Pietro Gandolfi. Intervista all’autore per “Avventura alla stazione di servizio” e “William Killed The Radio Star” – Iannozzi Giuseppe

Avventura alla stazione di Servizio

Pietro Gandolfi. Intervista all’autore

di Iannozzi Giuseppe

Avventura alla stazione di servizio - Pietro Gandolfi

Avventura alla stazione di servizio – Pietro Gandolfi

€ 0,99 (ma gratis per kindleunlimited‬) “Avventura Alla Stazione di Servizio” di Pietro Gandolfi – Dunwich edizioni

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1. Pietro Gandolfi, la tua biografia è piuttosto scarna. Non credi sarebbe il caso di raccontarci qualcosa di te?

Pietro Gandolfi

Pietro Gandolfi

Ciao a tutti e grazie a te, Giuseppe, per l’opportunità che mi offri. Chi è Pietro Gandolfi? Bella domanda, alla quale posso rispondere in maniera semplice: sono un sognatore che attraverso la scrittura ha trovato la maniera ideale di raccontare i propri incubi. Sono appassionato di tutto ciò che è horror (libri, fumetti, film), di musica e ancora fumetti, intendo quelli “normali”. Canto in una band Heavy Metal, i Bringer of War, e scrivo, scrivo, scrivo. Lo faccio da tanto tempo, ma prima anche solo di proporre in giro il mio materiale ho cercato di maturare il più possibile. Con tanta umiltà mi sono fatto consigliare da alcuni professionisti, ho individuato le mie debolezze e dopo avere lavorato ancora ho deciso di mettermi in gioco. Ho pubblicato su diverse antologie (Il paese dell’oscurità, Poker d’orrore, Un assaggio di Dunwich, Urban Italian Legend volume II e alcune pubblicazioni locali); un mio racconto è comparso sul numero 6 della rivista Splatter. Ho pubblicato l’antologia personale Dead of Night e i romanzi La ragazza di Greenville e William Killed The Radio Star; è appena uscito in digitale Avventura alla stazione di servizio e ho pubblicato in proprio il romanzo breve Who’s Dead Girl? che vendo durante le fiere. A marzo uscirà il numero 0 della mia prima serie a fumetti, The Noise, in occasione di Cartoomics, a Milano. E ho ancora il cassetto pieno di materiale inedito!

2. Quali sono gli autori, classici e non, che nel corso degli anni ti hanno influenzato nella scrittura ? Per quali motivi?

Dunwich EdizioniPosso tranquillamente dire che se non fosse stato per Richard Laymon, Clive Barker e le antologie Splatterpunk e Il libro dei morti viventi, con ogni probabilità non scriverei. Forse avrei continuato a visionare film dell’orrore e basta. Il fatto è che altri autori più classici mi hanno sì influenzato, ma mi è sempre parso mancasse qualcosa, forse il coraggio di arrivare fino in fondo. A volte è bello lasciare intendere, giocare con un’atmosfera palpabile, ma quando la storia ti colpisce nella parti basse… be’, è lì che comincia il divertimento. Quello che cerco di fare io è propri questo, creare una base solida, l’atmosfera cui facevo riferimento, ma senza che questo comprometta il mio bisogno di sputare in faccia al lettore. Nella vita penso che certe cose vadano dette, senza girarci attorno, con la scrittura adotto la stessa filosofia.

3. Perché hai scelto di cimentarti con l’horror e non con un altro genere letterario?

Perché l’horror è la mia passione da quando ho otto anni. Magari all’inizio si è insinuata senza far troppo rumore, ma anche durante la mia formazione, quando mille interessi si accumulavano nella mia testa, quel vero, primo amore non è mai venuto a mancare. A un certo punto della mia vita mi sono trovato costretto a prendermi una pausa e quando ho terminato di leggere quello che avevo in casa ho sentito l’esigenza di concretizzare il mio flirt con la scrittura, solo occasionale fino a quel momento. Non ho dubitato per un solo istante riguardo cosa mettere su carta, era già dentro di me, aspettava solo l’occasione di uscire. Ancora oggi, se mi capita di scrivere qualcosa che deragli dal percorso iniziale, finisco sempre col tornare a quel primo obiettivo. Orrore, puro e violento.

4. Pietro Gandolfi, “Avventura Alla Stazione di Servizio” è un racconto lungo, che potrebbe forse essere un romanzo breve. Questo tuo lavoro, a metà strada fra il pulp di Joe R. Lansdale e l’umorismo grottesco di Niccolò Ammaniti, potremmo definirlo (anche) una storia di formazione? Per quali ragioni?

È indubbiamente una storia di formazione. Mi capita con regolarità di descrivere la piccola o grande storia di un’infanzia, perché penso sia durante quell’età che avvengono i cambiamenti maggiori. Fuori e dentro di noi subiamo una trasformazione, non dissimile da quelle narrate anche da gente come Stephen King… ma io cerco di raccontarle filtrate attraverso il mio occhio e lo considero molto più simile a registi come David Lynch o David Cronenberg, e così facendo il mutamento diventa molto più fisico. Lo considero un equilibrio, i miei personaggi vengono sconvolti sia a livello mentale, sia a livello fisico.

5. Il protagonista, Nathan, è un ragazzino di dodici anni. Vive insieme al padre che ascolta musica country e alla madre Sarah, una donna un po’ distratta negli affetti. A Nathan il country non gli garba proprio, né gli piace stare accanto al suo vecchio sempre mezzo ubriaco e preoccupato soltanto di far andare avanti la baracca. Sarah Moore e Mr. Moore non sono di certo dei genitori esemplari. Sono essi caratterizzazione di quel tipo di genitori che non ci si augura di avere?

Diciamo che una buona storia deve sempre partire da premesse tragiche, di conseguenza la scintilla capace di provocare il cambiamento del protagonista deve provenire da ciò che considera male: possono essere i genitori, i compagni di scuola, la società intera… Purtroppo, negli ultimi decenni non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. L’horror racconta questo, quindi si può raccogliere uno spunto qualsiasi, masticarlo e rigettarlo sotto forma di crudele arma narrativa. Per me rimane un modo per fuggire da una realtà che non apprezzo, ma nessuno impiegherebbe molto a trovarci sotto qualcosa di più profondo, analizzandolo per bene.

6. I signori Moore non amano che Nathan resti a casa da solo. Un giorno Nathan è suo malgrado costretto ad accompagnare il padre con il pick-up per sbrigare degli affari. Non un po’ di rock né un po’ di blues. Perché la musica è tanto importante per Nathan? Anche nel tuo romanzo “William Killed The Radio Star” la musica ha un ruolo a dir poco rilevante. In entrambi i tuoi lavori, “William Killed The Radio Star” e “Avventura Alla Stazione di Servizio”, tu, Pietro Gandolfi, lanci strali non poco forti contro il genere country. Potresti spiegare il motivo per cui questo genere musicale sembra non rientrare proprio nelle tue corde e in quelle di Nathan?

Ah, ah… Direi che si tratta di uno di quei casi in cui è proprio il personaggio a parlare. Vedi, io non mi immedesimo a tutti i costi nelle mie creature, anche perché di solito i miei protagonisti e le loro nemesi hanno la tendenza ad agire comunque nel modo sbagliato! Se fossi simile ai bastardi di cui scrivo, mi odierei da solo! Vorrei puntualizzare una cosa, se mi permetti, ovvero il fatto che il mio disordinato percorso come autore mi ha magari portato a pubblicare storie collegate in qualche modo alla musica, ma non è che sia un fattore presente in maniera costante. Ci sono tanti miei racconti e romanzi, magari ancora inediti, dove la musica viene solo accennata o dove è del tutto assente. Detto questo, nel caso specifico della musica country, Nathan la odia perché la vede come la rappresentazione della prigione in cui viene rinchiuso dal padre: il ragazzino, nella sua confusione, è alla ricerca di una via di fuga. Difatti non sa ancora cosa gli piaccia nella vita, ma ha messo perfettamente a fuoco ciò che odia. In William Killed the Radio Star, invece, il protagonista Jazz vede nel country cantato da William Heart una sorta di ipocrisia, perché conosce il musicista e sa bene come per lui il mondo non sia tutto amore per la propria terra, torta di mele e american way of life. Il country, per me, se ascoltato nel giusto contesto è persino piacevole. Sono ben altri i generi musicali che disprezzo e te li nomino senza problema alcuno: la dance, il pop da classifica e in genere tutta la musica commerciale, compresi i casi in cui generi normalmente lontani dai gusti del pubblico vengono imbastarditi pur di essere venduti. Penso che il rap e l’hip-hop, al giorno d’oggi, rappresentino un perfetto esempio.

7. Ben presto Nathan fa la conoscenza di quello che di primo acchito sembrerebbe un ragazzino. Decide di seguirlo e, finalmente, per così dire, diventerà un uomo. William Golding era dell’avviso che “l’uomo produce il male come le api producono il miele”; tu, Pietro Gandolfi, sembri ribadire questa convinzione in “Avventura Alla Stazione di Servizio”. E’ così?

Certo, se l’uomo avesse l’opportunità di agire senza alcun paletto, privo della paura di un qualsiasi tipo di ritorsione nei propri confronti, si mostrerebbe per la bestia che è. C’è anche tanta brava gente, capiamoci bene, ma verrebbe fagocitata dalla crudeltà degli altri in un attimo. E non serve una guerra per capirlo, bastano le piccole azioni quotidiane. Posso impiegare ore e ore a elaborare sofisticati orrori da imprimere sulla carta, ma basta un’occhiata distratta a un telegiornale per rendere il mio un lavoro da principianti. A partire dal modo in cui certe tragedie vengono trattate: il “giornalismo”, soprattutto quello televisivo, sguazza in mezzo a omicidi e stupri. Viene sviscerato ogni più macabro particolare, continuando a parlarne fino alla nausea senza che nessuno si curi dei sentimenti delle famiglie coinvolte. E tutto ciò solo per qualche dato d’ascolto in più. Questa è violenza, è l’equivalente mediale di chi rallenta con l’auto per vedere la vittima di un incidente stradale. Voglio dire, spesso sono coinvolte povere ragazzine che hanno l’unica colpa di essere un po’ troppe carine: grazie a questo sistema non vengono uccise una volta sola, ma innumerevoli. È per questo che, come dicevo, continuo a considerare il mio lavoro una semplice via di fuga, perché la mia è una, spero, splendida finzione, ma resta tale e ne va anche molto fiera. Orrori solo immaginati per dimenticare quelli reali.

William Killed The Radio Star - Pietro Gandolfi

William Killed The Radio Star – Pietro Gandolfi

8. Nei tuoi lavori la componente sesso è sempre molto forte. Anche in “Avventura alla stazione di Servizio” l’iniziazione al sesso è esplicita e violenta. Dico anche, perché in “William Killed The Radio Star” ho notato degli elementi rielaborati forse da “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris. Quanto è importante la componente sessuale per fare letteratura e dar corpo alle nevrosi della società odierna?

Perché il sesso rimane l’unico mezzo per sconvolgere il lettore. Potrei spendere pagine e pagine a descrivere scene splatter e morti atroci, ma il loro effetto sarebbe comunque minore rispetto al sesso “malato” con cui infarcisco le storie, soprattutto perché ormai ci siamo abituati a vedere sangue e budella in qualsiasi contesto, anche al di fuori del genere horror. Viviamo in una società dove il sesso viene visto ancora come qualcosa da nascondere, qualcosa di sporco di cui vergognarsi e allora io lo utilizzo come un’arma, un oggetto acuminato con il quale colpire a più riprese. Perché fa male, perché ferisce le persone nella loro dimensione più intima, più debole. E anche qui, io come persona, posso tranquillamente affermare di vedere invece il sesso come qualcosa di normale ed equilibrato, ma basta davvero poco per tramutarlo nel peggior elemento della vita di chiunque. Buona parte del mali di cui parlavamo prima è causato proprio dal sesso, dal fatto di viverlo nel modo sbagliato, perché è quello che ci insegnano, cadendo in errore.

9. Che ruolo gioca la musica nel tuo modo di affrontare la scrittura e la vita quotidiana?

Sorprendentemente, ti dico che la musica non è presente 24 ore su 24 nella mia vita: come spiegavo, quando scrivo, quando leggo, quando guardo film, quando esco con gli amici non necessito di parlarne sempre. Il mio look porta tanta gente a sentirsi quasi in obbligo di discuterne costantemente: non che mi dispiaccia, ma ci sono anche tante altre cose che fanno parte di me. Detto ciò, la musica è stata importantissima negli anni della mia formazione, mi ha salvato innumerevoli volte e scandisce il trascorrere degli anni. Senza di lei, sarei una persona diversa. Mi ha aperto la mente e mi aiuta a trovare una valvola di sfogo. Quando scrivo… esigo il silenzio assoluto!

10. Come nascono le tue storie? Da chi, da dove, da cosa trai ispirazione?

Le idee, in genere, arrivano dal nulla, dalle più banali considerazione riguardo notizie, fatti, storie lette altrove. Poi bisogna coccolarle e farle crescere: di solito lo fanno in maniera indipendente e quando raggiungono la maggiore età, diciamo, vuol dire che è giunta l’ora di scriverle, di dare loro una forma definitiva. In genere comincio una storia e la porto alla fine, ma non è sempre così scontato: a volte le mie creature inciampano, si fermano, ripartono, si inabissano per sempre, ma restano comunque mie. Ne vado fiero e cerco di capire quale possa essere la dimensione ideale per ognuna di loro: un romanzo, un racconto, una sceneggiatura…

11. Perché scegli personaggi e ambientazioni prettamente americane? Hai mai pensato di scrivere una storia horror scegliendo di ambientarla in Italia?

Il primo racconto che ho pubblicato, Necropoli, è tutto italiano. Su Dead of Night ce ne sono altri esempi. Poi ho tanti inediti, fra i quali anche un romanzo ambientato a Milano; con i racconti potrei realizzare una dignitosa antologia. Diciamo che ambiento una storia in Italia quando è necessario sia ambientata qui, per ragioni di trama, per favorire certe meccaniche o perché un luogo mi ha ispirato particolarmente. Quando invece decido di ambientare una storia all’estero lo faccio per far crescere la mia mitologia personale: la gran parte delle mie vicende si svolge all’interno della mia geografia fittizia costituita da piccole o grandi cittadine. Tutte hanno una loro identità e si adattano a una determinata storia: anche i personaggi si incrociano oppure a volte compio solo qualche riferimento, qualche strizzata d’occhio al lettore. Tutto ciò sarà più comprensibile un giorno quando, spero, gran parte del mio materiale sarà pubblicato. È una specie di grande affresco. Ah, e poi c’è da stabilire anche l’ambientazione temporale e la cronologia… Insomma, ciò che scrivo è tutto perfettamente fruibile a sé, ma se si desidera scavare più a fondo si scoprono tante chicche. È un meccanismo ereditato dal fumetto americano e regala all’insieme molto più sapore.

12. Stai già lavorando a un nuovo progetto? E se sì, avresti voglia di parlarne?

THE-NOISE

THE-NOISE

Al momento continua la mia collaborazione con la casa editrice Dunwich, una realtà assolutamente professionale all’interno della scena italiana, una piccola oasi di felicità, diciamo. Ma al di là di ciò che pubblicherò con loro, ho disponibile tanto altro materiale: racconti, romanzi e romanzi brevi, quest’ultima una formula con la quale mi trovo a mio agio, ma abbastanza difficile da piazzare sul mercato. Rinnovo l’invito alla fiera di Cartoomics, a Milano: sarò presente per promuovere il fumetto The Noise, disegnato da Nicola Genzianella – il disegnatore di Dampyr, mica il primo che passa! – ma avrò anche i miei libri e sarò ben lieto di parlarne con chiunque vorrà passare a trovarmi. Per me il contatto con i lettori è importantissimo e cerco di essere presente a quanti più eventi possibile. Ne approfitto anche per indicare la mia pagina facebook, il mezzo principale per parlare con i miei esserini, come li ho battezzati. E permettimi di ringraziarti ancora per la disponibilità, se in Italia ci fossero più figure attente come lo sei tu, il mondo della letteratura sarebbe un posto migliore. Il mio scopo è quello di far comprendere alla gente cosa ci sia dietro il nome Pietro Gandolfi, mi piacerebbe che bastasse imbattersi nella mia firma per comprendere quello che faccio, al di là del genere. È per questo che tento di allargare il mio campo d’azione, senza limitarmi ai libri. E ogni giorno, grazie a professionisti come te, il mio intento è un poco più semplice da realizzare. Grazie a te, Giuseppe, e a chiunque investirà del tempo leggendo questa intervista e magari azzardando l’acquisto di un mio libro. Horror Rules!

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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2 risposte a Pietro Gandolfi. Intervista all’autore per “Avventura alla stazione di servizio” e “William Killed The Radio Star” – Iannozzi Giuseppe

  1. furbylla ha detto:

    questa intervista mi è piaciuta tantissimo anzi spero di spiegarmi perchè non vorrei essere fraintesa è difficile trovare chi risponde così diretto e senza tanti giri di parole a volte mi è scappato un sorriso di approvazione sia per quel che vi era come risposta alle tue domande sia per il come il concetto veniva espresso. Sono incuriosita veramente e lo acquisterò Complimenti ad entrambi
    Buona serata
    Cinzia

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  2. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    E’ una gran belle intervista, del resto come tutte le interviste che faccio. 😉
    Ma parliamo invece di Pietro Gandolfi: leggi, vai sul sicuro, compra pure tranquillamente i suoi libri. Ci metto la faccia e il mio buon nome. Quando propongo un libro è perché è veramente valido, perché scritto bene, perché bello sotto ogni profilo. Evito di proporre banalità. Come hai potuto leggere nell’intervista, Pietro Gandolfi è proprio un gran bel personaggio, molto simpatico per altro, cosa che non guasta affatto. E suona pure in un gruppo heavy.

    Acquista anche “William Killed The Radio Star” e non solo l’ebook bellissimo “Avventura alla stazione di servizio”.

    Bacione e grazie per aver letto con così tanta attenzione l’intervista a Pietro, cui auguro tanta fortuna

    beppe

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