Giovanni Agnoloni e il suo “Viale dei silenzi” (Arkadia editore). Intervista di Iannozzi Giuseppe

Viale dei silenzi

Intervista a Giovanni Agnoloni

di Iannozzi Giuseppe

Viale dei silenzi - Giovanni Agnoloni - Arkadia

Iannozzi Giuseppe1. Giovanni Agnoloni, è da poco uscito Viale dei silenzi (Arkadia editore), un romanzo decisamente diverso rispetto ai tuoi precedenti lavori. Sei passato dai romanzi distopici a una letteratura decisamente realistica, con poche incursioni visionarie. Quale necessità ti ha spinto a cambiare la tua rotta letteraria, in maniera quasi drastica?

– In realtà era da tempo che avevo “in corpo” questa svolta. A prescindere dal fatto che ho sempre considerato i miei lavori distopici non tanto come una manifestazione di uno spirito fantascientifico – o fantastico in senso lato – ma come una forma di “realismo arricchito” (arricchito per l’appunto da alcuni stilemi non appartenenti al realismo tout court, allo scopo di enucleare contenuti attinenti ai rischi di un’evoluzione tecnologica fuori controllo). Certamente ora, a parte qualche pagina dai tratti lievemente surreali, l’impianto è realistico al 100%. A ben vedere, però, è imbevuto di tante atmosfere e di una sensibilità metafisica che impregnava di sé già i miei romanzi della quadrilogia della “fine di internet”, editi da Galaad Edizioni. Tanto lì quanto in Viale dei silenzi, infatti, il fil rouge sottile ma inossidabile è quello dell’energia sottile dei luoghi e degli ambienti, che riverbera e amplifica le note caratteristiche dell’interiorità dei personaggi, alimentando una trama intimistica – e sia pur riflessa su uno scenario sociale ampio e differenziato – che viene formandosi proprio seguendo l’ispirazione di quei temi di fondo.

2. Leggendo il tuo Viale dei silenzi, non ho potuto fare a meno di pensare a certi lavori di Arthur Schnitzler. In sintesi, Viale dei silenzi è un romanzo che racconta destini che si incrociano e si scontrano, non è forse così?

– Quando scrivo, non penso (per lo meno non a livello cosciente) a un “modello” letterario, né (se non nella fase di editing, quando subentra il labor limae anche a scopo di chiarezza) a chi mi leggerà. Cerco piuttosto di attenermi con la massima onestà possibile a una sorta di tema o melodia interiore, o comunque a un’armonia di temi, atmosfere e situazioni che germinano da sole dentro di me, traendo alimento dalle mie letture, dai miei viaggi e dai miei percorsi interiori. Poi, chiaramente, le risonanze con questo o quell’autore si possono anche individuare, e se guardiamo al tema dell’incrociarsi e dello scontrarsi di diversi destini (che è un tratto ricorrente nei miei lavori), certamente ti do ragione (anche perché Schnitzler era pure un drammaturgo, e Viale dei silenzi, pur non concepito a tale scopo, ha uno spirito tutto sommato “teatrale” e si presterebbe a una trasposizione in tal senso – procede per scene, è scritto in prima persona e contiene parti in seconda, dove il mio protagonista Roberto si rivolge a suo padre).

3. In Viale dei silenzi c’è un giovane non troppo giovane che si mette alla ricerca del padre, il quale, da un giorno all’altro, è scomparso senza lasciare, almeno apparentemente, alcuna traccia di sé. Il protagonista del tuo romanzo, scavando nella sua memoria e in quella altrui, scopre di sapere poco o nulla del padre. Almeno in parte, Giovanni Agnoloni, il tuo nuovo romanzo sposa la lanterninosofia?

– Non coscientemente, anche in questo caso, ma nella sostanza sì, anche se con qualche distinguo. La “filosofia del lanternino” di pirandelliana memoria presuppone due punti essenziali: che la nostra conoscenza sia limitata a quello che progressivamente vediamo e scopriamo intorno a noi, e che non esistano certezze e quindi punti di riferimento assoluti. La posizione di Roberto, all’inizio del romanzo, è proprio questa. È uno scrittore impegnato in una residenza letteraria a Varsavia, ed è come bloccato nella scrittura di un romanzo che, contro i suoi piani, ha finito per parlare del padre scomparso quattro anni prima nella capitale polacca, e improvvisamente si ricorda di un particolare che dà il via a una ricerca che credeva destinata a non potersi mai compiere. In fondo, lui finora è vissuto in una sorta di matrix, ospite di una costellazione di finte verità, e il suo spostarsi per Varsavia, nella prima metà del romanzo, e quindi a Berlino e poi in Irlanda, procede di pari passo con l’emergere di una visione delle cose progressivamente (forse) più esatta. Emerge però qui un altro aspetto, che la visione frammentata della personalità tipica del pensiero di Pirandello non avrebbe tollerato: ovvero, il risuonare degli eventi con un centro interiore del protagonista, al quale lui, dialogando idealmente con il padre, progressivamente si avvicina. Dunque un centro c’è, un’identità profonda esiste, dietro il gioco delle false verità. Mi viene allora in mente un altro “filosofo del lanternino”, Diogene, che cercava intorno a sé l’uomo autentico, fedele alla propria vocazione più genuina. Secondo me Viale dei silenzi si può collocare nel punto d’intersezione tra i fasci di luce generati da queste due “lanterne”.

4. Viale dei silenzi ha qualche punto in comune con la tua tetralogia della fine di Internet? Qualche incursione blandamente visionaria c’è, perlomeno così mi è parso.

– Ho parzialmente risposto prima, ma posso qui approfondire un po’. Sì, dei momenti di visione “alterata” della realtà ci sono, soprattutto nei primi due capitoli e poi in quelli notturni ambientati a Berlino. Ma si tratta di sovrapposizioni del ricordo di Firenze ai luoghi che il protagonista vede intorno a sé. Tuttavia, non si tratta di stilemi fantascientifici, bensì di momenti lievemente surreali, per effetto dell’interazione tra ciò che Roberto vede e sente intorno a sé e i percorsi del suo pensiero e della sua emotività.

5. I tuoi personaggi sono sempre molto realistici, e quelli de Il viale dei silenzi lo sono in modo particolare. Come ti regoli per modellare i tuoi soggetti?

Giovanni Agnoloni– Prima di iniziare a scrivere un romanzo (e magari mentre scrivo altre cose) seguo sempre un percorso di gestazione intima, in cui il mio mondo interiore e le suggestioni provenienti da persone che ho conosciuto si fondono e si differenziano in una miscela a densità variabile e dagli esiti imprevedibili. Sono come i mattoni elementari della costruzione di una personalità che, via via che scrivo, mi si rivela – come del resto fa la trama – nella sua logica inequivocabile: tanto che potrebbe essere solo quella e nessun’altra. Quindi non seguo proprio un metodo, ma semmai mi fido di una sensibilità musicale (alimentata anche dai miei studi di chitarra classica) che è utile non solo dal punto di vista stilistico, ma prima di tutto da quello armonico e psicologico. Ogni tratto del carattere, così come ogni atmosfera di luoghi, infatti, ha una sua frequenza specifica, ovvero è fondamentalmente un accordo – ora minore, ora maggiore – che deve inserirsi in un discorso “musicale” coerente.

6. I tuoi personaggi non possono fare a meno di subire l’influenza dei luoghi in cui si trovano. «Ci vuole la ricchezza d’esperienze del realismo e la profondità di sensi del simbolismo. Tutta l’arte è un problema di equilibrio fra due opposti.»: così scriveva Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere. Giovanni Agnoloni, in questo tuo ultimo romanzo ravviso dei chiari elementi pavesiani oltre a una più o meno marcata lanterninosofia.

– Pavese è senza dubbio un autore a me caro, anche per la vivida delicatezza (per quanto possa – erroneamente – sembrare un ossimoro) con cui descrive gli ambienti. E trovo che questa tua citazione da Il mestiere di vivere sia perfetta per fotografare una delle mie convinzioni più profonde. Il simbolo è insito nella realtà, dunque non vi è realismo che ne sia privo, o rappresentazione surreale/alterata della realtà che non si radichi, appunto, nel reale. Certo, l’equilibrio tra queste due componenti può essere più o meno efficace: troppo realismo, ed ecco che il racconto può perdere di forza di suggestione; troppo simbolismo, e può mancare di concretezza. In me, per la mia storia e il mio percorso di scrittore, c’è sempre stata una sorta di baricentro intuitivo che, se nei miei romanzi distopici era un po’ più spostato verso il “polo” del simbolo, in Viale dei silenzi tende più verso il realismo. Ma la verità è che le due componenti sono coessenziali l’una all’altra.

7. Perché hai scelto di far camminare i tuoi personaggi lungo i viali delle città di Firenze, Varsavia, Berlino, per farli arrivare in una Irlanda baciata dalla liricità di John Newton?

– Desideravo scrivere un romanzo intimistico che facesse idealmente dialogare Firenze, la mia città, con luoghi diversi e lontani, e ovviamente adatti a risuonare con lei in un contrappunto armonioso. Forse è perché riesco a scrivere bene di Firenze quando ne sono lontano, e per converso scrivo efficacemente di luoghi lontani quando sono a casa. Varsavia mi sembrava perfetta come città in cui ambientare la fase del romanzo in cui Roberto è più smarrito e in cerca della propria identità: forse perché è una capitale così sventrata dalla storia e ricostruita, un po’ come lui, e più in generale per la malinconia fumé delle sue splendide strade, che mi pareva dialogare idealmente con certi scorci romantici e nobilmente “decadenti” di Firenze. Berlino, che per il mio personaggio è un luogo di transito e di rivelazioni, l’ho voluta leggere sub specie di uno dei suoi quartieri più affascinanti, Schoeneberg, dalle atmosfere cosmico-oniriche, decisamente à la David Bowie, che infatti qui visse negli anni ‘80. E infine Dublino, sospesa tra le sue memorie di passato (un passato imbevuto del fascino delle peregrinazioni di Ulisse Bloom) e il suo entusiasmo vitale di oggi, e il Donegal, la contea nel Nord-ovest dell’Irlanda in cui John Newton, autore di Amazing Grace, approdò dopo un naufragio nel 1748. Il filo sottile conduttore, come dicevo prima, è quello della ricerca e del graduale riemergere di un canale di comunicazione con la parte più profonda di sé, che nel caso di Roberto si manifesta via via che i segreti della sua famiglia vengono a galla. In questo canale di comunicazione interiore, ancora una volta riflesso nel “correlativo oggettivo” del paesaggio, sta la sostanza più vera del filo di lirismo che tu hai giustamente individuato.

8. Come ho già evidenziato, Viale dei silenzi mi ha fatto pensare ad alcuni lavori di Arthur Schnitzler; Giovanni Agnoloni, verso quale direzione psicologica è orientato il tuo lavoro, una di stampo junghiano o una freudiana?

– Sono sempre stato affascinato dalla psicologia junghiana, con la sua “polarità” tra l’Ombra, l’archetipo dei contenuti emotivi rimossi e delle maschere dietro cui – per paura – ci nascondiamo (e dunque delle finte verità), e il Sé, l’identità pienamente realizzata. Non ho programmato di scrivere un romanzo “junghiano”, anche se Viale dei silenzi è, in qualche modo, un romanzo di formazione di tale stampo, perché delinea il percorso di conoscenza di sé e individuazione (cioè, appunto, realizzazione del potenziale più profondo della persona) del personaggio-Roberto – che, è vero, non è più un ragazzo, ma forse proprio per questo rappresenta un esempio ancor più significativo: l’evoluzione interiore, infatti, è qualcosa che non si ferma mai.

9. Viale dei silenzi è anche un romanzo che mette in campo tante forme di amore, e c’è il bisogno di conoscere la verità, sempre e in ogni caso. Giovanni, potresti approfondire?

– Sì, mi ricollego direttamente alla risposta precedente. L’amore è comunque una ricerca di verità, di autenticità e di intensità, è l’essere più autentico, il Sé, che arde di un’energia profonda e incondizionata, ispirando e facendo funzionare ogni aspetto della nostra vita (infatti il trascurarlo o il non conoscerlo genera insoddisfazione e infelicità). Il percorso verso questo punto focale costituisce per l’appunto l’itinerario personalissimo e articolato dell’individuazione, secondo Jung. Infatti, a cosa può tendere la piena realizzazione della personalità, se non alla ricerca della felicità (tra l’altro, diritto fondamentale riconosciuto dalla costituzione americana), e in cosa può consistere questa se non nella piena esplicazione del proprio potenziale interiore, del proprio desiderio profondo (altrimenti definibile come “vocazione”)? In fondo, la stessa filosofia platonica configurava l’amore (inteso come eros) come un tendere verso una pienezza rimasta incompiuta nel nostro mondo, e appartenente al mondo delle Idee. Anche l’esperienza dell’amore sentimentale – ce lo insegna il Simposio – quando viscerale e autentico, gioca un ruolo importantissimo in questo senso: e l’esperienza dell’incontro di tra i miei personaggi Roberto ed Erin potrebbe (ma non è possibile dirlo con certezza) configurarsi in questa direzione.

10. Con questo tuo nuovo romanzo, che tipo di messaggio consegni ai tuoi tanti lettori?

– Onestamente non intendo mai “trasmettere un messaggio”, quando scrivo un libro, ma semmai uno spunto, una suggestione che poi ogni lettore sviluppi autonomamente. Posso solo dire che mi auguro che un romanzo intimistico come questo, che sollecita a riflettere sul tema dell’assenza e della ricerca dell’autenticità personale, faccia scattare qualcosa in chi è a un passo dall’iniziare un percorso di ricerca e di attuazione della propria vocazione profonda – e magari lo aiuti a superare le ultime esitazioni. E attenzione: questo non è un messaggio svenevole e “buonisticamente” spiritualistico – anche perché la vocazione personale non è necessariamente una vocazione religiosa, ma è la verità profonda di se stessi, ciò che si desidera essere e fare nella vita (in campo professionale, familiare, artistico…), e richiama l’attenzione sul più grande problema dell’uomo di oggi: l’essere così scollegato da se stesso da non riuscire, neanche in questo tempo di emergenza, a tollerare di stare per qualche settimana in casa, a contatto con sé nella propria stanza interiore, dove, cercando e ponendo le domande giuste, si possono ottenere delle risposte magari inzialmente scomode, ma decisive.

Giovanni Agnoloni (Firenze, 1976) è laureato in Giurisprudenza, è scrittore e traduttore. Studioso di Tolkien in chiave comparativa con gli autori classici e contemporanei, compare, con l’articolo “Tolkien as a Benchmark of Comparative Literature. Middle-earth in Our World” nella pubblicazione The Ring Goes Ever On: Proceedings of the Tolkien 2005 Conference (The Tolkien Society, 2008).
Tra le sue pubblicazioni si ricordano: Partita di anime (2014), Sentieri di notte (2012), Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori (2011), Nuova letteratura fantasy (2010), Letteratura del fantastico. I giardini di Lorien (2004), Less Than a Mile (2004), La casa degli anonimi (2014), L’ultimo angolo di mondo perduto (2017).
Scrive sui blog “La Poesia e lo Spirito” e “Postpopuli”. Esponente del movimento letterario fantascientifico del Connettivismo, compare nelle raccolte di racconti Noir No War (Giulio Perrone, 2006) e AFO. Avanguardie Futuro Oscuro (Kipple Officina Libraria, 2009).

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Viale dei silenzi – Giovanni Agnoloni

Viale dei silenziGiovanni AgnoloniArkadia editore – Collana: Senza rotta – Anno edizione: 2019 – Pagine: 136 p. – ISBN: 9788868512262 -€ 15,00

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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