La malattia è nell’aria – racconto di Iannozzi Giuseppe, illustrazioni di Valeria Chatterly Rosenkreutz

La malattia è nell’aria

Iannozzi Giuseppe

Halloween party by Chatterly

Character by Valeria Chatterly Rosenkreutz

Incipit

Questa storia inizia male e finisce peggio. Ho fatto fuori il mio editore, fisicamente. Gli ho sparato a bruciapelo. Perché? La sua faccia non mi piaceva, e nemmeno la sua giacca infeltrita.
Prima di farlo secco, scrivevo ogni dannato giorno, presentavo i miei lavori ad Adam Rubinstein che sorrideva e mandava in stampa senza neanche leggere.
“Non lo leggi?”
“Non ce n’è bisogno, sono certo che, come sempre, avrai scritto un capolavoro”, sparava in maniera meccanica, e subito dopo scoppiava in una risata a dir poco sgradevole.
Non so neanche io quante volte gli ho fatto notare che, in ogni caso, avrebbe dovuto leggere le mie diavolo di storie prima di stamparle, ma lui era sordo, troppo impegnato a sbattersi ragazzine imbottite di ambizioni letterarie.
Sono stato costretto a cacciargli una pallottola nel cuore. L’ho freddato nella maniera più ovvia e semplice, quella che sempre uso per liberarmi dei personaggi fastidiosi che schiaffo in mezzo alle pagine dei miei gialli e horror.
Adam non se l’aspettava di morire per mano di un suo autore.
Quando mi sono presentato nel suo ufficio, mi ha sorriso per poi chiedermi quale fosse il motivo della mia visita: “Non mi dire che hai già pronto un altro romanzo!”
La mia risposta è stata veloce e sincera, ho tirato fuori la 45 Magnum e bang! Credo che Adam non abbia neanche fatto in tempo a vedere la canna della pistola.
Non mi sono premurato di non farmi riprendere dalle telecamere di sorveglianza.
Mentre uscivo dall’ufficio con la Magnum ancora in mano, mi hanno visto in molti e nessuno ha provato ad avvicinarmi. Per paura che li freddassi? Fatto sta che nessuno ha vomitato una scorreggia dalla bocca o una parola dal buco del culo.

[…]

Cap. VI

Cerco di fare il vuoto nella testa, ma non ci riesco. Devo cercare di mantenere la calma, devo pazientare: prima o poi riuscirò a evacuare come Dio comanda.

[…]

Cap. XIII

E’ strano, in televisione non hanno ancora detto niente e nemmeno allo radio hanno detto qualcosa sull’accaduto, eppure, a quest’ora, avrebbero dovuto dar non poco risalto al mio gesto. Forse temono che se parlassero di me in qualità di scrittore che ha assassinato il proprio editore, ciò non potrebbe che tornare a mio vantaggio, facendo correre le persone in libreria ad acquistare i miei libri. Non ho ucciso Adam Rubinstein per farmi della pubblicità in stile Charles Manson, questa cosa non mi è mai passata per l’anticamera del cervello.
Perché l’ho fatto fuori? Perché pubblicava i miei lavori senza leggerli. Perché non mi pagava il giusto. Perché sfruttava il mio nome. Insomma, perché non mi piaceva la sua faccia. Per questo l’ho fatto fuori. Sì, l’ho fatto fuori anche per via di quella sua dannata giacca, non lo nego. Non sopportavo più di vederlo vestito come un pezzente.

[…]

Non mi sono nascosto, non ci ho nemmeno provato. Sono in casa, e la porta è aperta, non c’è bisogno di sfondarla. Non riesco a capire: a quest’ora la polizia avrebbe dovuto fare irruzione e crivellarmi di buchi la panza, senza neanche invitarmi ad alzare le mani!

[…]

Sul pavimento ho buttato le varie edizioni dei libri che ho scritto nel corso degli anni. Non so perché l’ho fatto, ma mi è sembrato giusto farlo. Gironzolo per casa, aspettando che accada qualcosa, ma più il tempo passa e più mi convinco che non verrà nessuno a cercarmi. Il perché non lo so. So soltanto che non è normale. La situazione che sto vivendo è a dir poco assurda. Le ore passano e niente.

[…]

Chatterly or Lilith?

Cap. XXXV

Sono trascorsi due giorni e non un cane ha accennato al fatto che Adam Rubinstein l’ho fatto fuori io. Decido di uscire di casa per vedere se sui giornali la notizia della morte di Rubinstein è stata battuta. Arrivo all’edicola, indisturbato. Il giornalaio mi sorride, come sempre, con una bonarietà che rasenta la santità o la stupidità. Prendo in mano tre testate, le sfoglio con una certa ansietà e, come mi aspettavo, dell’assassinio di Adam Rubinstein non se ne fa menzione. Sbuffo. Non è affatto normale. Me ne vado senza salutare.
Gli ho sparato in pieno petto, e tranne nel caso Rubinstein avesse addosso un giubbotto antiproiettile, non può essere sopravvissuto senza riportare nemmeno un graffio. Non mi rimane che tornare sul luogo del delitto e vedere con i miei occhi quello che non riesco a immaginare, nonostante sia uno scrittore dotato di una notevole fantasia.
Entro nell’edificio. Alla reception Ilaria mi guarda, mi sorride, ma non significa niente: sorridere con grazia rientra tra i suoi doveri professionali. Prima di arrivare agli ascensori, incontro un paio di editor dall’aria anemica e un corruttore di bozze: non fanno una piega, mi salutano con voce in falsetto e morta lì. Solo per me la situazione è surreale, per tutti gli altri è normale incontrarmi.
L’ufficio di Adam Rubinstein sta all’ultimo piano.
L’ascensore è già al pianterreno, entro e pigio il bottone per spararmi al settimo piano. Pochi minuti e verrò a capo di questo rompicapo. L’ascensore cigola un poco, come sempre, niente di cui preoccuparsi. Accenna a fermarsi, come sempre, tra il quarto e il quinto piano, e poi procede la sua corsa. La porta si spalanca: sono arrivato a destinazione.
Mi guardo intorno. Dietro le scrivanie sono tutti tranquilli, non gli pare affatto strano che sia lì.
Spalanco la porta dell’ufficio di Rubinstein e lui è lì, con il naso cacciato in mezzo alle tette di una bionda.
Ho solo creduto d’aver fatto fuori Adam. Questa volta non sbaglierò.
Non ci penso su, nemmeno una volta, e tiro fuori la mia bella grossa Magnum dal taschino piccolino piccolino della mia enorme giacca a fiori: “Questa volta ti faccio saltare le cervella.”
Faccio fuoco.
Il proiettile scava un tunnel nella fronte dell’uomo.
Sorrido soddisfatto, anche se mi dispiace che sia morto con il naso cacciato dentro a quel paradiso di femmina bionda.
Pochi secondi e il buco non c’è più.
Adam Rubinstein è più che mai vivo e vegeto, e continua ad affondare il naso nelle tette della bionda.
Non capisco che cosa stia accadendo, ma so che non servirebbe sparargli di nuovo, lascio dunque cadere la pistola sul pavimento. E mi rivolgo ad Adam, perché solo lui può spiegarmi: “Ti ho sparato, la prima volta al cuore, adesso in mezzo alla testa. Ti ho sparato per ben due volte e non sei morto. Hai stretto un patto con il diavolo o che altro?”
Non mi risponde.
Per lui è come se non esistessi.
Mi avvicino a lui e alla bionda, e faccio per afferrarlo per la cravatta, ma quando ci provo la mia mano si arresta a mezz’aria, paralizzata da una forza misteriosa.
Fisso Adam, poi la bionda.
“Cosa diavolo sta succedendo qui?”, sbraito.
E il tempo si congela.
E il mio editore diventa più rigido di un manichino.
E la bionda si stacca da lui, e si porta proprio sotto il mio naso, con un sorriso che non mi piace affatto.
“Chi sei?”
“Chiamami Lilith”, fa lei.
“E’ il tuo nome?”
E’ bella ed è terribile, nei suoi occhi si agita una tempesta diabolica. Mio malgrado sono costretto ad abbassare lo sguardo.
“Fai bene ad avere paura, Leonard.”
“Chi sei?”, ripeto con un filo di voce.
“Leonard, non fare il bambino, non lo sei più da un bel pezzo. Qui comando io, le regole le detto io.”
Nonostante il mio animo sia invaso da una paura che mai avrei voluto sperimentare, parlo ancora: “Sei tu l’artefice di tutto questo?”
Con calcolata malizia, Lilith si accarezza la lunga chioma bionda: “Ti piaccio?”
Accenno di sì con la testa, inutile negare: deve essersi accorta della mia erezione sotto i pantaloni. Ed è quasi inutile sottolineare che la situazione è surreale, troppo. E’ come se fossi dentro il canovaccio di un b-movie molto ma molto brutto.
“Non è saggio da parte tua.”
“Perché sei tu ad aver giocato con il tempo, non è forse così? Adam non è morto né la prima né la seconda volta perché tu non hai voluto che morisse per mia mano. Perché?”
Non ottengo risposta, ma Lilith non smette di accarezzarmi con lo sguardo.
“Leonard, tu lo sai che Adam Rubinstein è solo un piccolo, un molto piccolo uomo, un soggetto insignificante. ”
Lilith, o chiunque essa sia, con una mano mi stringe i coglioni: “Non dovresti avere pensieri impuri su di me.”
Grido più forte di Farinelli.
Quando finalmente stacca la presa dai miei gioielli di famiglia, ringrazio Dio o chi per esso.
“Leonard, non hai ancora capito!”
Lilith è implacabile. Mi fissa con quei suoi occhi terribili.

[…]

Cap. LXXX

Attraverso la strada, senza far caso alle auto e ai vecchiacci in groppa alle loro terribili biciclette truccate.
Lilith è stata chiara: “Leonard, tu esisti in quanto personaggio creato dalla mente bacata di Adam. Questo sei, e sei più intelligente di lui, per strano che ti possa sembrare.”
Non posso farlo fuori, sono solo una funzione, un personaggio letterario, e chi comanda i miei fili è la persona che più odio al mondo. E immagino che l’odio che mi anima sia un dettaglio mica da ridere che Adam Rubinstein ha voluto regalarmi, per meglio tratteggiarmi. Un uomo stupido, privo di talento, che sino a qualche tempo fa, sulla carta, per chissà quale motivo, è riuscito a caratterizzarmi, a conferirmi una vita piuttosto originale agli occhi dei suoi lettori. Non posso oppormi, è lui lo scribacchino armato di penne d’oca a volontà. Lilith, prima o poi, lo farà fuori e così cesserò di esistere anch’io. O meglio, continuerò a esistere in quei libri che Adam ha già scritto e pubblicato. Ma non andrò avanti, le mie azioni saranno sempre le stesse. Qualcosa però non mi torna: se io sono un personaggio e so di Lilith, Adam Rubinstein, editore e scrittore, non può non sapere di lei e…

___________

Adam smette di scrivere, consapevole che il romanzo a cui sta lavorando contiene diversi errori di logica e di struttura, che lui non sa né identificare e né risolvere. Si rende però conto d’aver sbagliato dall’inizio, dall’incipit. Il fatto è che la testa gli sta scoppiando, non ne può davvero più di scrivere: è stanco e stufo di dar vita a personaggi su personaggi perché finiscano fra le pagine dei suoi romanzetti. Adam Rubinstein sa bene che se non fosse stato editore di sé stesso, con molta probabilità, non sarebbe mai riuscito a pubblicare grazie al suo poco talento, quello di un Ed Wood.
Alcuni anni addietro, suo padre gli aveva lasciato in eredità un gruzzolo sostanzioso e, ovviamente, la casa editrice bell’e avviata, la Hydra Edizioni. Nel corso dei primi mesi, seguendo le orme del padre, Adam aveva pubblicato diversi autori importanti, per scoprire che la maggior parte non lo arricchivano, non ne la misura in cui lui desiderava. Aveva continuato a pubblicarli, con tirature più basse però, e aveva cominciato a mandare in stampa libri più commerciali e appetibili, di lolite, attricette e puttane dichiarate. I libri della nuova collana editoriale da lui ideata ci mettevano poco o niente a vendere, purché in copertina ci fosse il volto o il mezzobusto di una bella e giovane puttanella. Già da tempo, Adam intuiva che se i libri da lui scritti vendevano, ciò era dovuto al fatto che tanti critici lo dicevano bravo e di più, perché, poco ma sicuro, non volevano inimicarselo come editore e perdere così la possibilità di pubblicare i loro saggi cervellotici.
Ma adesso Adam è stufo, è stanco di scrivere, e non ne può più di pubblicare cazzate, anche se sono queste ad averlo arricchito in maniera spropositata. Persino Leonard, il suo personaggio più riuscito, gli è venuto a noia e non riesce più a gestirlo. Rilegge le ultime pagine che ha scritto e non gli piacciono affatto, non gli piace l’idea d’aver fatto incontrare Leonard con Lilith, e soprattutto lo disgusta l’idea d’aver messo nero su bianco così tanto di sé, nonostante l’evidente sciatteria stilistica e di contenuti dello scritto. Uno scritto davvero pessimo, indegno persino per uno scrittorucolo come lui.
Prende i fogli che ha scritto, li accartoccia e li cestina insieme a tutte le sue belle penne d’oca. Adesso si sente un po’ meglio, anche se non gli riesce proprio di sorridere. Lilith non gli piace, gli fa paura, e pur sapendo che è una sua invenzione, non può far a meno di rabbrividire.
Giù di morale, decide di lasciar perdere la scrittura, per sempre.
Esce dal suo bureau, squadra i dipendenti ma senza vederli veramente, saluta Ilaria alla reception ed esce dall’edificio che accoglie la Hydra Edizioni. Ha la testa un po’ nelle nuvole, pensa ancora a Lilith. Un brivido freddo gli corre lungo la schiena. Adam ringrazia il cielo: nella realtà, donne come Lilith non esistono.
Arriva al semaforo. Attende che scatti il verde.
Verde.
Adam guarda l’incrocio, vuol essere sicuro che le macchine siano tutte ferme.
Comincia ad attraversare la strada, sicuro che una volta a casa i pensieri foschi che gli ronzano in testa saprà anestetizzarli, con generose dosi di scotch e di ansiolitici.
Prima che Adam possa anche solo tentare di lanciare un grido, un SUV cinese, spuntato da chissà dove, lo sbalza in aria.

Adam è a terra. Un rivolo di sangue gli scivola lungo il mento.
Attorno al cadavere si forma subito un capannello di curiosi.
Una giovane donna, bionda e bella come il peccato, si china sull’uomo e con un fazzoletto bianco gli pulisce il mento più e più volte, poi lo bacia sulle labbra.
Senza capire, la gente fissa la bionda che lega la sua lingua a quella del morto.
Sul marciapiedi mai raggiunto da Adam un randagio uggiola, e un vento oltremodo caldo comincia a schiaffeggiare Manhattan.

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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6 risposte a La malattia è nell’aria – racconto di Iannozzi Giuseppe, illustrazioni di Valeria Chatterly Rosenkreutz

  1. TADS ha detto:

    mi hai convinto, lo leggerò sicuramente, sei una bella penna 😉

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  2. Lady Nadia ha detto:

    E io grido, grido: è un CAPOLAVOROOOOO!

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  3. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Non penso sia un capolavoro, ma è un racconto che fa anche riflettere. Credo di non aver lasciato niente al caso: ad esempio, Lilith è una figura che appartiene a diverse culture, anche a quella ebraica:

    https://it.wikipedia.org/wiki/Lilith

    Grazie. ^_^

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  4. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Grazie. Cerco di dare il mio meglio. ^_^

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  5. romanticavany ha detto:

    Tanti anni fa la gente prima di entrare nel bosco a cercare funghi, si toglieva il cappello, si inginocchiava e recitava una preghiera.
    Mi sa che ora chi entra qui debba fare un inchino.

    Buona serata king, tanti complimenti perché mi piaci quando dici :-* Cerco di dare il mio meglio*.

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  6. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Ma quale inchino e inchino. E’ solo il mio blog e il sottoscritto non è cambiato, tranne per il fatto che è invecchiato.
    Faccio nella maniera che so fare, sperando di regalare qualche emozione: se ci riesco, allora sono contento; se non ci riesco, un po’ me ne dispiace, d’altro canto non tutte le torte possono riuscire con il buco.

    Buona giornata, Violetta. E un bacetto.

    King

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