L’unico Dio che riconosco
ANTOLOGIA VOL. 203
Iannozzi Giuseppe
D’UNO CHE LEGGE
D’uno che legge
si dirà che…
un sognatore,
uno che la fatica
non la sa,
un poco di buono
certamente!
Lasciate
che dicano,
non sanno
quel che dicono,
ma non per questo
meritano il perdono
dei pesci
a far bolle d’aria
nell’acquario
GLI ERRORI CHE HO FATTO
Gli errori che ho fatto li rifarei
Non paralizzate le ambizioni
d’un uomo che una storia ha
da raccontare
o sol da cestinare
in fondo al culo dell’infinito
Gli orrori che ho adottato
ancor oggi li cullo spogliandoli,
domandoli
in faccia al fuoco del domani
San bene le stelle lassù
che non sono qui caduto
per darmi, anima e corpo,
in pasto alla volgarità
del pane quotidiano,
della moltiplicazione dei pesci
Gli errori, gli orrori miei,
così veri, di me son pieni
MENTRE IL SOLE S’ADOMBRA
Tra i filari d’uva bruna
mi facevi l’occhiolino;
d’un tratto poi più non c’eri,
giocavi a nascondino
mentre il sole s’adombrava
e il mio core pure;
tema nutrivo che un mostro
t’avesse divorata.
Per quanto m’affannassi
nella cerca di te, nulla.
Soltanto il sudore in rivoli
sulla mia fronte di rughe;
prossimo al pianto
le lagrime stentavano
a sgorgare, perché più forte
era l’ansietà di richiamarti
a me, ma ogni mio grido
parea vano.
Di quest’incubo ubriaco
in ginocchio son caduto
e subito fu libero lo sfogo
in pianto. Ma com’eri fuggita
tornasti, senza che foglia
si movesse, e il mio capo
sul tuo petto raccogliesti
manco fossi un bambino.
Tornai così felice, goloso
e geloso di te più che mai.
YOUR SMILE
Ho incontrato ieri il tuo sorriso
Mi chiedevi una poesia,
ma soltanto avevo in tasca
una monetina di stanchezza
Ho visto la delusione
oscurare la tua bellezza
Facendomi forza
ho voluto sapere
perché su due piedi
spezzi agli uomini tu il cuore;
e subito è tornato il sorriso
a illuminarti il viso
Hai oggi incontrato la mia faccia
A muso duro mi hai fatto notare
che di me ride l’ombra ai miei piedi
Non ho potuto far a meno
di spiegarti che la colpa è tua,
soltanto tua, ed hai riso di cuore
PRENDI QUESTA MANO,
PRENDI QUESTA PIUMA
Prendi questa mano
Non badare al nano
che fa il verso
all’ombra sua
credendola gigante
Prendi,
prendi questa carezza
Sia il tuo cuscino
Sopportala,
ha su il peso d’una piuma
Sul cuore reggila
e peserà lei
il battito della vita
che t’appartiene
Inciampato è
il nano
nell’ombra sua:
rotola ora via,
e mille volti lo ridono
Ma tu,
ricevi tu questa carezza,
la piuma che è,
l’amore che sa dare
Prendi,
prendi questa piuma
e al caldo conservala
E le ombre nane
che si pensano giganti
scompariranno
e con loro il passato tutto
Prendi questa mano,
tienila vicino al cuore
Sempre ti amerà,
così, senza altra pretesa
Quella solitaria lacrima
che il volto ti rigava
per farti triste e drammatica,
l’ho asciugata
E’ rimasta adesso
la bellezza tua solamente
Prendi questa mano,
A lei basterà esser lì,
lì con te a pregare
per la tua felicità,
per la tua eternità
GUIDAMI VERSO CASA
I.
Tutte le promesse,
tutte le scommesse,
tutto quello che ieri era…
tutto ma proprio tutto
con il niente collabora
L’avresti detto mai?
Tutte le pagine bianche
e non pensarci neanche
a riempirle
L’avresti immaginata
questa porcheria?
II.
Confesso… cosa mai
di così grave, cosa?
Mai stato qui o altrove,
della poesia mai
ho sfiorato io l’altezza
Ma più grave la colpa
d’aver al ribasso giocato
con cadaveri di parole
purtroppo sì simili a me
III.
D’un uomo
l’anima sua
non indagate:
a spese vostre
scoprireste
che dall’alto
in basso
la nera rogna
la consuma
senza mai
venirne a capo
IV.
quando nel sonno
son cadute le anime,
a mollo
in un sonno crudele,
sol allora vengono
e vengono bene
quelle cose strane
che c’illudiamo siano…
poesie
V.
quando cadrà cadrà
e non potrai tu
imprecare o pregare
quando al mondo
più non ci saranno
piedi da lavare
e mani da stringere,
solo allora capirai…
perché
quando…
quando perderà
il sax lucentezza e tenore,
di Coltrane
ricorda le labbra,
di come sapevano…
amare
VI.
Non parlate,
non d’amore almeno
Ha Caino chiesto
e gli è stato dato
il possibile e di più
Le croci lassù,
sulle calve colline,
non le vedete
ma le immaginate,
le immaginate bene,
anche se il male
che in petto nutrite
non lo sapete
a parole spiegare
Parlano le mani,
le mani insanguinate
milioni di volte
sulle natiche strofinate
VII.
In tanti lo sguardo mio
hanno accecato
dei santi indossando
i comici loro vestiti;
quando però
nei loro passi slacciati
sono inciampato
“Al diavolo!” subito han gridato,
non me ne volete dunque
se ora a modo mio
il gioco che mi conforta
lo porto avanti tirando dritto
come locomotiva
da farfalle e pazzie alimentata
VIII.
E vedermi stanco
E vederti stanca
Aver sol voglia
d’esser tradotto
là dove riposano
libri svogliati,
sfogliati e spogliati
Aver questa voglia
e null’altro da donare
IX.
Torniamo a casa,
a usare carta e penna
per lasciar di noi
al di là del tempo
un segno più del sogno
Torniamo a noi,
a lavorar di cuore
col sudore della fronte
Torniamo a casa,
e parliamo a lungo
come due estranei
che uguale via
hanno da seguire
BATTAGLIA
All’amore abbiamo fatto.
Fu morire
sul campo di battaglia.
SANGUE
In un fango
di sangue
sono caduto
prima del peso
dell’affanno
nel petto costretto.
SPETTRI
Sa la Fine
il suo spettro,
così l’Amor tradito
in sua illusione
creduta perfetta.
TI SANTIFICA O TI CONDANNA L’AMORE
Ti santifica o ti condanna l’amore
Come un pugno incontra i sogni,
come una trottola sbanda
e non gliene frega niente
Ti santifica o ti condanna l’amore
Togli a un uomo la donna che ama
e tutto gli avrai tolto; togli a una donna
l’uomo che dice d’amare alla follia
e solo gli avrai tolto un cuscino,
solo l’avrai salvata da una bugia,
da una telenovela di battute ripetute
Non parliamo d’amore,
non così, a cuor leggero:
già lo fanno in troppi
tirando su ospedali di parole,
ospedali quasi belli ma fragili,
ospedali
di menzogne grandi e piccine,
di vanità quasi mai educate
Non parliamo d’amore,
non così,
non per l’eccitazione
d’una sbronza,
d’una stupida poesia
Non parliamo d’amore,
non così,
non per un inganno di cipria,
per una composizione barocca
che si consuma in Fa minore
Ti santifica o ti condanna l’amore
Come un pugno incontra i sogni,
come una trottola sbanda e sbanda
e dove va poi a sbattersi,
se in cielo o in un postribolo,
non lo puoi indovinare tu
SENZA UNA MINIMA FORTUNA
Ho visto uomini seminare il male
e li ho visti toccare un secolo di vita
senza che un alito di vento
gli scomponesse mai la chioma
Giù in paese dicevano parole,
le ripetevano come un mantra;
aspettavano i retti che il tempo
cadesse nel tempo, nell’incastro
d’una Mezzanotte senza ritorno
Aspettavano che la giustizia
sposasse finalmente la verità
Ma ogni giorno, ogni santo giorno
uscivano dalla chiesa le bare,
quelle di uomini poveri in canna
che mai avevano rubato una paglia;
ogni giorno un timorato di Dio
finiva male, a pezzi, in orizzontale,
senza neanche aver sfiorato
la mezza età
Ho visto uomini seminare il bene
e in sequenza li ho visti cadere
senza che una minima fortuna
gli asciugasse la fronte di sudore
RIMBALZA L’OM
La palla che contro l’Om rimbalza
Il cavallo a dondolo che di sonno muore
Il giorno che di baci di fuoco s’infiamma
E noi qui sospesi e sospetti
come se mai avessimo visto il cielo cadere
La poesia morta, nel Getsemani sepolta
Vogliono sapere chi il corpo ha trafugato
Dicono che ciechi non siamo nati,
ma che a tirar per le lunghe ancora il discorso
potremmo presto noi baciar la sorte di Tiresia
Insistono che solo gli mancava la parola,
che troppi colpi alla testa e alla bocca dello stomaco
l’hanno inginocchiato
e che anche questa colpa la pagheremo
Ripetiamo ripetiamo che non sappiamo,
che Lazzaro non l’abbiamo noi di nuovo ucciso
Non ce la caveremo, questo lo sappiamo
La palla non continuerà a rimbalzare;
domani l’Om sarà infranto e piangeremo,
domani vana sarà per l’anima la preghiera
e nel cavo della morte finalmente capiremo
QUESTA ROSA
Questa rosa
è per te
anche se non è
bella quanto te
Son le tue gote
più delicate
e tenere dei petali
d’una rosa; e
se poi viene a te
un complimento,
subito arrossisci
e la lingua fai tacere,
ma non l’anima
Non l’anima
che subito carezza
quella di chi
ti ha detta bella
CHE BELLE BOTTE!
Che begli occhi
Che bel sorriso
Che bella bocca
E che belle botte
dispensi a quanti
si fanno sotto
per chiederti
se avresti voglia
d’un caffè!
SAUDADE
(flusso di coscienza)
sarò una rosa nel cuore di dino campana
o solo la cronaca d’una morte annunciata
un cielo che si capovolge da sé
il filo dell’alta tensione, il pericolo, un pretesto
sarò saudade
sarò un pinguino arpionato, la tua voce persa nel terrore
o solo l’ambiguità di chi grida giustizia, fame e pane
un treno senza passeggeri che scricchiola gelo a ogni binario morto
tutta la stupidità d’un freddo carnevale di vuote maschere
sarò un husky braccato dai tuoi denti di sangue
sarò un whisky nelle vene e una pista di neve
sarò infine benedetto dall’urlo della tua anima
o solo uno scherzo del destino clandestino
sarò un poeta, un’aria mondana e pomposa
un divano, una noia nel ventaglio dei tuoi sorrisi
una mano, una storia in bianco nel polsino della giacca
sempre pensando che il sudore può uccidere
sarò una vittoria sconfitta e una rosa sotto ghiaccio
tutta la meraviglia che non sai capire
sempre pensando che il sudore può uccidere
sarò un esploratore e una tomba di ghiaccio senza nome
sarò la tua verginità da sfogliare fra le pagine
di tutti quei libri che mai hai letto
sarò un reumatismo al cuore, un imbroglio, una fatalità
sarò un letto di sale, una spina di ghiaccio nel cuore di sibilla
LA TENEREZZA DI LEI ERA QUELLA DI DIO
Quand’ero molto giovane ero già un senza dio. A scuola avevo scelto di non seguire l’ora di religione, nonostante venisse detto – e non senza rimprovero da parte della Preside dell’Istituto – che chi era cattolico avrebbe avuto in futuro maggiori possibilità di integrarsi nella società. Il discorso era chiaro: essere cattolico, frequentare le lezioni di religione erano cose che, in futuro, avrebbero assicurato agli studenti una più veloce scalata sociale e lavorativa.
Le pecore nere due, io e una ragazza. A noi, i senza dio, ci mettevano dove capitava. Spesse volte rimanevamo nei corridoi o nei bagni a fumare. Non era affatto brutto, non per me: stavo insieme a una delle ragazze più carine della scuola, grazie a dio, atea convinta. Manuela, una bellezza rara, una ricciolina con il nasino alla francese, lunghi cernecchi tizianeschi, piccole efelidi a baciarle il faccino e un gran bel culetto a cuore nei jeans, un giorno mi chiese perché non fossi con gli altri in classe.
“Non credo in dio.”
“Potresti far finta.”
“Lo fanno in tanti, è vero.”
“Ma tu sei proprio ateo?”
“Da quando l’uomo ha inventato dio, nel corso dei secoli non c’è mai stato un solo attimo di pace. Ogni popolo ha il suo dio inventato di sana pianta.”
Manuela mi sorrise. Conoscevo quel sorriso… mi stava chiedendo di offrirle una sigaretta, cosa che feci subito. A lei non ero capace di dir di no. Ne avevo una sola nel pacchetto da dieci ma gliela offrii comunque.
“Ne hai solo una. La fumiamo a metà.”
E così si fece, fumammo la nostra Camel, metà lei, metà io. Fu un’ora di genuina felicità: le mie labbra si posarono sul filtro che avevano visto posarsi le carnose farfalle della boccuccia di lei.
Finita la sigaretta, guardai Manuela e le dissi: “Ho posato le mie labbra dove tu le hai posate: questo è l’unico Dio che riconosco.” Glielo dissi con tutto il coraggio che può avere un quindicenne. Glielo dissi e subito sentii le guance prendermi fuoco.
Manuela scoppiò a ridere divertita e intenerita. Mi posò un bacetto sulla guancia e scappò via.
La campanella suonò. L’ora era finita e ci toccava di tornare in classe a tutt’e due.