La solita Morte truccata da scimmia
ANTOLOGIA VOL. 212
Iannozzi Giuseppe
IO TI AMO
Il Gesù di quaggiù ha su un sorriso a lutto
Non c’è pace fra gli ulivi, e aspetta Giuda
Ma chi tra i due sia il più spaventato,
per la cronaca, davvero non saprei dire
Sì fredda della morte la mano! Non il Padre
né altro dio la può arrestare per un giorno
o anche solo per un momento, quello esatto
di sussurrare a fior di labbra, “Sì, io ti amo”
IL VENTO SU GIUDA
Oggi non nutri più alcun dubbio
Mi vedi appeso a un misero alberello,
di tanto in tanto, sbatacchiato dal vento
Mi chiamavo Giuda
É dentro agli occhi tuoi il ritratto mio,
quello d’una scimmia brutta oltre ogni dire,
con il collo tirato come quello d’un gallo
Il Maestro aveva promesso Inferno e Paradiso
Aveva promesso, con troppa leggerezza!
La triste mia immagine l’accarezza il vento,
il vento con la sua mano pesante di freddo
Non un angelo, non un demone o un agnello
Si sta nell’assenza vuota di sentimento e basta
Questa l’essenza estrema, invincibile buia vuotezza
che nessuno la può spiegare; e il nome che fu tuo,
poco ma sicuro, da chi in vita viene proferito
o profanato
Oggi non hai più alcun dubbio
Che tu m’abbia amato o odiato,
alla fine conta meno di niente
Resiste il nome che fu mio
in bocca a mille idioti che fato uguale al mio
presto o tardi avranno, senza la speranza
di poter cambiare una sola virgola
Mi vedi, e il ritratto mio ti è ridicolo assai
Però io mi chiamavo Giuda e fra le scimmie
ancor oggi vengo chiamato in causa
più del Padre, più del Maestro sì tanto buono
eppur di me assai meno menzionato
IL MIO PIANTO
Piango delle stelle la luce
Il sangue mio l’hai già bevuto
Altro non ho da offrirti
SIGFRIDO
Se mi ami,
di tutti i pensieri
spogliati
La sottoveste
lascia scivolare
fin sotto alle caviglie,
e mostrami
com’è bella
una donna
che ama e ama me,
un Sigfrido destinato
a morire prima
d’aver consumato
tutto l’amore
STORIA DEL DIAVOLO!
E’ presto corsa
la voce di bocca in bocca
sin giù in Paese, di casa in casa
Non c’è più niuno che non sappia
Dondolano le campane nei campanili
Di tetra eco inondano la valle accanto
riempiendola fino al limite,
promettendo veloce inondazione
E tremano le montagne,
anche le più grosse e vecchie
come prese d’assalto da giganti spergiuri
figli d’un coito non previsto
fra mortali e angeli caduti
Lanciano le donne urla al cielo,
cadono poi in deliquio
con la fronte madida di freddo sudore
mentre cade la pioggia senza posa
Ne approfittano i maniaci sessuali
per uno spuntino,
gli assassini per far casino
Del vento la grifagna mano li aiuta:
veloce le gonne solleva,
lasciando proprio nulla all’immaginazione
Dondolano nei campanili le campane
Tristi: cadaveri impiccati paiono,
costretti all’eterna agonia di menarsi
Belzebù se la ride della grossa
Coccola Gesù Bambino tirando fuori
il suo cachinno più angelicato
Sulla neve pestata degli umani
lascia impronte un poco caprine
perché sia grande la confusione
sebbene poco o nulla originale
SOGNI AL MATTINO
Niente hanno di umano
quei sogni che al mattino
ci svegliano
con le loro gelide dita
sulla fronte sudata
Quanto più conveniente
sarebbe aprire gli occhi
e incontrare una puttana
invece della fetida Morte
truccata da scimmia
PERSONE SOLE
Persone sole, più tristi
d’una condanna a morte,
e altre ancora
che nella confusione
dei giorni passati
lasciarono cadere
la faccia
in uno specchio infranto,
gridando innocenza
nonostante il Torto
dal teschio
gli avesse cavato da tempo
lingua e occhi
Ho conosciute persone così,
non le ho capite bene mai
NOTTE
E allora perché non dormire
invece di questo morire
con un pozzo in gola?
Voi che scavate camposanti
riposate
ora che il gufo tace
e il corvo è la notte
SETTE GIORNI
Non è più il tempo dei giochi,
degli amori impossibili
Tutto è finito, tutto, amica mia
Le strade vuote di vita
E tu dici che dopo la mattanza
ci corrono ombre di angeli e demoni
Io so soltanto
che la canna della 45 fuma
Te ne sarai resa conto,
ho la bocca impastata di morte
Non è bastata la tua saliva a sciogliermi
quel nodo in gola che preme
Non è più il tempo di ridere
Non è più il tempo di piangere
Abbiamo visto molti corpi al tramonto
E siamo rimasti indifferenti,
legandoci le mani
quasi sperassimo ancora di salvarci
Le strade spazzate dal vento e basta
Abbiamo sparato a ogni bersaglio,
a ogni uomo o donna, e a ogni bambino anche
Nessuno è rimasto in piedi, nessuno
I corpi ammucchiati l’uno sull’altro,
oscenamente nudi fanno quasi tenerezza
Abbiamo visto il tramonto,
lo abbiamo visto tingersi di insanguinate oscenità
E dopo tante pallottole non è nato un amore
Le strade vuote di vita
Dici di vedere ombre di angeli e demoni
Amica mia, non è più il tempo di…
Hai delle gran belle gambe, sì
Non lo nego,
abbiamo fatto del nostro meglio,
ma non potevamo cambiare
il delirio scritto da Dio, da Io
Amica mia, è il tempo di darmi la tempia
Amica mia, è il tempo di scrivere la Fine
Sarò di nuovo completamente solo
come all’inizio di tutto, come all’inizio di tutto
Sarò di nuovo completamente solo
come all’inizio di tutto, come all’inizio di tutto
Sei giorni per creare ogni cosa e uno per morire
E uno per morire di cecità
SCRIVO POESIE
Scrivo poesie
perché non ho una buona mira
con la pistola, né ho pallottole
e cervello abbastanza
per prendere il coraggio d’andar fuori,
completamente fuori di testa
e mettere a soqquadro questa sporca città
di ruffiani trampolieri e mangiatori di fuoco
Scrivo con il nero dell’inchiostro
Scrivo poesie
perché vengono facili,
più dell’orgasmo d’una donna pagata a ore
e costano un bel niente a me e a chi le riceve
Scrive poesie
perché ho una mira che fa schifo
Adesso però mi tocca d’andare a pisciare,
altrimenti me la faccio addosso
e un paio di mutande buone di ricambio
io, che sono povero in canna, non ce l’ho
FRA DONNE
Fra donne la gelosia
è degli inverni conosciuti
il più lungo e impietoso
Chi nel mezzo
di sì trista procella
impossibile che ne esca
se non in orizzontale,
e sol quando l’Orizzonte
da lunga pezza spento ha
i suoi Soli, pallidi o rossi
che all’inizio fossero
SPIRITO LIBERO
A Capodanno mi darò la fine
Era una vita che aspettavo
di chiedere la tua mano
alla vecchia maniera
Era una vita che tremavo
all’idea d’esser davanti ai tuoi
Ma solo ricco di lune storte
non mi hai mai portato
in palmo di mano, e in ginocchio
son caduto
A Capodanno sarà libero
il mio spirito dalla prigione
che l’ha in consegna
Potrò così anch’io volare alto
al di là dell’amore, ed amare…
amare veramente senza la paura
di dover vuotare le tasche
per dimostrare che valgo più
d’un povero cristo in croce
A Capodanno siederò
con un bicchiere di rosso
in una mano e il coltello pronto
allargato in un sorriso in quella
che è libera
VORREI VEDERE
Vorrei tanto vedere
per una volta almeno
con gli occhi tuoi
tutta la bellezza
che mi dici c’è!
e che però non vedo
Vorrei tanto un nudo
di te che ti specchi
nelle limpide acque
della Fonte della Vita
Vorrei strapparti
di dosso la seta
e affogare la vista
nel biancore latteo
della tua pelle
di bimba in fiore
Vorrei rimanere così
nascosto in te
come un bambino
bisognoso d’amore,
d’amor materno
Vorrei scoprirti
arrossire lieve
E poi baciarti
a lungo
sino a lasciarti
senza fiato
Vorrei portarti
dentro al mio sogno
più scabroso
per sentire la paura
del tuo cuore sul mio
Vorrei poterti dipingere
a mio piacimento,
senza che tu mai un dì
possa urlare Tradimento!
PORTAMI VIA
Portami a casa
Toglimi da questo manicomio
di bianche regine
Se sei venuta fin qui
ci sarà ben un motivo
Portami via, portami in un bacio
Non lasciarmi ancora qui
dove ogni parete è chiusa
e un raggio di sole non arriva mai
Se sei riuscita a trovarmi,
non lasciarmi adesso che sai
Se un po’ conosci i labirinti
della mia mente portami lontano
Non la reggo più la pesante eternità
che si respira qui
– che spacca i polmoni
Portami via con una scusa
Dì loro che sono morto
e nascondimi in te,
dì loro che sono andato,
che il respiro mi si è arrestato in corpo
Ti prego, non lasciare le mie mani
anche se le vedi così tanto pallide
da non sembrare quelle d’un uomo
Portami via, portami in un bacio
Disegna una rosa di sangue
con l’indice dove mi batte il cuore
Portami via così, portami via da qui
BIONDA
Per i tuoi baci strazianti
taccio io per sempre
Bionda si fa la notte,
ma sì presto bacia
la nebbia la luna
DOLORI D’UN WERTHER QUALUNQUE
Tu non m’ami più
Senza te nel traffico delle strade
il mattino i suoi occhi chiude su me
Non servono i semafori a fermare
la frana dell’anima mia
Sta un poeta a un tavolo
seduto a mirar il cielo
quasi fra le nuvole potesse scorger
della Creazione il mistero:
s’inebria per ogni pecorella
che il vento commuove,
lo prende poi in fronte
un debole raggio di sole,
abbassa allora lo sguardo
sul caffè ormai freddo,
sospira, e sotto i baffi se la ride
E pensare a tutti quei versi
E pensare a tutte quelle gioie
sì piccole, eppur in un tempo
neanche poi troppo lontano
importanti
E adesso,
che è rimasto di tutto questo?
L’alito freddo del verno
che le giunture dell’alma scardina
mentre tutto le gira attorno
– folletti di vetro fanno a gara
per la risata più alta e stonata
che al muro costringa l’infelice
Sull’acceleratore il piede
Il resto del corpo da tempo è via
Non si cura lo sguardo di sapere
che cosa c’è al di là
del parabrezza, della nebbia
che le lacrime han donato agli occhi
Muore un uomo cadendo
nella tromba delle scale,
si diffonde l’eco dell’inumano urlo
insieme all’ululato dell’ambulanza
Si taglia il pittore l’orecchio,
nel sangue intinge il pennello
per iscrivere il nome suo
nel registro degli indagati
Legge il Werther la fanciulla
davanti alle lingue d’un fuoco;
un po’ ride, un po’ s’annoia
Fuori però è il regno del freddo,
così resiste con lo sguardo posato
sugli scarafaggi delle parole
infilzate l’una dopo l’altra
Lei non sa che Napoleone amò
e amò Goethe sino a Sant’Elena
Tu non m’ami più
Sol questo conta e il piede paralizzato,
congelato sulla folle velocità
cui unica verità è in fondo…
è in fondo null’altro
che l’ultimo atto di disperato coraggio,
di strapparsi gli occhi dalle orbite
e non pensarci più all’amor donato
e a quello creduto,
per un momento soltanto domato
VORREI MI POTESSI DIRE
Vorrei mi potessi dire
sebbene non sia io
l’uomo che hai immaginato
– non un ribelle per libertà
in grandezza a Spartaco uguale –
che nel bene e nel male
son stato capace
di lasciarti libera
d’incendiare o meno
le mie labbra
SOLDATI
Così partimmo,
lasciandoci alle spalle
asini e uomini
sicuri che domani,
quando la guerra
al di là delle porte,
saremmo tornati
a bagnarci nel fiume,
a baciare le donne
al pianto abbandonate.
Partimmo
e molti di noi
presto sparirono
dalla morte inghiottiti
ben pria che un singulto
dalla gola si dipartisse.
In tanti non un fiore
o una veloce preghiera,
ché se nostro desio
un presto ritorno
necessità ci spronava
ad andar avanti,
a rimandare a dopo
delitti non seppelliti
e maledetti rimpianti.
Quando infine
in pochi tornammo,
il nulla bell’e consumato:
là dov’erano
le nostre radici
nemmeno la cenere,
la consumata impronta
di quei figli,
che amammo
abbandonandoli
perché l’avida morte
non li pretendesse.
Traditore il Fato,
ma di più l’aria
nei polmoni ingoiata
e nel terrore soffocata!
Così, nella notte
che mai muore,
ci culla il rumore
del fiume dabbasso,
letto di cadaveri
trascinati chissà dove.
LA TUA VOCE
La tua voce
al volo
la vorrei afferrare,
ma persa
sempre è
nei precordi
di aliene architetture
che non oso
immaginare.
L’amarezza
di questa impotenza
nel core mio stagna;
non sentirti
è supplizio
che non merito
di soffrire.
Di te rimembro
sopra tutto
il sorriso belluino
eppur gentile;
quel tuo particolare
modo di parlare
sotto la commozione
delle fronde boschive
leggermente frustate
da un vento sbarazzino.
Impossibile non ricordare
l’estate al sole,
il profumo dei limoni
che sino all’ultima goccia
amavi spremere
per l’amor
delle avide mie labbra
assetate di baci
un po’ dolci un po’ acerbi.
PER UNA LACRIMA DI DONNA
Donna triste, son le tue lacrime
ad alto contenuto alcolico;
Dio, vedendo la pena sul tuo viso,
con una carezza il dolore ti nettò,
e un secondo dopo la mano si leccò
per cadere in ferale delirio tremens,
trapassando coll’enorme corpo morto
tutt’e sette i cieli e le nuvole
fino a toccare del centro la Terra,
sorprendendo persino quel diavolo
annoiato che, a dispetto di tutto,
ancor si chiama Belzebù.
Per un gesto di pietà su una donna
è morto Dio come chiunque muore:
per sempre dannato dall’Amore,
alla corruzione del tempo esposto.
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