ANTOLOGIA VOL. 8
Mi odiasti perché ti amavo
Iannozzi Giuseppe
Uccelletto del Paradiso
Mi piaci te perché acqua e sapone,
e fragole e ciliegie a colazione
Si sveglia il Sole con te,
e il tuo faccino illuminando
a notte fonda si fa bella la Luna,
mentre già sogno di te
un po’ nuda e un po’ no
E’ che mi piaci proprio te
anche quando scalci e rompi l’anima,
tanto lo so che poi preghi per me
perché dei Folli non diventi il Re
Hai visto il meglio e il peggio di me,
ma hai saputo distinguere la verità
Come uccelletto del Paradiso il nido hai fatto
nel mio petto dove più forte batte il cuore
Bastardo un po’, è vero così
Sospetto però che un po’ piace pure a te
veder che perdo le staffe per una o due cose,
tornando infine a capo chino da te
a cercar consolazione, un bacio e la luce di Dio
Padre, mi benedica
Padre, mi benedica,
non ho peccato,
ma tempo ho sprecato
curandomi del prossimo,
perdendo di vista me.
In ogni caso
dai peccati mi liberi
come io libero Lei
che qui mi ascolta
con orecchio distratto,
mentre in silenzio,
da dietro la grata,
con occhi avidi spia
tirando a indovinare.
Liberi lascio gli amici
e a maggior ragione i nemici;
e lascio loro la mia povertà
perché possano spartirla
in parti eguali; e se non contenti,
pure lo spirito mio guercio
volentieri gli lascio in dono.
Padre, mi benedica
e non dica: tutto conosco
e tutto ho conosciuto;
e se qualcosa m’è sfuggito,
sarà perché mai ho creduto
che la bestia che sono
un dì si eternerà.
Padre, di questo corpo
son l’unico possessore,
glielo assicuro; di corpi morti
Lei tanti ne ha visti, nudi e no,
di spiriti invece manco uno:
come me non crede ai fantasmi
e soltanto questo è forse
un punto a suo favore.
Padre, un’ultima cosa:
il vino ch’era in sagrestia
col pane l’ho inzuppato,
ho già quasi tutto digerito…
manca giusto un rutto.
Sacrificio
Eri un fazzoletto,
una stella caduta
dal pianto delle stelle.
Eri la verginità,
una ferita aperta
nel sogno d’una fata.
Eri un sorriso,
una gioia spremuta
tra i seni della vita.
Eri un bacio,
una brezza rubata
ai campi di grano.
Eri troppo tua
perché non potessi
darti ad altri doni.
Eri Dio che puniva
Ti perdevi
e non ti perdevi
nel ticchettio
d’un orologio.
E il cappio
al mio collo reggevi
per baciarmi
in un soffocamento,
con il buonumore
d’una bocca di fragole.
Allentavi poi la presa
e mi davi il sorriso
d’un’inquisizione:
i tuoi occhi
trepidavano
nelle fiamme
d’una passione
di capelli rossi
rovesciati nella seta
d’una tormenta
sul mio volto
sbiancato,
soffocato.
Eri Dio,
che puniva.
Mi prendeva il batticuore
Mi prendeva
il batticuore
perché
eri
un gran tocco
di femmina.
Volavi via,
farfalla carnosa,
spargendo
il tuo profumo di figa
nei corridoi,
fra i libri
morti e sepolti
in biblioteca.
Gli occhi blu
ti facevano
bellezza triste.
Ma il sorriso
rimaneva
la tua vittoria.
Accendevi
una sigaretta,
e ce la passavi:
a te rimaneva
l’ultima nota.
Così impossibile,
eri
un gran tocco
di femmina.
Ti cercavo
in biblioteca,
nel cesso,
nei corridoi:
seguivo
la pista
che lasciavi,
il sesso
dell’ultima nota.
Non te l’ho detto
mai
che
impazzivo
per la tua bocca,
per la tua carne,
per i tuoi occhi.
No,
non te l’ho detto
mai
che
eri
femmina,
puttana di Babilonia,
farfalla carnosa,
fuggita
dal mondo,
rifugiata
nel mondo,
per dannarmi
gli occhi
imbranati.
Eri
un gran pezzo!
Mi odiasti perché ti amavo
Tu mi odiasti
Tu volevi un fiore
Tu volevi il mio sangue
Tu mi regalavi dolori
Tu dicevi che eri
una rosa pericolosa
Io tacevo, tacevo
perché tu mi odiavi
Ti sfioravo le labbra
Ti accarezzavo
per darti un po’ di gioia
Cercavo un po’ di felicità
Tu non capivi perché
Ti conobbi che eri bella
Ti incontrai sotto la pioggia
Imparai ad amarti, tu a odiarmi
Perché mi odiasti così tanto?
Chissà se adesso
sei felice di vivere
nell’odio!
Ti sfioravo
Ti sfiorivo
Ti accarezzavo
Ti cercavo
fra le ombre
Io mi dimenticavo
di me stesso
Ti accarezzavo
le labbra con un bacio
che tu mordevi
a sangue
Tu non potevi proprio
amarmi almeno un po’
Sei stata la più terribile,
mi odiasti perché ti amavo
Mi hai spezzato il cuore,
ma io spero tu sia felice
Ma io spero tu sia felice
perché l’odio
io lo conosco poco
Comprendo che
provasti piacere
a odiarmi
Al di là del muro
Togliamoci i sassolini dalle scarpe,
ognuno di noi lo sapeva
che c’erano orecchie per sentire
al di là del muro
Siamo andati incontro al fallimento
perché, in fondo,
nostro desiderio era d’affondare
con baracca e burattini
Dovremmo mettere le carte in tavola
Adesso che non possiamo tornare indietro,
i lupi hanno zanne e occhi rossi di sangue
Dovremmo fare il punto,
e senza respirare buttare lo sguardo
al di là del muro
Abbiamo i nostri stracci addosso,
e c’è un intero branco
che fiuta il nostro odore dato al vento
E arrestare il passo per riprendere
un poco il fiato, no, non ci conviene
L’ha ribloggato su Isabella Difronzo.
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Grazie di tutto cuore, sempre attentissima Isabella. ❤
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