L’ultima donna. Un racconto nero di Iannozzi Giuseppe

L’ultima donna

di Iannozzi Giuseppe

investigatore

Carla aveva fama d’essere una mangiatrice d’uomini. Gran tocco di femmina, lunghi capelli d’un bel rosso tizianesco, occhi verdi belli come berilli, fondoschiena e gambe da fare invidia a una pallavolista. Non era solo bella da togliere il fiato, poteva difatti vantare una cultura non indifferente che però si sposava a un’intelligenza mediocre; ciononostante, nell’insieme, senz’ombra di dubbio, era ben al di sopra della media, una bambola che sapeva il fatto suo, capace di rivoltare un uomo come un calzino.
Carla Millosevich aveva avuto un padre italiano e una madre russa. Dei suoi genitori non seppi altro, tranne che morirono in circostanze misteriose, in Ucraina, all’inizio della Rivoluzione arancione. Una volta, a muso duro, le chiesi che affari fossero mai andati a sbrigare in Ucraina i suoi; lei non si scompose, disse soltanto che si sarebbero dovuti incontrare con Viktor A. Juščenko, ma che non arrivarono mai a destinazione. Non aggiunse altro e non mi permise di farle altre domande. E a me non interessava conoscere i particolari. Per me era Carla Millosevich, una che era finita in una retata e che io, operando le giuste pressioni, avevo tolto dai guai a patto che diventasse la mia donna. Lei accettò di mettersi con me, senza neanche pensarci su.

A quel tempo non sospettavo d’avere un tumore, pensavo d’essere sano come un pesce. Carla, al pari di tutte le donne, odiava il solo pensiero che una persona potesse perdere la bellezza, la forza, la salute. Carla nutriva la convinzione, neanche poi tanto sbagliata, che forza e bellezza non potevano non convivere.
Fu poco prima dell’ultimo Natale insieme, a seguito di una tosse che non accennava a diminuire, che Carla mi costrinse a farmi visitare. Il responso arrivò secco: carcinoma polmonare. L’oncologo non fece giri di parole per dirmelo: “Ha un tumore diffuso. Il polmone destro è andato.”
Non mi scomposi.
“Che si fa?”, volli sapere, abbozzando un sorriso carico di disgusto.
“Signor Malaparte, sarò sincero, c’è ben poco da fare. Tenteremo una toracotomia per una resezione polmonare, ma…”
“E’ arrivato anche al sinistro”, aggiunsi io.
“Temo di sì. Non sarebbe sufficiente la pneumonectomia.”
Tossii.
“Possiamo operare subito, nel giro di ventiquattro ore, dopodiché si procederà con la chemio per tentare di arrestare la neoplasia al sinistro.”
“Quante possibilità?”
“Non molte. Sotto il dieci per cento”.
Era stato categorico: anche intervenendo chirurgicamente, le possibilità di farcela rimanevano sotto la soglia del dieci per cento. Non ci pensai su due volte, mi sarei tenuto il tumore. La mia decisione non dovette piacere granché al dottore, che si fece più bianco d’un cencio. Gli pagai comunque la parcella, sicuro che sarei campato più a lungo se non fossi finito sotto i ferri.
Non dissi nulla a Carla, non avevo voglia di passare il Natale da solo, senza una donna nel letto.
Un brav’uomo quel dottore. Non si era fatto problemi a spararmi in faccia la sentenza che la Nera Signora mi stava montando, era però sbiancato quando gli dissi chiaro e tondo che non intendevo farmi massacrare sotto i ferri, per poi affrontare la chemio, con l’unica sicurezza che, al massimo, avrei guadagnato pochi mesi di vita del cazzo.
Fu un Natale non migliore, non peggiore rispetto a quelli finiti seppelliti nel mio passato. Accompagnai Carla a far compere lungo Via Po. Non si risparmiò, comprò ogni cosa inutile esposta nelle vetrine. Si comportava come una bambina viziata e forse, a suo modo, lo era. Non reclamai. Cacciai fuori i soldi dal portafogli senza neanche interrogarmi perché fossi così ben disposto ad accontentare la sua smania consumistica. Avrei dovuto tirarle un bel ceffone, invece quel 24 dicembre mi limitai a tener vivo il silenzio, mentre lei spolpava il mio gruzzolo. Cercai di tossire il meno possibile, inghiottendo il dolore e altro ancora. Carla non doveva capire che ero spacciato. Faceva freddo e forse avrebbe nevicato. Il cielo era di nuvole nere sopra la Mole Antonelliana alle nostre spalle.
In ultimo, Carla acquistò una bambola, un pezzo d’antiquariato. Le somigliava e per questo se ne innamorò.
Glielo dissi il mattino del 26. Tossii apposta, perché vedesse il sangue.
Un leggero rivolo di sangue si dipartì dall’angolo sinistro della mia bocca, per scendere lungo il mento e più giù, fino a toccare il pomo d’Adamo.
Carla era più bella che mai nuda e impaurita, era d’una bellezza che solo alcune dee raggiungono. Faceva paura. Perdere una donna così avrebbe significato perdere tutto. Faceva quasi pena leggerle in faccia che un giorno sarebbe potuto capitare a lei di perdere la salute e di conseguenza la forza e la bellezza.
“Puoi andartene”, le dissi, asciugandomi le labbra macchiate di sangue.
Lei se ne stava riparata al di là del letto. Mi fissava con i suoi occhi verdi, che non rivelavano il benché minimo accenno di pietà per me.
“Puoi andartene”, ripetei secco.
Lei continuò a fissarmi. Era schifata? Probabilmente sì.
“Non è un virus, non è tubercolosi. E’ un bel niente. E’ il tumore ed è solo mio. Mi spiace, non posso condividerlo con te”, le spiegai con voce robotica.
“Sei un poliziotto…”, balbettò.
Mio malgrado le regalai un sorriso paterno: “Non per molto.”
Lei capì e subito trasse un sospiro di sollievo.
Non mi aveva mai amato né rispettato. Mi aveva temuto però, perché ero un poliziotto, fascista per giunta.
“Fa’ una doccia, poi vestiti e vattene”, le ordinai.
Non fiatò.
Mi vestii. Aggiustai il ferro nella fondina ed uscii di casa, con la stessa naturalezza di Pilato dopo aver condannato il Re dei Giudei.

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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4 risposte a L’ultima donna. Un racconto nero di Iannozzi Giuseppe

  1. furbylla ha detto:

    mi lascia sempre una grande tristezza dentro questo racconto e non per la malattia
    Cinzia

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  2. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    E’ un racconto nuovo. Vuoi forse dire che lo hai letto più volte? Immagino di sì dal tuo commento.

    E’ un racconto che non lascia alcuna speranza a nessuno dei protagonisti: è un noir, è proprio nero, come nella migliore tradizione della grande letteratura francese, a partire da Malet fino a Izzo.

    Beppe

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  3. romanticavany ha detto:

    E’ un racconto di una storia triste che addolora, ma addolora ancor di più la mancanza di gentilezza e di rispetto verso chi dichiara la propria malattia. Non conta essere bella ,forte e istruita se poi manca quel minimo di sentimento dell’anima.
    Meglio essere meno appariscenti ed avere un po’ di cuore.
    Buon Pomeriggio King.
    Baciottone ♥ vany

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  4. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    E’ un racconto senza speranza, sul modello di autori quali Malet, André Gide, Izzo. Non c’è nessuna speranza, nemmeno un barlume: è un racconto nero, un noir. Brel e Claudia sono due personaggi egoisti, duri: la malattia c’entra poco o nulla. Sono più degli animali senza anima che non degli esseri umani. La vita li ha forgiati così, duri, incapaci di provare dei veri sentimenti. Pensi che a Brel gliene freghi qualcosa della malattia, del tumore? No, non gliene frega niente così come non gliene frega di Claudia. E Claudia lo ripaga con la stessa moneta. Sono entrambi senza cuore. E’ questo che volevo tratteggiare e credo di esserci riuscito: non hanno un cuore, non hanno sentimenti.

    Baciottone a te, cara Violetta. Dormi bene. ♥

    orsetto beppe

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