Essere o non essere con Valeria
Poesie dark d’amore e d’amicizia
Iannozzi Giuseppe
Quel magico paradiso che mi promettevi
Ricordo quel magico paradiso che mi promettevi
Giocare alla vita era così semplice allora,
così semplice, tutto a portata di mano,
un mondo di miracoli da accettare
con gratitudine di lacrime, senza vergogna
Gli anni passati a inseguire gli aquiloni
hanno fatto presto a farsi grigi,
e la neve dal mio cuore non s’è più sciolta
guardando con finto coraggio
a quel cielo infinito che dicono esser opera di Dio
Vorrei poter tornare indietro, tornare indietro
e riprendermi tutto quello che ho perduto,
sfiorandolo per un attimo solamente
Vorrei, vorrei saper scrivere una poesia
che non abbia mai fine e dire
che ho fatto del mio meglio
Ma ogni grano di fede ha cessato di essere,
così adesso mi ritrovo nel Deserto del Diavolo
e senza pace passeggio
Ricordo quel segreto
Con nostalgia ricordo
Ricordo tutte le magie che facevi
Ricordo tutte le parole che tacevi
e tutte quelle che non ho mai saputo dirti
Ricordo quel segreto che mi ha spezzato il cuore
Ricordo, ma qui tutti dicono che ricordare è da deboli
Tutti ripetono la stessa cosa ogni santo giorno,
i miracoli non si ripetono per nessuno, per nessuno
Tutti ripetono la stessa cosa, Ragazzo lascia perdere
Lascia perdere o ti farai ancor più male, lascia perdere
Tutti ripetono la stessa cosa ogni santo giorno,
i miracoli non si ripetono per nessuno, per nessuno
Ed io vorrei soltanto saper scrivere una poesia
che non abbia mai fine
Tutti ripetono la stessa cosa ogni santo giorno,
i miracoli non si ripetono per nessuno, per nessuno
Ed io vorrei soltanto saper dire quel che sento dentro
e far sapere a tutti che ho fatto del mio meglio
Ma tutti ripetono la stessa cosa ogni santo giorno,
i miracoli non si ripetono per nessuno, per nessuno
Non si ripetono per nessuno, per nessuno
Non si ripetono per nessuno, per nessuno
Non si ripetono per nessuno, per nessuno
Il mattino si sveglia con te
Ho rubato, ho rubato, ho rubato
e per questo finirò in gattabuia,
così non potrò più morire nella luce
dei tuoi occhi che svegliano il mattino
Ho rubato per amore
Ma quelli che mi hanno preso
non hanno voluto sentir ragioni
Hanno detto che è peccato
rubare nel Giardino del Signore
Per questo mi hanno condannato
Ogni mattina guardo dal buco della serratura
Chiedo ai miei aguzzini di gettarmi la chiave,
gli dico chiaro e tondo che non ho colpa
Mi risponde sempre la mia eco stonata,
e più il tempo passa e più mi convinco
che il giorno che uscirò di qui ucciderò
La lama di Luna che mi taglia la faccia
non ha pietà, perché dovrei averne io?
Ho rubato, è vero, ma non ho colpa
E’ stato per amore che ho rapito
dal Giardino del Signore il fiore più bello
La solitudine lo stava uccidendo
Lo stava uccidendo lentamente nell’eternità
Il giorno che uscirò di qui non sarò buono
come per tutta la vita bene o male sono stato
Ruberò ancora dal Giardino del Signore
A testa alta e col volto bene in vista
e con una lama di Luna lo minaccerò
che deve darmi indietro il mio amore
Questo farò, e bello sarà morire nella luce
dei tuoi occhi che svegliano il mattino
Bambola, dimmi di sì
Bambola, che ne dici di uscire con me?
E’ da tanto tempo
che aspetto questo momento
Il blues non passerà mai
se non sfiorerai almeno una volta
con la tua bellezza i miei cinque assi
Bambola, lo sappiamo bene entrambi
che sono un baro e un nullafacente,
ma se mi dirai di sì ti accompagnerò
a vedere l’ombra di quel famoso tipaccio
che vendette al Diavolo la sua anima in croce
per suonare come nessun altro al mondo
Bambola, non dirmi che non ce n’è
Ho cinque assi, puoi contarli se non mi credi
Ho cinque semi che aspettano d’esser giocati
Non lasciare che giochi al tavolo con il morto
Bambola, non dirmi che non ce n’è
Ho il blues nelle dita, ho il blues nella dita
Da tempo dimentico
Da tempo dimentico le date importanti
con la luna che suda amore,
con il sole che affoga nello spazio
Non è stato sufficiente estrarre
la spada dalla roccia per giustificare
le tristezze, i mali da Est a Ovest
Rimango goffo nello sfiorare
d’una farfalla i colori in volo
sulle ali del vento,
forse per colpa d’una lacrima di whisky,
o del bastone che mi tiene compagnia
C’è laggiù un giardino senza nomi
Non ci va mai nessuno
perché nessuno sopporta il dolore
di chi non può riposare
Non è stato sufficiente imbiancare
la barba e perdere i capelli,
saggezza non è venuta dalle stelle
Ma tu, tu sei sempre più bella
Questa verità, questa verità,
sì semplice e complicata,
tu, per colpa mia, non la dimenticare
Randagio sotto la pioggia
Un randagio sotto la pioggia
cerca nel cielo di nuvole e notte
l’alta ispirazione per tirar giù
un goccio di piscio, e un guaito
che arrivi fin lassù
E ci sono, ci son sempre stati
i tuoi grandi occhi blu
a sciogliere questa cosa,
questo blues,
così penso che continuerò
a vendere stracci e poesie
alle donne per veder la gioia
gonfiarsi nei loro vergini seni
Vieni, vieni, prego ogni sera
E vieni, vieni, prego ogni sera,
prima che si consumi della fede la cera
Come zingaro aspetto preso sotto
il peso della luna per vedere
una volta ancora le tue gambe di miele
E vieni, vieni, ripeto lento lento,
fumando del pacchetto l’ultima sigaretta
Ho visto crollare il muro di Berlino
e le Torri Gemelle; non mi aspetto granché
dal futuro; da centinaia d’anni
l’Ebreo Errante nasconde un piano
nella sua tasca destra e a tutti va ripetendo
che non ci sarà un posto sicuro per nessuno
quando Gerusalemme e la Mecca cadranno
E vieni, vieni, ho del buon vino,
bicchieri di cristallo e un violino
Manca solo la tua bionda bellezza,
il tuo sguardo blu e fatale
per dar sicura sepoltura
alla bruttezza della mia faccia
E vieni, vieni, ripeto lento lento,
fumando del pacchetto l’ultima sigaretta
Scrivono poesie
I più scrivono poesie
per farne cenere ed epitaffi;
io invece attendo
che il dì si spenga nel buio
per sentire la tua canzone
I più dimenticano i veri poeti,
le pallottole d’argento lucido,
le sofferenze delle rose;
gioco con i soldatini
pregando il Buddha che ride,
affinché non cadano
nella trappola della ruggine
I più scrivono e scrivono
senza posa, mai stanchi;
come un bambino illegittimo
attendo che tu mi dia gioia
con un bacio in punta di piedi
Aspetto te per non cadere
nella trappola della vecchiaia
La più bella
E’ ovvio che sei tu
che corri per venirmi incontro
sotto la pioggia a baciare
le mie labbra piangenti sul bagnato
Certo che sei tu la più bella,
colei che la barba bagnata mi scompiglia
con unghie ben affilate di rosso smalto
Sei sempre tu riflessa
dentro alle pozzanghere,
nell’occhio del ciclone,
in quello della luna e del sole
Sei sempre tu che mi tormenti
Che sul tenero tuo seno
mi addormenti come fossi
un bambino troppo stanco
d’esser stato tanto a lungo
non amato
Sei sempre tu che mi spingi
al sorriso sotto la pioggia,
senza ombrello e cervello
Sempre tu, sempre tu, sempre
Sempre a schizzarmi di felicità
in un letto di pioggia, di fresca
gioia dal cielo piovuta
senza che neanche Dio
sappia immaginar il perché
Lunapazzia
Luna, a mortale pazzia
mi hai tu abbandonato
Bella ti credevo seppur pallida
Ti credevo
Ti credevo quando il volto
cadaverico m’illuminavi
mettendo a nudo il cranio
del lume della povera
mia poca ragione
Luna, in te confidavo
segreti e passioni,
come a una sorella
La notte attendevo
sempre
con respiro pietroso
dentro all’anima
felice della vaga coscienza
che in briciole avresti ridotto
alcuni dei miei tanti dubbi
Un momento è bastato
perché dalle mie orbite sparissi,
per sempre inghiottita da chissà
quale abissale, non perdonato,
mio sgarbo; così oggi resto io
con la testa fra le mani,
più di là che di qua
Tu, Venere
Al tuo cospetto
eccomi qui
col grigio petto
a te davanti
perché possa tu farne
vanto o eterna agonia
con le tue mani
di farfalle,
con la tua bocca
di rosse fiamme
Qui sono:
nudo,
senza difese
Reco poesia
che è vecchia,
come le età
che al vento m’hanno
malamente raccontato
Però sono qui,
e sono per dispormi a te
La luna in cielo alta,
e ululano e ululano i lupi
e ai corvi tengono compagnia:
forse anche loro
cercano un amore
o un cadavere da sbranare
Io ho soltanto poesia
che è vecchia
e non posso mentirti
Se ancor mi vuoi
mi dovrai accettare così,
a petto nudo
Se ancor mi hai a cuore,
mi dovrai baciare
con denti aguzzi più dei miei
e lanciare poi un urlo più alto
del gracchiare delle mie ossa
Ma qui sono
adesso e per sempre,
per saperti Venere
Viaggi il tuo viaggiare
Amputare i ginocchi
perché non vedano il gioco,
la paura negli occhi
dello straniero che sei
Dire ciao addio arrivederci,
ci vediamo domani, casomai dopo
E dai finestrini tirati giù a lutto,
con sorrisi acrilici salutare tutti,
immaginare i volti non sconvolti,
sapere per filo e per segno
che la signorina e il signorino
si danno da fare con rossetti
e lunghi baffi alla Dalì
Ma l’orologio,
l’orologio sulle sette fermo
annega nella sabbia le lancette,
nel cuore spaziale
d’un Gesù un po’ così e così
dalla spiaggia di Port Lligat ammaliato
E tu, tu viaggi il tuo viaggiare
E tu, tu viaggi il tuo viaggiare,
buttando in un angolo le scarpe,
cercando nelle tasche due monete d’oro
E poi, e poi, e poi…
non si prova più moto d’apprensione
per i crisantemi belli e gialli lasciati
a marcire fra gli epitaffi in giardino
E poi,
poi, dopo, non rimane niente di niente,
nemmeno una crosta di pane
o la delusione d’un vuoto di conchiglia
E poi, e poi, e poi…
Angelica
Così se oggi ancora credi in Dio
mettilo un po’ da parte
Bene o male,
fra danni convinzioni e illusioni
ha già fatto la sua maledetta parte
Così se oggi ancora credi
chiedi al tempo un attimo
Non credere sia stato facile
distribuire pani e pesci ai tanti:
anch’io sono stato un Sacripante,
un questuante,
e un innamorato anche
E come uno stupido ho avuto
quel che per forza ho poi avuto
E come un annegato ho bevuto
Così se oggi ancora credi in Dio
non gettare troppa colpa su me
La verità era già là, era già là
La verità era già là, era già là
Fra danni convinzioni e illusioni,
nell’ingrata parte d’un angelo caduto
a modo mio ho fatto detto e dato
sempre a metà, sempre a metà
Pirata
Il mondo d’attorno
l’ho guardato,
con un occhio solo
sempre cercando
fra travestiti e marinai
chi fosse il più nero,
chi il più maledetto
Dormendo
a ogni rumore attento,
spazzando via
dalla burrasca
mille e più maledizioni,
sa la notte
per quanti mari
ho navigato
affrontando fantasmi
e ciclopi dimenticati
Han le sirene spalancato
l’occhio mio buono
su livide albe,
su cieli divisi in due
e spiagge di cadaveri lastricate
Non è però mai tornata
Lei, l’amata mia guerriera,
né la conta degli sconosciuti
Sol le onde han bagnato
dei morti in battaglia i piedi
cancellando loro il nome,
portandogli via l’anima
o quel poco che ne restava
Tortura finale
Morte lenta,
orribile,
destinato
a incontrar
il Creatore
Le membra mie
stirate,
alla forza
di quattro bestie
legate,
verso
i 4 punti cardinali
lanciate
finché ossa
tendini e muscoli
dalle estremità
staccati o quasi
Solo allora
su l’affilato
volto della Musa
nascerà
un pallido sorriso
di soddisfazione
Più di là
che di qua
col fiato
ridotto
a un sibilo
dirò
che l’ho fatto
perché
andava fatto
Calerà allora
l’impietosa sua mano
sulla bocca mia;
con questo tappo
sulle parole
non dette
coglierà Lei
una rosa di sangue
Caffè nero più del nero
Muto m’accompagnavo a una marchetta
per un po’ di vita e una barchetta di carta:
a me accanto stava la novella mia sposa
Avevo in corpo la forza di mille neri caffè
e nel cuore la notte stellata di Van Gogh
Lei mi sorrideva strano
e si reggeva a me stretta stretta
Io non avevo quasi coraggio
di baciarle le vuote orbite
La gente ci scivolava accanto
come se non esistessimo
Il boulevard era tutto un inferno
di scassate botteghe, e la Luna
spandeva su di noi pallido lucore
d’amore, di dolore
“Allora è vero che mi ami!
Allora è così il tuo amore…?”
Io solo continuai a tirare diritto,
lasciando
che il suo abbraccio fosse il mio
Avevo in corpo la forza di mille neri caffè,
la notte stellata di Van Gogh nel cuore
e la compagnia di anni e anni tutti uguali
Alla fine,
con fredda distratta mano,
appuntai il fiore,
che lei m’aveva regalato
davanti all’altare,
sul nero del vestito migliore,
e finalmente la baciai sugli occhi
E mi spensi insieme a lei,
insieme a lei