Da bambino nutrivo sogni più grandi di me
ANTOLOGIA VOL. 108
Iannozzi Giuseppe
A Broken Wing by Chatterly
RESISTERANNO
(inedita)
Resisteranno i sassi
al passare del tempo,
ma non le montagne
soggette alle frane,
alla pioggia,
alla stupidità dell’uomo
Resisteranno,
saranno in superficie
forse un po’ più levigati,
e sempre saranno sassi
Saranno sassi
abbandonati
sotto il sole cocente
in mille e più deserti,
e non una voce umana,
e non una goccia di pioggia,
e non uno filo d’erba
da est a ovest
DULCINEA
Vieni a trovarmi, Dulcinea
Nel mulino a vento mi troverai
in compagnia d’un cuore
e d’un’armatura che addosso
più non s’aggiusta
Vieni all’alba o al tramonto
La prima volta che t’incontrai
temevo avresti ucciso la pazzia
che in piedi mi reggeva;
e oggi che di acqua sotto i ponti
ne è passata davvero tanta
comprendo che non ero sbagliato,
che non era sbagliata la paura
Vieni a trovarmi
Vieni a trovarmi dove ora io sto
nella ruggine dei giorni
Non un gigante o un burattino
nella terra della Mancia oramai
Ronzinante e Sancho Panza piango:
la profondità della solitudine mia
li ha consumati già, così io penso,
dolcissima Dulcinea del Toboso
DOPO DI TE
Dopo di te
Prima di far le valigie,
prima di portar via la gioia,
prima di dimenticare i peluche
che con passione al petto hai stretto,
ricorda che qualcuno ti ha amata,
pur sapendo che sogni e incubi
insieme muoiono
con la nascita dell’alba
dietro alle calve colline dell’autunno
Prima di dire “mai più!”,
prima di lasciarmi qui
col cuore incatenato
a una foto che il tempo ingiallirà,
prima di portar via ogni cosa di noi,
ricorda di soffiarmi un bacio
che sia al di là dell’amore
e dell’odio
Ricorda di lasciare un segno di te,
una lacrima di blues
MU
troppo di questo
troppo di quello
affonda di Mu la favola
la raccontano
oggi i vecchi ai bambini
che su di sé prenderanno
domani eterno fuoco
di morte avventure
fra la pace della brace
– urlante eterno rogo
d’innocenza e illusioni
come ogni giorno
continua la gretta storia
dell’umano che si pone
nel divino
MAGNIFICI PERDENTI
Seduto a un tavolino francese
su un taccuino giallo le mie poesie;
ti faceva ridere l’idea, vedere
che dal sole al tramonto bersagliato
su asfalto e cemento
l’ombra mia ebrea s’allungava
Chissà se hai mai visto l’aurora sfaldarsi,
se sei stata mai sfiorata dal pollice di dio,
dall’implacabile sua tenerezza!
E dove sei ora, a cosa pensi,
non lo so
E che fai ora, a chi pensi,
non lo so
Forse ancor ridi di qualcuno
che nella Cabala si perde
sognando d’averla vinta sulla vita
Chissà se hai mai saputo di quell’uomo
che dal niente tirò su un faro abbandonato!
Chi sa quante cose, quante ancor non sai
Forse, forse solo ancor ridi di qualcuno
Forse ancor non comprendi il niente
e chi di te ha una disciplina più forte
DA BAMBINO
Da bambino nutrivo sogni
più grandi di me;
vivevo per un diamante,
per una bambina bionda,
per un giorno di sole
Vivevo per andare al di là
dell’orizzonte della fantasia
Da bambino mi cacciavo in guai
sempre più grandi di me
e sempre ne uscivo a testa alta;
non conoscevo il nome della paura,
stavo sempre dietro alle farfalle
per rubar loro i colori più belli
Da bambino ero bello,
un eroe di tutto punto,
un agnello armato di belati,
di risate a gola spiegata
Da bambino facevo il bello
e il cattivo tempo
Da bambino ero grande,
baciavo in fronte Dio
MIA GIOVANE FIAMMA
Ti ho incontrata ieri
Sorridevi al vuoto
che ti si parava davanti
Non mi hai riconosciuto
Gli anni han fatto scempio
di ricordi e lettere mai spedite
Sorridevi e la tentazione
sempre quella, rubarti un bacio
per un ceffone in piena faccia
Ti ho incontrata triste
ma sorridevi senza un perché
Sotto la pioggia a capo scoperto
affondavi in ogni pozzanghera
Sarebbe stato facile raggiungerti,
offrirti un riparo sotto l’ombrello
e una sigaretta dal pacchetto nuovo
Tu, vecchia ancor giovane fiamma,
unico mio peccato mai appagato,
dove e quando abbiamo sbagliato
nemmeno una preghiera a mani giunte
al Tempio del Tempo ce lo spiegherà
MIA PERLA DI LABUAN
Di tanto in tanto,
quando il tempo brutto
e in cielo neanche
uno spicchio di Luna
a rischiarare
il volto mio torbido,
in punta di piedi
silente
a me ti presenti,
e sempre sei emozione,
tu, mia Perla di Labuan
ESILIO A SANT’ELENA
Sai, non la so scrivere una poesia,
con o senza una rima banale,
per un bacio o per una piccola gioia
E pensare
che nella tua luce vivevo
per scoprire poi, per vil caso,
che con un altro m’hai tradito
Così, adesso che dovrei mai fare?
Sull’asfalto bollente riposan le rose
già in parte appassite, stracciate
dalla rabbia che m’ha rapito
Ma veloce mi passa accanto la gente
alzando polvere, grida
e risate in confusione
Cade pesante a terra una goccia,
un’altra poi e un’altra ancora
E il capo levando al cielo
lo scopro sconvolto
rapito
in un sudario di pioggia gravido
Tacendo, con lo sguardo ebete,
il cammino riprendo calpestando
petali in un’orgia di vento
e passi più vecchi del mio amore,
di questo doloroso amor sconfitto
Già ti vedo accogliermi, Sant’Elena
SPICCA IL VOLO
L’anima
non la bruciare,
tieni invece alte le ali
come giovani fiamme
e al di là della bellezza
spingiti
fino a incontrar
più alto incanto:
un bacio
in punta di piedi,
con sorpresa
ricevuto e dato!
MAI IN GINOCCHIO
Pazzo sì,
ma non in ginocchio
immobilizzato
come in prigione
fra le pagine
d’un libro ammuffito
e da tutti dimenticato
Pazzia
m’è da parte,
artifizio che sostiene bene
l’arte mia,
ma mai e poi mai
potrei lasciar cader
il ginocchio mio
perché la terra baci,
nemmeno se siete Voi,
Signora,
a comandarmelo
colla forza
della Vostra bellezza.
Pazzo,
così tanto pazzo sono;
e sempre gli occhi
li punto ben dentro
agli occhi dell’amico
come del nemico;
li punto a mo’ di spada
perché possano portar
lontano il male
o produrne uno nuovo
e più forte,
uno che sia resistente
più della breve eternità
concessa al corpo mortale
che quel dio,
benedetto e maledetto
dalla bocca degli uomini,
in dono ci ha lasciato
a mo’ di scherzo.
L’ALTRO LATO DI ME
prendi me, prendimi come sono
animale, d’istinto infernale
faccio il bene, faccio male a fare il bene
sempre, sempre una pioggia di inferni
piove addosso a chi m’incontra
sono sull’altro lato di me
non mi guardare con l’occhio storto
stai soltanto bramando il mio nero petto
sono sulla faccia oscura della luna
stai soltanto cercando di capire
se hai bisogno d’essere esposto alla verità
sono in alto, sono sull’altro lato di me
un giorno funziona bene, quello appresso no
ma il primo uomo che allunò la sua impronta
paura nutrì che gli mancasse la terra
sotto i piedi per sempre
e io sono così, non sul lato infetto dalla luce
e io sono così, sul lato animale disposto
prendi me, prendimi come sono
umano, d’istinto animale
prendimi così come sono perché sono
umano, di bianco e di nero
faccio il bene, faccio il male
sempre, sempre una tormenta di paradisi
piove addosso a chi m’incontra
prendo alla radice di me il lato più selvaggio
né ora né mai potrai comandare il mio passo
PER DAMASCO
La barba che s’imbianca,
io che divento uomo
dimenticando l’ora di religione
e quella più rigida di ginnastica
Perdo la coscienza d’amare:
la penna non è forte mai
come la mano che fino alla fine
sa fare forte il male
Uomini striscianti e alte torri
sulla strada per Damasco
Ma quanti begli occhi neri
a illuminare la sera
che i consigli delle ombre
– delle tombe – reca
Abana, Parpar,
sì secca la gola,
sì ruvida la lingua
al sole penzolante,
come lucertola
della coda amputata
E quante spade
dalle croci spiccano teste
E quanti occhi,
quanti non sapranno il giorno
Per una lacrima d’acqua
perdo la conoscenza astrale
L’Uomo Muto interrogo,
troppo astuto!
Ed è già di ombra
tra le ombre della sera
Quanti occhi di nere spie,
e orbo tra vasi di creta io
La barba che s’imbianca.
io che morto seme m’invento
dimenticando
un’ora della vita mia
e quella più interessante
del sogno tuo, Gesù
Uomini striscianti e alte torri
sulla strada per venire a trovare
il sepolcro mio vuoto
… il sepolcro mio vuoto
LA FAMA E LA FAME
E c’è che forse mi son rotto,
andare, andare e continuare
sempre cercando l’ago nel pagliaio
Cambiano delle strade i nomi,
non la fama e la fame
che in fondo ai tombini scivola
C’è che forse mi son rotto
di tenere un faccia a faccia
con il solito zuzzurellone impiccato
che dal mazzo le carte le sceglie
e all’orizzonte il destino mi profila
C’è che forse mi sono venuto a noia…
scrivere, scrivere e tutto dimenticare
nell’eco delle parole, nell’assurdità
che il giorno lo spogliano
per il solito girone infernale
fra Dante e un Buddha adorante
Cambiano gli uomini i nomi
che li hanno conosciuti un po’
perdendosi in un labirinto borgesiano
Cambiano come cambiano,
ma mai l’identità che li forma e li sforma
in un venire di sdentate finzioni
C’è che bella o brutta che sia
m’affascina di più la realtà,
la realtà con il cuore in gola,
quella realtà veloce e lenta
che la vita di botto te la schianta
quando meno te lo aspetti
PER DISPERAZIONE
Tu aspetta che ti leghi alla sedia
con rossi nastrini di seta
Tu aspetta che metta la penna
sulla carta per registrare sul bianco
ogni tuo vergine sospiro
Tu aspetta, e vedrai che sorpresa
l’amore, come non l’avevi immaginato
Aspetta che ti soffochi di domande,
che metta a nudo la tua anima,
che ti faccia sentire senza difese
in mio completo potere
E allora non avrai più scampo
Ti toccherà arrenderti, per disperazione
amarmi; e sarà triste e bello
allo stesso tempo, anche se ora
fatichi non poco a credermi
CUNNILINGUS
Sono stonato
Non so cantare
Strimpello la chitarra
E la voce mi fa schifo
Sono stonato
più d’un impiccato
Credimi se ti dico
che è meglio per te
che non te la canti
una ninna nanna
Non sognare a occhi aperti
Apri invece il tuo cuore
e rimettilo nelle mie mani
Lo saprò medicare
dai mali del giorno
e da quelli del passato
Non mi chiedere
di cantare,
non so usare l’ugola
La lingua però sa lavorare bene
sulla tua fica di carne di seta
Non sa cantare la mia bocca
Stono peggio d’un impiccato
Non mi chiedere
di cantare parole d’amore
Farei solo danni
Non mi chiedere
di cantare
Chiedimi invece
di essere dentro di te
per sempre
ALBA E TRAMONTO
Invento l’impossibile per te
Alba e Tramonto
– che mai s’incontrano –
li faccio incontrare
perché l’amor che sento
in eterno possa durare
Invento l’impossibile
con un cuore cannibale
che mi morde la dolcezza
nutrita in petto
in tanti anni di solitudine
Invento la tua immagine
e il tuo amore ancora e ancora
per non dimenticare mai
che un dì m’hai amato
dal tramonto all’alba
DAL FUOCO
Zingarella
che mi cammini nell’anima
a piedi scalzi,
ti sento leggera, fragile
come foglia strappata
e al vento affidata
senza meta né verità
Che sogni? Ne hai tanti
di sogni e non uno
che si sia dato a te
Asciuga gli occhi
Ho un grande amore
da proteggere e la gola secca
Non mi posso ubriacare
un’altra volta per rovinarmi
al poker del marinaio
e poi sognare la mia donna
da sola al porto a stropicciare
fazzoletti e bandiere
Zingarella
che vivi l’insonnia,
prendimi nel tuo letto
prima che sia Lucifero
a rapirmi al tuo sogno
Non lasciarmi giocare ancora
Troppi tagli e dita amputate
e subito seppellite
Zingarella che accendi
il fuoco nel tramonto,
dammi alle fiamme della tua anima
Non farmi fare un’altra mano
A piedi nudi camminerò il fuoco
per te, e per te le paure le brucerò
AMARTI
Volevo solo amarti
Ma avevi freddo
nel fondo dell’anima
Mi cacciasti via
prima
che ti toccassi
e insieme a te
per sempre
m’addormentassi
come sasso
che più niente
del dolor della carne
sente
NON DIRE…
Dimmi quanto mi ami
Dimmi quanto ti sto a cuore
Non dire
che non me lo puoi dire
Dimmi quanto mi ami
e poi taci per sempre
insieme a me
STORIA DI LEI
Lei l’ho lasciata
perché come una bestia
beveva fumava e ruttava,
ma a letto non era buona
Non ha fatto storie,
non si è strappata i capelli
né ha minacciato
di pisciarmi addosso
Ha continuato a fare la vita
fino in fondo,
senza un uomo accanto,
attaccata alla bottiglia
Quando l’hanno seppellita
non c’era nessuno
che si ricordasse di lei:
non c’era il barista,
non c’era il droghiere di fiducia
e non c’era un magnaccia
caduto in un pianto disperato
per il guadagno perso
e per sempre consegnato
ai gironi dell’inferno
CARVER
Le complicate belle storie d’amore
son finite; Carver tutte le ha fumate
con semplice immediatezza
per avere in cambio un tumore
ai polmoni, e lasciar le cose così…
LA CARTA PIÙ ALTA
Anche se in mano hai la carta più alta; anche se lo sai di essere il migliore e il più giusto tra i geni ribelli; anche se tutti ti temono e mai si azzarderebbero di giocare al tavolo con te; anche se ti hanno eletto cavaliere oscuro; anche se cadono i muri e le recinzioni insieme ai castelli di sabbia della fanciullezza; anche se potresti essere al di là del bene e del male per innalzare la necessità al ruolo che da sempre le spetta; anche se avresti un milione di buone ragioni per vincere e continuare a distruggere idoli e falsità; anche se potresti vincere, accade qualcosa in te, comprendi che… e allora sai che di più ti conviene non giocare la carta della vittoria, e così dai le spalle a tutto e a tutti, perché sia l’eterna lontananza in un addio a portare avanti, meglio di te, il tuo gioco contro la mediocrità.
Grazie ❤
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Spero la poesia, per altro nuova di zecca, ti sia un po’ piaciuta. Ho avuto l’ispirazione grazie al tuo post. Non è una poesia d’amore, no, non lo è, ma, d’altro canto, non avrei potuto osare di più, sei infatti sposata da lunga pezza. ❤
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È bellissima ❤
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Forse è poca cosa, ma c’è ed è scritta con sincerità. ❤
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Ed è quello che conta 😘
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Tu capisci sempre tutto. ❤
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