Tromba d’oro e altre cose da un mondo perduto

Tromba d’oro e altre cose da un mondo perduto

ANTOLOGIA VOL. 241

Iannozzi Giuseppe

Chet Baker

ALLEN GINSBERG

Allen arriva
in una busta gialla e imbottita
Arriva da morto
Non l’ho ancora sfogliato,
ma lo riconosco dall’odore
Lo immagino
con la barba da Leone
& con una mano pelosa
sulla patta aperta

Fuori pioviggina
Il postino dice
di firmare
per avere la raccomandata

Allen giace chiuso
– ancora per poco –
dentro la sua busta
con su scritto
il mio nome
& la dicitura PIEGO DI LIBRI
Ha il suo odore Allen,
ha rabbia di lavatrici a gettone
che mai
i secoli potranno
lavare via

Squarcio la busta
e incontro i suoi occhi,
occhi di poesie,
di schiere di parole
Allen mi invita
a dire la verità
perché sono vivo
e qualche cosa gliela devo

POESIA E TROMBA D’ORO

Nessuna nuova,
si sta
e basta.
In cielo aerei volano,
io non li vedo bene
però lì sento
mentre bucano,
poco ma sicuro,
nuvole un po’ così e così
Sotto i miei piedi
pochi,
davvero pochi
vermi,
e tutti, al meglio
delle loro balorde possibilità,
si coprono il muso

La tromba d’oro di Chet
tiene compagnia ad Allen,
ed è qualcosa che sa
di poesia jazz e blues
Dirai che non è
una poesia d’amore
Ti dirò che entrambi
ebbero a che fare
con dei buchi di culo,
e tu non capirai,
e tu non saprai
che rispondere,
& forse penserai
“Ha dato
finché ha potuto,
così adesso ha dato
di matto e di brutto”
Hai mai visto
Allen piangere Neal?
Hai mai pianto
per Chet volato giù
suicida?

Nessuna nuova
Si sta,
e la notte sa
d’essere profonda
e vuota di promesse

LOU REED

Adesso sì,
cammini sull’altro lato
E chissà com’è
e come non è
Giù parlano di te
Ne dicono tante,
ognuno ha una verità
e una diversità
da sparare a bruciapelo

Adesso sì,
sei sull’altro lato
e non ti guardi indietro;
e se sì, è per un istante
– distrazione di passaggio
e nulla di più

Hai spento gli occhi
per un momento;
non immaginavi
sarebbe stato per sempre
Ma sei sull’altro lato
e cammini a passo spedito
Era una vita intera
che aspettavi di capire,
soltanto che non era giusto,
non era giusto il momento

Adesso sì,
sei sull’altro lato
e cerchi d’andare avanti
per vedere l’ombra di Andy
o quella della dea Nico
Ti hanno preceduto,
sono avanti a te,
e allora perché, perché
non incontri nessuno?

DIMMI

Dimmi dove hai seppellito
il mio sogno, quello
che da bambino stringevo
al petto per mortificare
la paura
Dimmi dove hai seppellito
il mio giorno migliore, quello
che non ho ancora vissuto
E dimmi, dimmi dove sei tu,
dove ti sei nascosta,
se in mezzo a mille ore di ombre
o al centro d’una luce accecante

ISABELLA

Isabella Difronzo

Il ciuffo, il ciuffo tuo biondo,
quello è sempre più ribelle,
e non sono io bravo
a fare battute
che facciano ridere
o riflettere un poco
E non sono neanche
più buono a scrivere poesie,
con o senza un senso

Per montarmi la testa,
avrei bisogno
di una lacrima o due di buon profumo
da buttar giù nel gargarozzo;
cerco di procurarmelo,
mi  rifilano stupida acqua di colonia:
ho inutilmente dato fondo
ai pochi spicci in saccoccia,
mannaggia!
Al Greenwich Village (*),
nella sua parte meno ricca,
lo Chanel n. 5
non lo considerano affatto
una necessità,
non lo trovi al mercato nero,
è questo il fatto

La tentazione sarebbe una,
quella di cantarti una canzone
tentando d’esser gaio
come un cantante della Motown,
ma se lo facessi nutro tema
che finirei male, come Woody Allen
che cerca di rubare la marmellata
con la scusa d’essere ebreo
e d’aver tanto sofferto in gioventù
E tu lo sai che sono
claustrofobico e ipocondriaco:
in un’Aula di Tribunale,
poco ma sicuro, ci morirei
E sai bene anche
che per far poesia
non basta andare a capo
e poi dichiarare al mondo
“Questi sono miei, versi miei,
e i rutti, pure quelli, sì!”

Rose in dono non posso,
sei sposata giù da un bel po’,
e di farmi scassinare il naso
da quel gorilla di tuo marito
non se ne parla proprio

Non vedo che una soluzione,
darmela a gambe levate;
sono in ritardo pazzesco,
ho dimenticato il giorno esatto
del tuo compleanno,
e adesso rischio pure di perdere
il pullman per il Messico,
la mia sola speranza di salvezza!

NON POSSO ACCETTARE I TUOI AUGURI

Non posso, credimi, non posso accettare
Non posso accettare i tuoi auguri lontani
Stanno sulla bilancia il Bene e il Male,
come tocchi di carne straziati ben bene
vuoti di vita, vuoti di valore;
non vale, non vale davvero la pena
scegliere quale il pezzo migliore

A chi mi ha chiesto ho detto la verità,
la sola che conosco
A chi mi ha pregato di scacciare
dal tavolo le mosche, ho detto la verità:
mai ho conosciuto una donna,
una donna votata all’Ordine dell’Amore;
ho però conosciuto giusto ieri un folle
e uno che da sé s’impiccò a testa in giù
un milione di anni fa o giù di lì

Ricevo posta un giorno sì e uno no
Nessuna lettera mi parla di te,
e così lascio la penna nel calamaio:
non risponderò né oggi né mai
L’ho capito da un po’ che non è
di poesia la vita

L’ho capito da un po’ che non è
di poesia la vita,
così non scrivo più d’amore,
barzellette senza né capo né coda
per far ridere certi poveri cristi
– marinai che più non sanno la fede,
la gioia d’andare per mare

RIPOSA LA COCCINELLA

Riposa la coccinella
entrata chissà come
nel fumo del mio incenso;
penso (a) una poesia,
la lascio volar via
cedendo al sonno

I.

Andiamo, andiamo,
prendiamo su con noi
anche dio
o quel che ne resta

Andiamo, andiamo,
Lovecraft
sta già abbassando
il sole

Andiamo,
andiamo a bussare
alle porte del paradiso

Andiamo, andiamo
a sputare due risate
venute male:
non sarà come prima,
non sarà mai più la bellezza
d’un sognare a occhi aperti
a dominare
sugli spazi in ombra

Andiamo, andiamo,
Lovecraft
sta già pescando
dalla luna nel pozzo
la pazzia dei fantasmi

Andiamo, andiamo,
anche se il ritardo
che portiamo sulle spalle
è davvero pazzesco

Andiamo,
andiamo a bussare
alle porte del paradiso
Andiamo,
andiamo a consegnare
le spoglie di dio
a chi troveremo o no

II.

E diranno
Hanno voce,
lascia che dicano:
hanno svegliato
il mattino,
abbandonando
nella polvere
la sua bellezza

Diranno
Hanno voce
e a ognuno di loro
gli suggerisce l’Eco
le peggio cose

Lascia che
nelle parole
all’inconsistenza votate
si seppelliscano
oggi e domani

III.

Un trucco, così domani smetto,
smetto i ricami punto croce,
le lusinghe delle pagine, l’alfabeto…
Smetto di seppellire cimiteri
in spazi pieni di epitaffi a vuoto

IV.

E poi perdersi,
e poi, per un momento
o due anche,
in movimento ritrovarsi
come se non contasse
il Tempo i battiti suoi
e tutte le Scadenze
tra gli ingranaggi
incastrate e rimandate

E poi scoprire
che solo fu lo scherzo
d’un triviale giullare
questa buffa nostra vita
che mendichiamo a vita

V.

Buono, cattivo
Nessuna la differenza
Nessuna sofferenza
se di Troia le mura cedono,
se il cieco vate racconta
il falso o il vero, l’inganno
che ugual torto muove
a chi in piedi o disteso

Domani
di altri saranno i corpi esposti
e nella tortura della polvere trascinati

VI.

C’è chi con l’inchiostro
dei fogli viola la verginità
e chi invece col rasoio
barbe e baffi taglia
ai sedicenti comunisti
alla poltrona arrivati
col sorriso su intatto

Strumento affilato assai
in mano a entrambi,
anche se a onor del vero
potrebbe del barbiere
la mano tremare
e di netto tagliare
agli impostori la giugulare
ben prima
d’un articolo di giornale

VII.

Tornare indietro,
far fuori Plutarco,
le vite parallele,
l’influenza dei caratteri
in positivo
o in negativo

Tornare
a un perfetto niente
che non conosceva
né il Bene né il Male

Tornare
a scaccolarsi il naso
per il piacere
di respirare vuoti d’aria

BELLA FANCIULLA

E chi sei tu, Bella Fanciulla?
Nel petroso mio camposanto
con nudo piè leggero hai portato
l’estremo odore della tua beltà
e tutto il dolore dell’amore
che a zonzo, senza più la ragione,
se ne va. Tu, chi sei tu?

Due monete d’oro sui miei occhi.
Non ti sentir offesa, ma ti chiedo
se potresti metter ora a nudo
la vista mia che per mille e mille anni
ha dormito: son qui da prima
che gli uomini uccidessero gli dèi,
Bella Fanciulla.

Ti ho aspettata a lungo,
non puoi immaginare.
Ti ho aspettata
a tutto il mondo alieno.

RIMBALZA L’OM

La palla che contro l’Om rimbalza
Il cavallo a dondolo che di sonno muore
Il giorno che di baci di fuoco s’infiamma
E noi qui sospesi e sospetti
come se mai avessimo visto il cielo
che si prepara a cadere

La poesia morta, nel Getsemani sepolta
Vogliono sapere chi il corpo ha trafugato
Dicono che ciechi non siamo nati,
ma che a tirar per le lunghe ancora il discorso
potremmo presto noi baciar la sorte di Tiresia

Insistono che solo gli mancava la parola,
che troppi colpi alla testa e alla bocca dello stomaco
l’hanno inginocchiato
e che anche questa colpa la pagheremo
Ripetiamo ripetiamo che non sappiamo,
che Lazzaro non l’abbiamo noi di nuovo ucciso

Non ce la caveremo, questo lo sappiamo
La palla non continuerà a rimbalzare;
domani l’Om sarà infranto e piangeremo,
domani vana sarà per l’anima la preghiera
e nel cavo della morte finalmente capiremo

PADRE E FIGLIA

per Viola Corallo

Il sorriso
non lo perdere oggi,
ché quando lo perdi lo perdi
e più non torna indietro.

Se un raggio di sole
– che non credevi –
di sguincio
le tue labbra le sfiora,
non rifiutare il dono
che Natura ti fa
perché sia tua la possibilità
di mettere in luce
la bellezza, quella forza
che nell’anima tua,
in un cantuccio,
riposa.

Se vero è
che sol siam qui
e di passaggio,
non ci manchi
però il coraggio
col sorriso di stordir
gl’idioti a piede libero
che, con sguardo truce,
nella rassegnazione
sconfitti e rassegnati
ci vedrebbero bene.

Le lacrime
dal virginal faccino
presto asciuga;
da lassù qualcuno spia,
spia la bella figlia sua
che in dolori e affanni
or la tenerezza macera;
spia il Padre la figlia bella
che ieri, da mane a sera,
sempre per lui era
l’òpra sua più sincera,
di benedizione degna.

ODE A VESPESIANO

O Numi del Cielo,
o Roma mia bella,
duemila e più anni
ancor non han scalfito
la gloria la maestà
e nemmeno
la disonestà di te
che aedi versati o no
cantarono
con copia uguale
di parole;
sarà forse perché
accorto fu Flavio che,
senza pensarci su,
a te, a te mai sazia
– sempre eterna
per aquile cani e vizio –,
a chi poteva pagare,
infine, le vergogne
gliele accomodò
in un’edicola degna d’un re…
dove in santa pace
piscio e bile scaricare;
ebrei e romani,
tutti, prima o poi,
il bisogno loro
han da fare perché sia
pressoché uguale
ad atto d’amore
sottoposto a tassazione.

E ora che tengo
‘a pisciarella, di corsa vado
a occupar di Vespasiano
il più alto monumento!

SOGNO LA TUA ALLEGRIA

Sogno la tua allegria,
quella naturale tua gioia
E lo so
che non m’appartiene

Se tu però mi sorridessi
mi sorriderebbe il cielo,
di giorno e di notte

Se un Dio c’è
è soltanto nel tuo sorriso

Nel tuo bacio
che da te
mai ho ricevuto

ASSOMIGLIA ALLA TENEREZZA

Vedete, la cosa è semplice
Ci crediate o no,
impegno il tempo
facendo torto alla stanchezza,
spogliando rose e colombe
della loro bellezza,
con una crudeltà
che assomiglia alla tenerezza

Vedete, la cosa è semplice
Ci crediate o no,
i miei occhi interrogano
prima il giorno, poi la notte
Ma mai,
mai che riesca a capire
sino in fondo la confusione
che regna nella semplicità
di questo mio stare al mondo

(*) In questa poesia, il Greenwich Village non corrisponde affatto a quello della realtà di oggi. Il “mio Village” è chiaramente un posticcio.

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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