Qualcosa che sa di morte
ANTOLOGIA VOL. 242
Iannozzi Giuseppe
CI SIAMO INNAMORATI
Ci siamo innamorati
che eravamo troppo giovani,
ignoravamo la regola delle 5 W
Ci siamo innamorati
perché non avevamo altri sogni
in cui versare la coppa della giovinezza:
io le mie tasche di piena povertà,
tu la tua gonna con lo spacco
Eravamo due tipi alla moda?
A modo nostro eravamo belli
Belli e perdenti
Ci siamo innamorati
guardando un brutto film in un vecchio Cine:
all’incappucciato gli friggevano le cervella
mentre la sedia elettrica rideva elettricità
Eravamo troppo giovani
per poter capire che l’anima ha un suo peso
anche se non lo sentiamo
Ci siamo baciati
davanti a quel locale che è poi saltato in aria
sotto un cielo rasato da un tramonto di sangue
Tutti quei corpi morti ci facevano paura
Ci facevano sentire più storditi che mai
sotto quel cielo così tanto rosso, e l’IRA
Ci siamo innamorati
E abbiamo nascosto l’ignoranza
che ci divorava le budella:
del mondo, di come gira,
non sapevamo un emerito cazzo
Ci siamo innamorati a prima vista
E intanto Jeff moriva affogato e muto
E Tim dall’Aldilà suonava un disco rubato
al Mercato delle Pulci
Ci siamo innamorati
delle nostra bella retorica
e del David michelangiolesco
Ci siamo innamorati
e dio non ha degnato d’uno sguardo
le mie tasche vuote e il tuo spacco
Ma ci siamo innamorati
ed eravamo quasi innocenti
QUELLO CHE HO
Ho quel che ho,
tutto quello
che non ho!
Stanco il pugno,
di più però
nei pensieri il topo
Sul tempo
batto il dì,
il tropo che c’è:
così,
il re della foresta
a dormire
lo metto da me
Tu, mille poesie tu,
ma più immense
le mille stelle lassù
Quello che ho
bene non lo so
Questo so,
così qui io sto
RICORDI?
Ricordi, ricordi com’era la notte,
quando la notte era di buio
e le stelle non si vedevano?
Ricordi, ricordi com’era il giorno,
quando il giorno era di luce
e il diavolo bruciava le colline?
C’era la gloria
che dava da mangiare,
e c’era la cera
che si scioglieva vivendo in eterno,
e i fiumi non avevano inizio né fine
Ricordi, ricordi com’era ridere,
quando le campane si strozzavano
in una risata accompagnata
dalla verginità di mille fanciulle in fiore?
C’era la morte
che veniva e non faceva male,
e c’era la vita
che risorgeva e taceva,
e ogni cosa, ogni cosa si vestiva
di una specie di magia
Ricordi, ricordi com’era il suono,
quant’era bella la chitarra di George
che non sapeva smettere di piangere?
Ricordi, ricordi quando t’invitavo
a slegare dal collo degli agnelli
campanelli d’argento e sogni a non finire?
C’eravamo noi,
avevamo la nostra fantasia
e di altro non avevamo bisogno
C’eravamo noi,
ed eravamo felici anche quando
ci dicevano perdenti
Ricordi, o forse no,
così adesso la notte è solo la notte
e il giorno è sempre più avvitato in sé
Ricordi, o forse no,
così adesso piangiamo e piangiamo forte
e lo sappiamo bene il perché:
fingiamo, fingiamo la vita
e non la inventiamo mai,
e non la inventiamo mai
Non era questo che volevamo,
non era questo che volevamo
TU NON SAI, NON IMMAGINI
Tu non sai, non immagini
perché mai hai immaginato
il daffare dell’Ebreo sul Sinai
a spazzar via l’immondizia,
le bugie balzate in arcione
ad angeli vuoti di dolore
Tu non sai che più del ricco parente,
che dalla fortuna guidato ogni strada taglia,
si ama lo sconosciuto dalla terra vomitato
e Caino il cane che lo accompagna
Non immagini l’aspetto supremo
Non la immagini proprio
l’innata e ben rifinita colpa
che schiantò la schiena di Dio;
non sai, niente sai che non sia
compreso compresso e compromesso
nell’insegnamento ricevuto
Mai, mai hai conosciuto il poeta
che in perfetto silenzio
un singolo imperfetto verso scrisse
in diecimila bui anni consumandosi
Mai, mai hai saputo
che nel dolente petto d’una donna
al mondo intero sconosciuta
infine lui lo riversò
E mai, mai hai conosciuto quell’uomo
che con un semplice timido sguardo
l’imperfetta materia dell’infinito
in milioni di stelle la tagliò
Mai hai saputo distinguere quel dio
che con lacrime di diamante
la donna in catene più di sé amò
Così tanta bellezza non l’hai mai vista tu,
così tanta pienezza mai l’hai conosciuta
IL VENTO SU GIUDA
Oggi non nutri più alcun dubbio
Mi vedi appeso a un misero alberello,
di tanto in tanto, sbatacchiato dal vento
Mi chiamavo Giuda
É dentro agli occhi tuoi il ritratto mio,
quello d’una scimmia brutta oltre ogni dire,
con il collo tirato come quello d’un gallo
Il Maestro aveva promesso Inferno e Paradiso
Aveva promesso, con troppa leggerezza!
La triste mia immagine l’accarezza il vento,
il vento con la sua mano pesante di freddo
Non un angelo, non un demone o un agnello
Si sta nell’assenza vuota di sentimento e basta
Questa l’essenza estrema, invincibile buia vuotezza
che nessuno la può spiegare; e il nome che fu tuo,
poco ma sicuro, da chi in vita viene proferito
o profanato
Oggi non hai più alcun dubbio
Che tu m’abbia amato o odiato,
alla fine conta meno di niente
Resiste il nome che fu mio
in bocca a mille idioti che fato uguale al mio
presto o tardi avranno, senza la speranza
di poter cambiare una sola virgola
Mi vedi, e il ritratto mio ti è ridicolo assai
Però io mi chiamavo Giuda e fra le scimmie
ancor oggi vengo chiamato in causa
più del Padre, più del Maestro sì tanto buono
eppur di me assai meno menzionato
MAGNIFICI PERDENTI
sulle orme di Leonard Cohen
Seduto a un tavolino francese
su un taccuino giallo le mie poesie;
ti faceva ridere l’idea, vedere
che dal sole al tramonto Io bersagliato
su asfalto e cemento
l’ombra mia ebrea s’allungava
Chissà se hai mai visto l’aurora sfaldarsi,
se sei stata mai sfiorata dal pollice di Dio,
dall’implacabile sua tenerezza!
E dove sei ora, a cosa pensi,
non lo so
E che fai ora, a chi pensi,
non lo so
Forse ancor ridi di qualcuno
che nella Cabala si perde
sognando d’averla vinta sulla vita
Chissà se hai mai saputo di quell’uomo
che dal niente tirò su un faro abbandonato!
Chi sa quante cose, quante ancor non sai
Forse, forse solo ancor ridi di qualcuno
Forse ancor non comprendi il niente
e chi di te ha una disciplina più forte
COME RONDINI SUL FILO DEL RASOIO
Come rondini sul filo del rasoio,
grandi si diventa
senza dimenticar mai la fantasia
In questo cielo dove io sto,
se lo vuoi mi puoi trovare o no;
sempre resisto e mi dico contro
le brutture delle mode del mondo,
e a mio piacimento modello
le nuvole e sogno forte,
e sfido degli dèi l’ira profonda
In lungo e in largo
nei mari delle fantasie ho navigato
la vela contro i tempi spiegandola,
il timone ben saldo reggendolo,
scontrando di Orione le tempeste
per cattiva sorte
addosso a me sputate;
e se disperato
un pianto o un canto
ieri oltre i sette cieli l’ho levato,
nulla davvero
è andato nel Cieco Niente perduto,
ché ancora sono qui
come una rondine che non si arrende
Come una rondine sul filo del rasoio
non meno vanto,
ma improvvisando guardo largo…
oltre le consuetudini delle possibilità alari
guardo largo
ACQUA SOTTO I PONTI
(quella bambina)
In quel lontano giorno d’estate
che la pioggia era appena cessata,
l’acqua del fiume piano scivolava
dalla fine d’un morto arcobaleno
a un ponticello di legno: allegro,
il riso d’un bambino sgorgava
dalla gola e di note il pelo dell’acqua
faceva vibrare
Accanto gli stava una ragazzina:
adorante lo fissava per la calma,
lui e la sua canna da pesca tesa
lanciata fra le onde lente-veloci
specchio d’un cielo capriccioso
ma non abbastanza da minacciare
altra pioggia; con destrezza un pesce su
e poi un altro, proprio come un uomo
Sorridente così, per tutto quel ben di dio
Così sorridente, vincente
Fu allora che lei lo baciò, all’improvviso
senza saper bene perché, consapevole però
che andava fatto prima che fosse un’altra
a carezzar d’amore le imberbi guance
Da allora i giorni son volati fra amenità
e alcune confortanti
ma non troppo genuine verità;
forse ancor ricorda lei quel primo bacio
dalle labbra volato
Sembrava a portata di mano ogni cosa
Ogni cosa davvero, fosse essa facile o no
E oggi non saper dire dov’è finita
quella bambina, se sia donna e madre;
e sempre svegliarsi presto con l’alba
in faccia, e scoprirsi a pregare perché
l’uomo che accanto le sta possa non trovare
nel dedalo dei sogni del risveglio la strada!
GIORNI DI PESTE
L’uno accanto all’altro gli avelli,
del pallore lunare si vestono
senza pudore alcuno; nomi e cognomi
per sempre dimenticati in un niente
e che però un dì, forte, furono battuti
dalle campane della solitaria Chiesa
dal camposanto non lontana
Colla vanga in mano il nero becchino
non si stanca di scavare fosse profonde,
rinvenendo di tanto in tanto oscure radici
appartenenti a chissà quale vegetale mostro;
ma più spesso vengono fuori
omeri e tibie, lucidi teschi, mani anche,
e mezzi scheletri sorridenti tutti denti
Una bestemmia dalla rauca gola
tosto si perpetua in eco per l’intorno:
il vecchio becchino il lavoro solito riprende
indifferente allo stormire degli alberi,
ai petali dei fiori dal vento strappati
e sulle sue invisibili ali portati
fra cenere e miseria, su cataste di appestati
morti e alla meno peggio
l’uno sull’altro bruciati
INNAMORATI
Quando mi dicesti
che non potevi amarmi più
Quando mi ricordasti
che non mi sopportavi più,
una lacrima soltanto
a scendere piano piano giù
L’anima però mi tradiva
e annegava sempre più
a fondo, sempre di più
Sì, tu la vedesti morire
la mia vita in te
E io vidi la tua ridere
di dolore per me
Così le anime ci tradirono
perché ancora innamorati
e teneramente disperati
Perché ancora disperati
e fortemente innamorati
QUALI ANGELI!
Perdono, perdono le ali
Perdono le ali gli angeli;
in caduta libera
lealtà ed eternità perdono
Il divino non perdonano,
il maligno nemmeno
L’adesso e il poi,
il senso e il nonsenso
di essere per esistere
più non gli appartengono
In caduta libera
stelle e vessilli bruciano
Come possono possono:
al dolore resistono
Resistono
DI PIOGGIA
Qualcosa
che sa di blues
camminare da soli,
sotto la pioggia:
unica compagnia
pozzanghere
che il volto ti spruzzano,
che ti ricordano
che più non sono
i passi tuoi di gioia
Qualcosa
che t’invecchia
andare e andare
senza una meta,
di tanto in tanto spiando
le nuvole alte lassù:
e capire che nemmeno Gesù
fu solo quanto te
Qualcosa
che ti sprofonda giù,
nel blues
Qualcosa
che sa di blues,
che d’improvviso
ti fa arrestare
il passo nel passo
Qualcosa
che sa di morte
camminare da soli,
sotto un cielo
che non ci ha pensato su
a sputarti in faccia
quel che sei e che
domani forse
ancor sarai
COME MILAREPA
(versione alternativa)
Come Socrate,
come Mila Thöpaga,
meglio o di loro peggio io,
i refusi dell’esistenza d’allora
nel cumulo delle inutilità
uno a uno li ho gettati
Se sono cambiato,
se non sono più io,
puoi dirlo tu; ma sempre,
sempre m’accompagno a me
con una scarpa sì e una no
“Ancor t’amo, ancor t’amo”
all’insistenza del vento ripeto;
e all’eco mia distorta faccio il verso
Come Socrate, io quasi filosofo e giusto
Come Mila Thöpaga, io quasi poeta e mago,
e con una sola scarpa sempre e in ogni caso;
e scalcagnato, amor mio, sempre di più
Sempre di più
I BACI DI DIO
Milioni di baci di fuoco
dal cielo caddero veloci,
lasciando sulla Terra
ben impresso il supplizio
da Dio inferto ai figli suoi
NEL POZZO DELLA SOLITUDINE
Lontano guardammo,
nel Pozzo della Solitudine,
per scoprire
che non era affatto pazzo
chi alta la voce levava
contro l’oscenità della censura,
ma chi invece muto restava
lasciando che a pezzi
finisse il corpo della letteratura
SPRECO
Spreco d’energie
scrivere poesie,
come per mestiere,
come per dovere
Spreco d’anima,
peccato di vanità
SE FOSSI
Se fossi Donna
sarei Primavera
che bacia la Luna
ROSE AI TUOI PIEDI
Rose ai tuoi piedi,
sorprese
che dimenticherai
ROTTURA DI LUNE
Rottura di lune
questo aspettare
su una panchina
una donna
che il cuore
l’ha bruciato
per un sole
sospettato di nuvole
SCOMPOSTA NUDITÀ
non provarci e riprovarci
per dar credito
a una corda in cielo appesa;
a uno a uno, piano,
cadono i veli mostrando
scomposta nudità
d’un dio dal positivo
e dal negativo lontano
– verità al di là del sogno,
semplice segno di sconfitta
CAMICIA DI RELAZIONI PERICOLOSE
Hai visto, hai visto anche tu?
L’attore che amavamo di più,
senza pensarci su,
ha puntato la 45 della pazzia alla tempia
per riuscire finalmente a recitare
la commedia d’una disumana esistenza
in un manicomio di finestre di piombo
Sfoga adesso i suoi sorrisi assassini
addosso a certi camici bianchi
che malamente lo imitano,
addormentandosi a tarda sera
in una camicia di relazioni pericolose
Hai visto, hai visto anche tu
di cosa è capace un uomo
che il bagaglio della vita
tutto l’ha impegnato
per toccare gli estremi gemelli
dell’apice e del fondo;
e vogliamo forse noi imitarlo
per essere come lui delle scimmie
senza un minimo di decadentismo wildiano,
ma con una grassa gobba nel cervello?
Lungo i fianchi lascia cadere le mani,
e con un silenzio d’oro metti a tacere
il pubblico che più non sta nella pelle,
che come serpente tentatore sibila
e dalle poltrone scivola con il culo basso
Con un silenzio d’oro
metti a tacere chi non ha capito
e chi mai capirà
come sul palco del mondo si sta
NON È IL MIO CUORE
E, dove sono io?
dove lo spazio infinito
che m’ebbe in sua gloria?
Ero una stella e in cielo brillavo, alto,
ma solo m’illudevo che così fosse
E, dove sei tu?
dov’è quello spazio infinito
che ti ha in sua eterna gloria?
Dicesti un giorno: “Basta!”
La tua mano sulla mia bocca posasti
perché finalmente tacesse
e con essa anche l’alma mia disfatta
Delle mie false verità eri stanca;
più non sopportavi che continuassi
a cadere
nelle fauci d’un cielo senza stelle
Per me eri triste
perché troppe volte mi perdevo
Per me eri triste
perché da tempo ero già morto
e non me n’ero accorto io:
sol facevo conto di tornare a brillare
nella luce dei tuoi occhi
Gridasti un giorno:
“Non è il mio cuore!”
E sparii finalmente io,
infinitamente sparii
perché ero uno sbadiglio malfatto
e solo ero capace di soffocarmi;
perché ero una risata strozzata
e solo fra le labbra della notte
capace ero di morire
Carissimo King hai scritto un libro in una pagina, sei un affabulatore fantastico,
Ciò che descrivi viene alimentato e amplificato, inevitabilmente non è possibile non rimanere incantati. Grazie per questo meraviglioso giardino poetico, nel quale io percepisco vita.
e ho dovuto stare con attenzione un po’ di tempo qui con te , che è passato velocissimo. Lieta giornata anche se piove. 1 Abbraccio e 1 Bacio, Ciao 🙂
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Carissima Vany, non esagerare, sono solo delle poesie che scrissi diverso tempo fa. E come ben sai, non mi sono mai definito poeta. Non lo sono, tutto qui. Credo che i veri poeti siano altri, io sono solo un dilettante, ma se riesco a suscitare delle emozioni, allora va bene, è per me un ottimo risultato.
Pioviggina anche da me, e sinceramente questo tempo bigio non mi dà alcun fastidio, si accorda bene con il mio stato d’animo, 😉
Un abbraccio e un bacio grande a te, Vany. ;-*
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