Prendi questa mano, prendi questa piuma
ANTOLOGIA VOL. 138
Iannozzi Giuseppe
PRENDI QUESTA MANO,
PRENDI QUESTA PIUMA
(inedita)
Prendi questa mano
Non badare al nano
che fa il verso
all’ombra sua
credendola gigante
Prendi,
prendi questa carezza
Sia il tuo cuscino
Sopportala,
ha su il peso d’una piuma
Sul cuore reggila
e peserà lei
il battito della vita
che t’appartiene
Inciampato è
il nano
nell’ombra sua:
rotola ora via,
e mille volti lo ridono
Ma tu,
ricevi tu questa carezza,
la piuma che è,
l’amore che sa dare
Prendi,
prendi questa piuma
e al caldo conservala
E le ombre nane
che si pensano giganti
scompariranno
e con loro il passato tutto
Prendi questa mano,
tienila vicino al cuore
Sempre ti amerà,
così, senza altra pretesa
Quella solitaria lacrima
che il volto ti rigava
per farti triste e drammatica,
l’ho asciugata
E’ rimasta adesso
la bellezza tua solamente
Prendi questa mano,
A lei basterà esser lì,
lì con te a pregare
per la tua felicità,
per la tua eternità
OLTRE L’AUTUNNO
Eri bella e lo sapevi.
Eri bruna foglia d’autunno.
I tuoi occhi graffiavano:
una carezza fra le gambe,
delicatezza, velluto sfiorato.
Di più non ho osato.
E tu lo sapevi
che non sarei andato oltre.
MAESTRO, INSEGNAMI
Maestro,
insegnami la distanza
fra me, la lentezza e l’infinito;
insegnami come e dove
l’amore arriva e non arriva
Maestro, insegnami,
insegnami
a non essere controfigura
dell’ombra che i piedi
a ogni ora mi morde
Insegnami
a non essere
segnato e sognato
CROCIFISSIONI
Non parlate,
non d’amore almeno
Ha Caino chiesto
e gli è stato dato
il possibile e di più
Le croci lassù,
sulle calve colline,
non le vedete
ma le immaginate,
le immaginate bene,
anche se il male
che in petto nutrite
non lo sapete
a parole spiegare
Parlano le mani,
le mani insanguinate
milioni di volte
sulle natiche strofinate
I.
Se stelle e pianeti piovon giù,
se vene e mari si prosciugano,
e anche l’ultimo dio
al filo della lama s’arrende
con occhi di lacrime vuoti
e nemmeno una preghiera
in silenzio a Salomè rivolta,
sian questi magri versi proiettile
per vuota tragedia di sé malata
II.
Sulla bianca neve
la cercò Vladimir
Di lei neanche
una sporca traccia
E la piazza gremita:
uomini e donne
in colli di bottiglia
ma a loro agio
nell’agitazione
Gli sorrideva
il ricordo di lei
e nel corpo
d’una vuota innocenza
collassava
Ma sempre,
in silenzio,
da bianchi guanti
sarà accompagnata
la bara di Katerina
verso il cammino
del disposto oblio,
sognato
III.
Quando si fa tarda l’ora,
la tentazione la solita,
quella d’una poesia
o d’un dolore che nessuno,
che nessuno ascolterà.
Quando la notte
nella notte si completa,
troppo tardi davvero
per ammettere la verità
che sol si è ombre
di crepuscolari identità.
IV.
Lascia adesso
che alle spalle
ti prenda,
o al tuo ventre
raccomandami
in questo mentre
che con te sono,
come le stelle
mistico
BAMBINE E MARINAI
In strada sciamano le amate bambine
Nel ventre del mare naufragano i marinai
FOLLIA
Scende la notte qui:
manca la febbre e la follia,
un sorriso amante
O la complicità di Charlie Manson
KRÓNOS
Lasciamole libere
di seguire
della vita il richiamo.
Lasciamole libere!
Che possano volare
le parole, e prendere
il volo per incantare
e farsi vere,
battiti di cuori
nel mondo di fuori.
INTERVALLI DI TEMPO
Tu, tu mi assicuri che,
che questi tasti bianchi,
fra intervalli di nero,
potrebbero suonare in eterno
un jazz o un tango?
Che notte, che notte!
Stramazzano al suolo
due bianchi cavalli
per troppa stanchezza
sconvolti.
Disperato il loro nitrito
nel cavo della notte,
ché l’alba del nuovo dì
non la vedranno.
Così il morire,
vivere il tempo.
SOLITARIO
Ed eccolo, il Solitario!
Stanco muove il passo
e seco lo porta al più vicino
fumante camino.
Mira in cielo le nuvole
e il fumo stendere il suo velo:
preoccupato alita un fumetto,
ma tosto lo fa suo diletto
e prende risata rilassata,
che oltre i confini del mondo
e dei suoi bassi fini s’invola.
E leggero riprende il cammino,
accompagnato dal passo che sa.
E a Dio l’avvicina ogni miglio,
fino al suo destino!
LUCE
Luce mi donasti, il suo favore,
tremando il cuore, respingendo il dolore
a dispetto della stanchezza sulle spalle;
e così t’amai per la tua nobiltà d’animo.
Eri lì, a me accanto, nel mio mondo:
t’abbracciai molte e molte volte.
T’addormentasti poi al mio fianco.
E più non accusai d’esser stanco.
ROSSO CHE DIVORA
La penna la depose, come se fino ad allora avesse tenuto in mano una spada insanguinata. Era stanco. I fogli erano tanti, di fronte a lui, uguali a morti sventrati. Di sé, né del suo lavoro era soddisfatto. Dal pacchetto intonso sfilò via una sigaretta; e iniziò a fumare, poi con il mozzicone ardente diede fuoco ai fogli che aveva vergato. E rimase ad ammirare le insaziabili lingue di fuoco. Se solo fosse stato capace di descrivere quel rosso divorante, ah, che grande scrittore sarebbe stato!
L’AGO
Rincasò ch’era già tardi. La stanza vuota. La ragazza guardò la siringa quasi nascosta nell’ombra d’un angolo: non ricordava quando l’aveva usata l’ultima volta, ma l’ago non era ancora arrugginito. Il problema era trovare una vena che fosse buona e i soldi per una dose. L’avrebbe data via, ancora un’altra volta, la figa. Per il domani c’era ancora vuota speranza, come sempre. Come sempre, la vita l’avrebbe data via.