Non è una questione capitale sapere

Non è una questione capitale sapere

ANTOLOGIA VOL. 204

Iannozzi Giuseppe

Marc Chagall - Lovers in pink

SCAGLIATEMI IN UN’ALTRA VITA

Scagliatemi
in un’altra vita:
formica o elefante,
non farà differenza
Scagliatemi lontano
dal Presente
e dalle sciocche convinzioni
dell’uomo che si dice sapiente

NON È CAPITALE SAPERE

Vedete,
non è una questione
su quello che so fare
e su quello che invece no,
e neppure è capitale sapere
se mi garba sparare chiodi
addosso a persone o cose

Il mio interesse è
al di là delle banalità;
se una poesia mi viene
e mi viene
sbagliata e storta
– e il diavolo lo sa
quante porcate
ha collezionato il cestino –
non piango
né mi penso migliore
del mio amico netturbino
o d’un qualsiasi coglione
con la fissa per l’assassinio

Capite o no
di cosa sto parlando?
Non c’è niente di strano,
non c’è davvero niente
che non vada in me

MAESTRO, INSEGNAMI

Maestro,
insegnami la distanza
fra me, la lentezza e l’infinito;
insegnami come e dove
l’amore arriva e non arriva

Maestro, insegnami,
insegnami
a non essere controfigura
dell’ombra che i piedi
a ogni ora mi morde

Insegnami
a non essere
segnato e sognato

NEUTRO

Adesso faccio il netturbino,
non disturbo più
né massacro il giorno
con la voce

Adesso faccio quello buono,
mi fermo ad aspettare l’ambulanza
sul ciglio della strada, respiro,
guardo quelli ai miei piedi e aspetto,
aspetto con gli occhiali da sole su

Adesso evito i flash,
vado a teatro per beneficenza,
e scrivo libri di parole riciclate
e fingo di cantare
sotto la doccia “parole parole”
Uso un sapone neutro

Faccio molte più cose
rispetto a ieri, e aspetto

SULLA LUNA LASSÙ

Non riesco ancora a credere sia vero
Eppure, a modo mio ovviamente,
me ne dovrò fare una ragione,
gettare il senno sulla Luna lassù
e far delle stelle un’eternità di pianto

Quel mattino, se solo l’avessi intuito
E invece
i tuoi occhi felici non lasciavano spazio;
come potevo arrivarci che l’avresti fatto?
Dal Sahara al Mar Rosso fino in Tibet
Per così tanto ti ho cercata,
per darmi la possibilità d’un’altra vita

Perché sei andata via non lo so io
E trovo il cuscino gravido del tuo odore
E ricordo il tuo sapore, in bocca ce l’ho,
e mi brucia la guancia l’ultimo tuo bacio
Oh, è così chiaro, sto impazzendo

DOMANDE E FARFALLE

Nessuno ha mai detto
sarebbe stato facile

Perché pesare il volo d’una farfalla?

Perché giocare a fare il morto a galla?

Galleggia il volo della delusione
Ma non si è alla conclusione

Quante farfalle ancora farfalle?

CAPITAN HARLOCK

Ho una missione da compiere
L’Universo mi aspetta:
al timone dell’Arcadia
una sottile lacrima,
una sola,
mi scivola sulla cicatrice
che mi ha partorito

Nascondo in petto
le altre lacrime
che hanno visto la morte
di amici e nemici
in egual numero
E ricordo ognuno di loro
Il timone,
per quanto difficile da tenere,
non cambierà la rotta
Ho nell’anima tutti coloro
che mi hanno accompagnato
ai limiti dei Sette Cieli;
da ognuno di loro
ho imparato a muover guerra
e a difendere la libertà
Se guardo al tempo passato,
Maya, posso dire
di non aver perso il momento giusto:
alcune illusioni farfalle e aurore
sono state scalfite dai giorni
ma non tutte, non tutte…

Ho una missione da compiere
Ed è per questo che non arretrerò
di fronte alle paure che si prestano
all’Infinito davanti a me

Mi chiamano
Mi chiamano Capitan Harlock

PARIGI, BUDDHA E BOLLE DI SAPONE

Io ti dicevo la Risata del Buddha
Tu mi facevi le Bolle di Sapone
E nell’aria c’era jazz e ancora jazz

Scendevano lungo gli Champs-Elysées
brune foglie d’autunno e gocce di pioggia
Avevi gli occhi presi in un debole rosso,
fra l’orizzonte davanti e l’idea bambina
che l’indomani m’avresti fatto la sorpresa
Pensavo ch’era il caso di fermare un taxi,
e in un momento lasciasti cadere il capo
sulla mia spalla

Io ti dicevo del Ghigno di Stalin
Tu mi mostravi la lingua e volevi un bacio
Nell’aria c’era sentore del tuo profumo;
nuvole gravide si stendevano sul Louvre
abortendo acqua in gran quantità
Uno strillone costretto sul bordo della strada
gridava e gridava ch’era Tempo di Libertà

Cadeva piano la rimbaudiana notte sul debole rossore
abbandonato sulla linea d’un piovigginoso occaso
Eco di bronzo correva di orecchio in orecchio,
rivi di pioggia serpeggiavano verso i tombini
Scendevamo lungo gli Champs-Elysées

La pioggia accecava l’occhio dei tombini
Dio, era proprio così, colpevoli e innocenti  noi
La tua testa adagiata sulla mia spalla
Dio, era proprio così, colpevoli di vivere,
colpevoli di vivere solo per pochi momenti

Al mattino una lama di luce penetrò gli scuri
Tagliò di netto le cispe dai miei occhi,
buttandomi giù dal letto: ero di panico
– un corvo nero mezzo spennato, quasi andato
Qualcuno dabbasso chiedeva più pane,
e fu allora che realizzai d’esser rimasto da solo

Nell’aria c’è jazz e profumo di whisky
Nell’aria c’è il peso della sorte, c’è jazz
C’è debolezza e lieve profumo di sapone

STONO L’AUTUNNO
(da “Fiore di Passione”)

Avevo voglia d’una musica triste,
di lamenti uguali a quelli
d’una foglia suonata dal vento
– dal tempo –
perché oggi c’è che amo solo te
che non sai quel che invece io so
fra i sorrisi spenti di tutta quella gente
che nella vita mai ha avuto niente,
un mendicante un poeta un Pierrot

E viene l’autunno, siede accanto a me
All’orecchio soffia piano un “Cosa c’è?”
Muto e niente, ma nel cuore il pianto
Mi dico stanco, ma c’è, sempre c’è
che in tanti hanno avuto meno di me,
nemmeno la fortuna di vivere una luna,
di veder l’autunno e i bruni suoi colori

Ed è così che,
che piano piano ripeto a me
“Che c’è, cosa c’è che non c’è?”
Ed è così che,
che in un bisbiglio ripeto a me
“Avevo voglia di qualcosa di triste,
di crepitii solamente per quel che c’è
Per quel che in amore c’è e non c’è
fra un silenzio e l’infinito…
fra il già detto e quest’autunno di foglie
che a fior di labbra suono e stono”

HO MAI DETTO AL CIELO CHE SEI BELLA?

Dolci i fianchi lungo le montagne,
e la pioggia, la pioggia non cessa il suo lavoro:
e quasi ogni creatura cerca un minimo riparo
per resistere nei giorni che verranno,
e molte donne cercano, cercano
un tenero amante o un Charles Manson
che faccia loro compagnia fino alla fine
Ho mai detto al Cielo che sei bella,
Te l’ho forse mai detto chiaro e tondo?

Dolci e amari i sogni che ci tormentano
Ogni giorno passa lento sulla tua bellezza,
e ogni goccia di pioggia ti accarezza piano
Da lassù il Signore ci invita a salvarci:
non gli piace affatto questa solitudine
che abbiamo deciso di caricarci addosso
per il resto della nostra vita

E quasi ogni creatura cerca un minimo riparo,
e molte donne cercano, cercano
un tenero amante o un Manson
per viverlo fino alla fine,
e alcune donne solo desiderano qualcuno
con cui stare per un’ora solamente

Non ti ho mai detto che nel Giorno del Giudizio
a nessuno di noi verrà chiesto perché Sole e Luna
non hanno mai fatto niente per essere un po’ di più
Non ti ho mai detto la verità sulla confusione
che alberga quaggiù dove è facile franare
insieme ai secoli delle montagne,
dove è facile cadere in ginocchio
senza aver mai dato all’esistere un perché

Quasi ogni creatura cerca un minimo riparo,
e tutti, davvero tutti gli innocenti cercano
il petto d’una madre

Ho mai detto al Cielo che sei bella
al di là di ogni ragionevole dubbio?

Dolci,
dolci sono i fianchi delle montagne
Non reggeranno ancora a lungo,
non reggeranno ancora a lungo

DA TE SCHIACCIATO
COME UNO SCARAFAGGIO

Quante promesse hai lasciato morire
e quanti rami di ciliegi in fiore
Quanta, quanta follia c’è in te, in te

Fosti la più bella e romantica
Cercavi la scarpetta di cristallo,
senza posa la cercavi e la cercavi,
anche nei giorni tetri di pioggia
e di speranze morte sul nascere
Volevi essere la mia piccola geisha,
colei che avrebbe soddisfatto
tutti i miei più sfrontati desideri
E invece oggi ti sei fatta lontana
Hai lasciato me sul binario morto,
in poltrona alle notizie della CNN

Quante fantasie hai lasciato morire
e quanti rami di ciliegi in fiore
Quanta, quanta follia c’è in te, in te

Non mi chiami più per nome
Oggi fai la signora, e sorridi
trovandoti allo specchio di giorno
in giorno più matura e lasciva
Mi schiacci come scarafaggio
Non ci vuol poi molto coraggio
Adesso sei la signora che in sogno
sei sempre stata, e il cristallo
della scarpetta lo trovi ridicolo
Oggi se mi chiami è per cognome

Quante ingenuità hai perso per strada
Non ne hai raccolta nemmeno una
Così rimango davanti alla CNN
in poltrona

FOGLIA D’AUTUNNO

Eri bella e lo sapevi.
Eri bruna foglia d’autunno.

I tuoi occhi graffiavano:
una carezza fra le gambe,
delicatezza, velluto sfiorato.

Di più non ho osato.
E tu lo sapevi
che non sarei andato oltre.

COLORI

Io Van Gogh
il pennello
il giallo
il blu
un girasole
la notte stellata
E poi
per i campi
tenendo in mano
l’orecchio strappato,
e sentire
le ginocchia
leggere
più deboli
dell’anima
Sembrava lontana,
così lontana
la Casa degli Artisti
E Lei sì,
lei era una puttana,
vita che ho temuto,
però sempre a dipingerla
fino alla Fine

GIALLO VAN GOGH

Quanto amore c’è
non immagini, oh no;
eppur c’è, nascosto
o alla luce del sole,
ma sempre in un angolo
che non avevi previsto

Di Van Gogh un girasole,
tutto quel giallo, tutto
quell’amore salvato
soltanto quando l’uomo,
ormai di dolore impazzito,
per chissà quale dove andato

DONNA MIA, SON CYRANO!

Donna mia, fresca rosa
di rossa passione,
a ben guardare son io
solamente un poeta, uno dei tanti
che la Corte della tua Bellezza infestano
Ogni dì sotto al tuo balcone
trovo assiepate bande di sbandati,
di cantanti stonati alle prime armi,
ma tutti di me più belli assai;
con occhio arcigno li guardo:
chi rutta e chi sbadiglia,
manco s’accorgono di me
che al puzzo loro mi mischio
per incontrare,
col favore dell’alba,
il fresco tuo saluto
a tutti, indistintamente, donato
Spintonato,
gittato di peso
nelle pozzanghere e nel fango,
calpestato dalla calca,
le lodi di tutti quegli altri odo, mentr’io
– che il cor mio per te darei –
è già tanto quando riesco
a portar per un momento lo sguardo mio
dove tu sei e incontrar così la luce
che è negli occhi tuoi

Pesto, malconcio,
con le pupille di pianto gravide,
a sera o anche prima,
in un baretto cerco rifugio
e insieme agli avvinazzati canto,
canto un canto di mille lingue,
a volte empio, colmo di rabbia
più che di poesia; e tutto questo
perché t’amo, t’amo più di quanto
sia mai riuscito a farti capire

Che resta, cosa mai resta
a chi ama con sì tanta forza
e la voglia non se la può levare
se non nell’ebrietà d’un vinello da poco?
Oddio sì, ammetto d’aver di tanto in tanto
pizzicato il culetto a qualche lolita
e d’aver fatto anche
due o tre ubriachi complimenti alla barista;
quando poi però s’è trattato d’andar al sodo,
per chissà quale strano caso del destino
sempre mi son ritrovato con le braghe calate
e il sedere gonfio di pedate

Ah, se sol natura m’avesse fatto bello!
E invece son cavaliere malfatto,
grande di cuore e di naso, abile
a metter le rime ai sentimenti,
coraggioso tanto assai con la fantasia,
ma quando s’accorgono le donzelle
di quanto lungo è il naso mio,
subito sbuffano, ed è così
che sempre mi vedo costretto
a ripiegar sulle meno belle
che di muliebre hanno un bel niente

Triste destino quello del poeta
che mai si è detto tale,
triste assai davvero! Non bello,
dotato di cuore e di naso,
alle belle non piaccio, Donna mia
Per questo all’immagine tua
che serbo nell’anima mia
mi confesso io

Se sol potessi amare il naso mio
così come ami la mia poesia,
quella che tu credi partorita
da quel belloccio che ti cinge la vita
Non puoi, ben lo so, e allor finché
l’Iddio lo vorrà, vivrò all’ombra
di quel tuo belloccio, ché son nato
e son nato per soffrire, per essere
soltanto un triste Cyrano

POESIE E SEGHE
(prosa)

Quanto, quanto soffro
Nessuno può capire…

Come nessuno?
E io che ci starei a fare?

Ah, la mia Coscienza, fumo d’una sigaretta
Una cosa che vale meno d’un fantasma
Ma non hai di meglio da fare
che rompermi i marroni a tutte l’ore?

No

Certo che detto così in maniera secca
fa un certo effetto, uno potrebbe pure
perder la tramontana, o rimetterci la vita
Un infarto, per una questione di coscienza
è proprio una vergogna…

Non sei divertente. Che t’angoscia?

Donne, donne, donne… anzi una
Le ho scritto mille poesie d’amore
e quella irriconoscente mai una volta
che mi abbia ringraziato, non dico
col cuore in mano, ma un bacio, per Dio!

Mille poesie sono tante davvero,
devi esserci andato giù di brutto,
sempre con la penna in mano!

Dici bene, ci ho perso le notti e la testa

E lei com’è? E’ bella?

Bellissima

Ha un amante?

Che dici mai!Lei pensa soltanto a me!!!

E allora come mai
non ti si fila manco di striscio?
La verità, ammettila almeno a te stesso

Forse sono un poeta dappoco,
un netturbino delle lettere,
un buono sconto scaduto…
uno senza né arte né parte…
Uno si crede e si crede,
non fa però mai i conti col proprio talento…
Forse non mi pensa proprio

Mille poesie sono in ogni caso un mucchio
Buone o cattive, sono un’enormità per chiunque
Guardati come sei deperito, con le occhiaie,
il volto scavato, la bocca esangue… fai più schifo
che pena… per una donna, per una soltanto poi!
Mille poesie, mica briciole, e scommetto
che non l’hai battuta manco una volta…!

Batterla! Giammai, le donne non si toccano
neanche con un fiore. Non potrei mai alzare
un dito su una creatura così tanto divina…

Ecco, ora si spiega,
sei quello che si dice un idiota

Un coso dostoevskijano in pratica…

Diciamo pure così, e di questo passo ti verrà
pure la colite nervosa… un paio di schiaffi,
dà retta a me, e vedrai come ti amerà…
cadrà ai tuoi piedi, ti amerà per l’uomo che sei

Mai!!! Mi rifiuto,
piuttosto vado avanti a poesie

E al tunnel carpale ci hai pensato?

L’amore è sempre uno vivere all’oscuro,
un brutto giro d’incomprensioni e sofferenze…
l’eroina rimane sempre la donna,
al maschio l’ago nel braccio…
nel braccio della morte…

Tu stai delirando, io parlavo dei tendini,
non te li senti forse tirati dalla spalla al polso?

Che insinui! L’amo sì, ma costumato sono
fino all’ultimo spermatozoo…
Be’, un paio di seghe di tanto in tanto…
di poesia non si campa, lo sai

Di poesia non si campa,
e di seghe si muore

UNA NOTTE ALL’OPERA

La Morte porta addosso un odore osceno, di merda. Non è lieto parlar di queste cose… ‘di queste cose così intime’ mi converrebbe forse dire; e però è vero che il trapasso è accompagnato da un inevitabile rilassamento dello sfintere. Per colpa della mia professione conosco sin troppo bene la Morte e posso assicurare che nel suo corpo non c’è alcunché di poetico né di straordinario, come certi scrittorucoli da salotto vorrebbero invece farci credere nel vano tentativo d’apparire uomini di carattere. Dicevo dunque che la professione di medico legale mi ha abituato a frequentare più cadaveri che persone vive. Le ore in obitorio volano, coi morti ci parlo, ci ragiono anche. Loro ascoltano e sempre tengono vivo un inumano silenzio.
Non dico che sia il lavoro più bello di questo mondo per un tipo ambizioso qual ero io, ma tant’è; della mia sfrontata giovinezza ho un ricordo vago, e non nascondo che, di tanto in tanto, dei repentini ricordi vengono a galla, costringendomi a guardarmi in uno specchio di vergogna. Quando accade, subito distolgo lo sguardo dalla giovane immagine di me che mi si para davanti. Ero ambizioso e credevo che la nobiltà dell’uomo risiedesse nello spirito. In questo credevo. Ero un illuso, lo spirito è meno d’una parola, a malapena è illusione per i giovani, nulla di più. Oggi mi basta incontrare una persona per strada per capire quanto ancora gli resta prima che la Grande Falciatrice lo abbia in seno.
Sono vecchio ma non abbastanza. So che vivrò molto a lungo, diventerò una vecchia scimmia incartapecorita e scorbutica. Dovrei essere felice, ma non lo sono. Mia consolazione è parlare ai muti cadaveri che ogni giorno attendono le mie cure. Prima o poi, signore e signori che ho visto magari di sfuggita passeggiare lungo le vie di T***, tutti vengono da me in fila indiana, chi per via d’un ictus o d’un infarto, chi per via d’un incidente. La gente ce l’ha davanti agli occhi la propria fine, tutti i santi giorni, peccato non sia in grado di vederla. Io invece la vedo bene, non sbaglio mai. Mai.

L’altra sera mi trovano a teatro per la prima della Tosca. Ho sempre nutrito un debole per l’opera, soprattutto per la svenevolezza di Puccini. Quasi mi scappa la lacrima quando il tenore intona la famosa romanza: “E lucevan le stelle,/ e olezzava la terra,/ stridea l’uscio dell’orto/ e un passo sfiorava la rena./ Entrava ella, fragrante,/ mi cadea fra le braccia…”.
Il tenore nella parte di Mario Cavaradossi sa il fatto suo, le donne fremono e più d’una lacrima rovina il loro maquillage. Anche le più stagionate danno in pianto. Andrea, il tenore del momento, ci sa proprio fare, è fuor di dubbio un talento. Mentre Andrea canta il suo strazio, la scorgo e subito comprendo che per lei questa sarà l’ultima rappresentazione. Le siede accanto un nano in smoking; tuttavia lei non può vederlo. La Morte ama camuffarsi, e a suo modo s’illude d’esser spiritosa. Le fa delle smorfie disdicevoli che la povera vittima non vede.

E’ adesso qui davanti a me. Il pannolone non serve a tamponare il puzzo. La poverina ha accusato un attacco apoplettico un paio d’anni prima di venire a trovarmi su questo freddo letto. Se l’era cavata per un pelo, ma aveva perso il controllo della vescica e dell’intestino.
Il nano se la ride, è felice come una pasqua, balla sul corpo esanime, suda e canta a squarciagola.
Non ci sono motivi perché venga eseguita una autopsia: la donna è spirata a causa d’un secondo ictus. Le autorità hanno però disposto l’autopsia, per far felice la famiglia a cui non è proprio possibile rispondere con un no, essendo la più in vista della città.
Metto su la registrazione della Tosca e mando avanti fino alla romanza che mi interessa: “Oh! dolci baci, o languide carezze,/ mentr’io fremente/ le belle forme disciogliea dai veli!/ Svanì per sempre il sogno mio d’amore…/ l’ora è fuggita,/ e muoio disperato!/ E non ho amato mai tanto la vita!”.
Inizio il mio lavoro.

Il nano mi strattona il camice imbrattato di sangue. Finge innocenza, ma all’occhio umano risulta solo lubrico. Purtroppo sarebbe vana qualsiasi offesa, né uno sputo in un occhio né gragnola di maledizioni servirebbero a farlo sparire. Sparirà quando ne avrà voglia, non prima.
Parliamo. Un botta e risposta serrato, senza quasi prender tempo per respirare.
“Che vuoi?”
“Ti piace il tuo lavoro?”
“Lo faccio.”
Il nano si lecca i baffi. “Era ancora giovane.”
“Troppo giovane.”
“Quaranta anni.”
“Perché?”
“Non l’ho deciso io.”
“Chi allora?”
“Lo sai meglio di me: Dio.”
“Tu hai eseguito la sentenza.”
“Io obbedisco. Che dice la tua autopsia?”
“Niente che non sapessi già. Era sana, più o meno come un pesce.”
“Sana?! Due ictus nel giro di due anni…”
“Era sana”, ripeto con voce alterata. E subito puntualizzo: “Gli ictus non se li è fatti venire lei, così, per capriccio.”
“Non ti arrabbiare con me. Non sono io che l’ho voluta morta.”
“Hai obbedito però. Avresti potuto rifiutarti. Era così giovane e bella!”
“Non vedo perché… tanto prima o poi tocca a tutti.”
“Non è giusto.”
“Per te non è giusto. C’è chi più in alto di te che non la pensa così.”
“Maledetto Diavolo.”
“Da quel che si racconta in giro, non bazzica il Settimo Cielo da un po’ di tempo. C’è solamente quel diavolo di Dio lassù e nessun’altra anima. Nessun’altra anima, credimi. Tu sei qui perché lui ha deciso così.”
“Anche questo non è giusto.”
“Hai ancora tanti cadaveri da aprire come pesci, non ti preoccupare.”
“Perché ha scelto proprio me per questo sporco lavoro?”
“Perché avrebbe dovuto scegliere un altro? Non mi fare i capricci, non sei più un bambino.”
“Sparisci!”
“Tu non ordini.”
“Ti ho detto di sparire.”
“Che ti rode? L’hai amata. E’ stato tanto tempo fa. Dovresti aver superato da un pezzo i turbamenti dell’adolescenza.”
Non posso far altro che pazientare, prima o poi porterà via le chiappe. Prima o poi.

Le ore in obitorio volano, coi morti ci parlo, ci ragiono anche.
Lei che tanto ho amato in gioventù, lei che mai ha risposto a un mio saluto, lei adesso mi ascolta osservando un silenzio crudele.

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
Questa voce è stata pubblicata in amicizia, amore, arte e cultura, attualità, cultura, eros, Iannozzi Giuseppe, passione, poesia, società e costume e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

2 risposte a Non è una questione capitale sapere

  1. TADS ha detto:

    versi profondi e condivisibili

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  2. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Non so quanto condivisibili, però contengono un certo grado di verità, almeno spero.

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