non disdegna
IV.
Versi su versi
gettati giù,
uguali all’uguale
senza mai capire
che vuole il sole
tentazioni e stagioni
Ridicoli i poeti,
ridicoli tutti
sempre a sudare,
rapidi sì
ma mai abbastanza,
nel tentativo
di catturare
fra le bacchette di bambù
delle mosche il volo
V.
Più non dici
di Nerone,
delle liste di proscrizione:
che amici,
che nemici siamo stati!
Tartarughe rovesciate
nell’instabile
non improbabile stato
di perifrasi spezzate
Più non dici,
più non dici quel che dici!
Ma assorda
il non vuoto silenzio
l’orecchio d’un sordo,
che al rallentatore ridendo
ardito indaga l’intorno,
buffo uguale a un matto perso
che a un certo punto
lo sguardo lo punta dritto
per chissà quale affondo;
e proprio sul più bello poi,
sul ponte di suo già vecchio,
l’occhiolino scatta e fa cilecca
Abbiam parlato,
sai tu di cosa
E abbiam dimenticato
che non inghiotte la diaria
il diario delle confessioni
per benino imburrate,
nel latte cagliato scagliate
per un viaggio di andata
e una scoreggia di coraggio
del visto cieca
Ma che ci resta
dei pesci non pescati,
dei pani non spezzati,
d’un mai a noi ritorno?
La foto d’una festa,
un tamponamento non voluto
eppur accaduto
NELLA NOTTE A CERCARE
Con chiacchiere, bisbigliate o a gran voce sparate,
non lo turbiamo il sonno tuo: si rischia di svegliarti
e se ti svegli chissà che penserai, forse al bene o al male,
e andrai poi avanti su e giù nel cavo della notte a cercare
quell’uomo che la noia se l’è cercata col lumicino.
Non la svegliamo questa notte in coma, no… c’è la Luna,
e ne sa di più la Luna di donne e uomini nei letti raccolti;
dall’alto a uno a uno li illumina con un filo di luce appena,
ma è abbastanza per denudare i loro mai sopiti desideri,
a nudo li mette, e in cielo il posto presto lascia lei all’alba…
al Sole che gli occhi acceca e che i sogni li spegne
dentro al casino d’una città che la quiete non sa;
così questa verità, da sempre uguale, lo sappiamo,
non la possiamo oggi noi negare e nemmeno fregare.
Non la possiamo fregare, no,
non con un pizzico di sale e uno di vanità.
FRA I FILARI D’UVA
Fra i filari d’uva bruna
mi facevi l’occhiolino;
d’un tratto poi più non c’eri,
giocavi a nascondino
mentre il sole s’adombrava
e il mio core pure;
tema nutrivo che un mostro
t’avesse divorata.
Per quanto m’affannassi
nella cerca di te, nulla.
Soltanto rivoli di sudore
sulla mia fronte di rughe;
prossimo al pianto
le lagrime stentavano però
a sgorgare, perché più forte
era l’ansietà di richiamarti
a me, ma ogni mio grido
parea vano.
Di quest’incubo ubriaco
in ginocchio son caduto
e subito fu libero lo sfogo
in pianto. Ma com’eri fuggita
tornasti, senza che foglia
si movesse, e il mio capo
sul tuo petto raccogliesti
manco fossi un bambino.
Tornai così felice, goloso
e geloso di te più che mai.
UNA SANTA!
Sempre in chiesa,
seduta o in piedi,
ma più spesso
in ginocchio a mani giunte
Vecchia Amica mia,
non dimenticarti
in un eterno riposo;
ricorda che
non alla pace
fosti destinata
Sui vizzi seni
allarga la scollatura,
e sorridi
facendo finta di niente
QUALCUNO EBBE PIETÀ
lungo le strade nere suore
e puttane di professione,
e chissà quanti e quanti
norcini e becchini pulciosi;
di noi,
di noi morenti
qualcuno ebbe infine
crudele pietà
i corpi magri affannati affamati
e ancor vivi
gettati
in una fossa comune
solamente l’oblio ci bacia,
anonimi in eterno,
privati
dell’anima e della memoria
DICONO CHE SIAMO VITTIME
Dicono
che siamo vittime
Vittime di noi stessi
Che abbiamo sbagliato
a venire al mondo
Che nessuno ha colpa
se finiamo male
Dicono
che siamo carne da macello
perché il mondo è storto
Perché chi ha detto
che era tondo
ha sparato una grossa cazzata
Dicono
che faremmo meglio
a cambiare aria
A tagliare le catene coi denti
prima che ci scuoino uno a uno
Rispondiamo
che ci abbiamo provato
Che non è servito
perché in bocca teniamo
soltanto carie
e nemmeno un dente d’oro
Dicono
che ce la siamo cercata
BATTAGLIA
All’amore abbiamo fatto.
Fu morire
sul campo di battaglia.
SANGUE
In un fango
di sangue
sono caduto
prima del peso
dell’affanno
nel petto costretto.
SPETTRI
Sa la Fine
il suo spettro,
e anche
l’Amor sconfitto
riconosce il proprio
quando cadute,
a una a una,
le illusioni
ieri nutrite.
Che Bello Hai dedicato un poesia alla nostra amica Lupa
Dolce La poesia Rose Rosse molto delicata, credo in quello che hai scritto sugli Ideali, realistica Maestro e Margherita, anche se le margherite escono pure con il sole d’inverno, Mi fermo prossima tappa il resto Ciao King ,ma che tanto il resto, hai scritto un libro.

1 abbraccio, 1 Bacio Ciao♥♥♥
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Quel giorno di novembre evoca proprio la situazione che si viene a creare, quando tutti vanno nei cimiteri,la tristezza chi haperso un congiunto ce l’ha tutto l’anno, ma quei giorni sono proprio tetri, poi praticamente parlando ha ragione la tua poesia quando dice che non sai cosa ti riserva il prossimo anno.
Tra l’arno e il Po, mi piace quel tratto che recita :”Troppi grilli per la testa;
e però quando ce li hai dentro
a cantarti amore, non lo capisci
che stai perdendo la bussola
insieme alla dignità”
Stupenda la SCHIENA DI VENERE, King Lear, il re PaSSSSSo paSSSSo ma tanto buono e bravo, sono arrivata alla Notte a cercare, torno. Ciao Buon Sabato 1 abbraccio e 1 bacio ♥♥♥
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Non è la sola poesia che Le ho dedicato. Ne sto per postare delle altre.
“Il maestro e Margherita” è una citazione un po’ colta, fa riferimento a un famoso romanzo di Michail Bulgakov, non si parla quindi di un fiore, anche se Margherita, nella sua bellezza, la possiamo forse considerare un fiore. 😉
Non ho scritto un libro, è solo un post. ^_^ Però conto di raccogliere le poesie migliori in nuovo libro – e difatti ci sto lavorando su.
Grazie infinite, dolcissima Vany. ❤
Bacio e abbraccio.
King
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“Quel giorno di novembre” è una poesia triste, scritta tanto tempo fa. Mi piace perché descrive la vita, senza scadere nella melensaggine, anche se qualcuno potrebbe giudicarla troppo “nera”. 😉
“Tra l’Arno e il Po” la scrissi milioni di anni fa. Ma non ho messo alcuna dedica, non ne val più la pena. La scrissi che ero un ragazzo. Non è granché, roba simpatica ma nulla di più.
Continuo a non capire perché “Schiena di Venere” piaccia così tanto: io la ritengo una delle mie prove meno riuscite, troppo semplice e scontata. A ogni modo piace, e posso solo accettare il verdetto. 😉
Oh, non sono più paSSo paSSo come un tempo, mi sono dato una calmata, sono un uomo di 50 anni oramai.
Povera Regina Vany. 😀
E io ne sto per pubblicare già delle altre, nuove.
Un grande bacio, Regina. ❤ ❤ ❤
King
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