VENDETTA
4a parte
di Iannozzi Giuseppe

Elysian Fields by Chatterly
Elysian Fields è opera di Valeria Chatterly Rosenkreutz
Qui la 1a parte: VENDETTA – di Iannozzi Giuseppe– 1a parte
Qui la 2a parte: VENDETTA – di Iannozzi Giuseppe – 2a parte
Qui la 3a parte: VENDETTA – di Iannozzi Giuseppe – 3a parte
X.
Devo portare a termine quello che ho iniziato. Io non ho aperto bocca, sono stato di parola, ma loro hanno fatto fuori Melissa, l’hanno fatta a pezzi.
Non me ne frega niente del ginocchio, è soltanto un’altra cicatrice. E, in ogni caso, da questo posto nessuno uscirà vivo.
Non cerco di nascondermi come un animale ferito. Sarebbe un errore. Mi stanerebbero in quattro e quattr’otto. Meglio affrontarli a viso scoperto e sia quel che sia, ma alla mia maniera. Alla mia maniera.
“Chi diavolo sei tu?”, esplode all’improvviso una voce.
Non rispondo.
“Chi sei, dannato?”, ripete la voce.
Questa volta rispondo: “Il vendicatore.”
Quello ride forte. Si capisce però che ha paura.
Un mare di luce m’investe.
I riflettori sono tutti puntati su di me.
“Non conosco te, ma non uscirai vivo”, sbraita.
“Io invece ti conosco e nemmeno tu uscirai vivo.”
Quello mette su una faccia perplessa.
“Tu conosci me?”
“Melissa.”
Non connette. Ha già dimenticato.
“L’avete fatta a pezzi.”
Mi fissa stranito.
“Lavoravo per voi. Non sapevo, poi ho visto… Ho tenuto la bocca chiusa.”
Un lampo gli illumina gli occhi.
“Noi mantenuto promessa. A te non ti abbiamo toccato. Ma dovevamo essere sicuri. La parola oggi vale così poco, non trovi?”
Vorrei far esplodere tutta la rabbia che ho in corpo, devo però restare freddo: solo così potrò dar corso alla mia vendetta.
“Adesso muori, tu e tutti gli altri.”
Quello scoppia a ridere, un’altra volta. Ride forte.
Alle sue spalle si materializzano altri tre figli di puttana. La mafia albanese.
Cominciano a sparare a raffica. Sono pistole vecchie, col caricatore.
Alcuni proiettili mi feriscono di striscio. Recupero il coltello disseppellendolo dal cranio di quello che ho fatto fuori.
“Tu senza pistola. Tu grande idiota”, bercia uno.
Rotolo sul freddo pavimento come se fossi avvolto in un tappeto. E prima che se ne rendano conto sono ai loro piedi, sotto la punta delle loro dannate pistole. Carico tutta la forza sulla gamba buona e mi porto davanti a loro, faccia a faccia. Quelli sbiancano, non hanno capito un cazzo. Mi avevano già dato per morto. E il mio coltello assetato di sangue squarcia due gole. Il terzo fa in tempo a evitare la mia lama e fa esplodere due colpi a bruciapelo quasi. Non cado. Non posso cadere.
Non ci crede che sia ancora in piedi dopo avermi cacciato nelle budella due, tre proiettili. Spara ancora, ma l’automatica gli s’inceppa. E lui finisce con la gola tagliata.
XI.
“Adesso siamo Adamat e te.”
“Sei morto, Adamat”, sentenzio sputando sangue.
“Tu morto. Dimenticato di cadere, solo questo.”
“Vediamo chi cade per prima”, lo sfido.
Sento la canna della pistola sulla fronte.
“Così è troppo facile, Adamat. Non è da uomini.”
“Io grande uomo”, sbotta.
“Devi dimostrarlo.”
Lui sorride mettendo in mostra una chiostra di denti marci: “Tu ricorda a me tuo nome.”
“Alex.”
“Alex”, ripete lui lasciando cadere al pistola a terra. “Come vuoi Alex, come vuoi…”.
Lascio cadere il coltello ai miei piedi.
XII.
Non ho possibilità contro Adamat, non così, più morto che vivo.
Gli basta uno sgambetto per farmi volare a terra.
Subito una tempesta di calci mi investe: Adamat colpisce con tutta la forza che ha. Posso solo stringere i denti e raccogliermi in posizione fetale.
Ride il coglione, ma verrà all’inferno con me.
Sto morendo e non vedo nessuna luce e non c’è neanche Melissa a tendermi la mano.
Stringo i denti più che posso.
Se voglio farlo secco, ho una sola possibilità: lasciarlo sfogare affinché si stanchi.
Non è facile. Non è difficile come uno potrebbe credere. Quando hai perso tutto, il dolore fisico non è più cosa che ti appartenga.
E’ una macchina mortale Adamat.
Non si risparmia.
Il suo piano è semplice quanto stupido: farmi fuori a forza di calci.
Lo sento imprecare e ansimare.
Quando si è tanto tanto vicini alla morte o non si sente più niente o ogni suono è amplificato.
E’ essere così vicino alla morte a darmi la forza di rialzarmi di scatto.
Adamat è sudato marcio. E’ stanco.
“Tu morto!”, bofonchia. Gli manca il fiato. Non ce la fa più.
Gli salto addosso e come un lupo rabbioso lo azzanno alla giugulare. Sferra uno due tre pugni contro il mio cranio. Sento il sapore del sangue di Adamat. Mi inebria. Strappo carne, vene, nervi: i denti sono coltelli assetati di vendetta.
Il corpo di Adamat ha le convulsioni. Durano poco.
Lo sento morire, lo guardo mentre la sua sporca vita si spegne per sempre. Lo guardo dritto negli occhi e vedo che ha capito pure lui che non ci sarà né un Paradiso né un Inferno ad attenderlo.
E’ finita!
Epilogo
Non ricordo più che faccia avesse Melissa.
Non ricordo il suo sorriso.
Non ricordo se era bella.
Non ricordo.
Ricordo il suo nome. Ricordo che era la mia gioia.
Non ricordo altro.
Sono in una pozza di sangue.
La vita fluisce via dal mio corpo a pezzi con estrema lentezza; par quasi che il corpo non voglia arrendersi all’evidenza nonostante la mia mente sia già pronta a spegnersi.
Mi manca Melissa.
Non ricordo niente di lei. E’ questo a farmi male sul serio. E’ solo questo a farmi male.
La mano cerca il coltello che ho lasciato scivolare a terra. E lo trova.
La vendetta ti trascina in un turbinio di emozioni violente cancellando nel cervello la memoria… ti rimane solo quella spinta irrefrenabile e quasi una vaga sensazione di cosa veramente ti ha spinto a questo.. ma lei quel desiderio così forte che prima di tutto distrugge te rimane dentro anche quando ormai è solo una stupida cosa
cinzia
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In effetti è proprio quel che accade. Ho dato fondo a un po’ tanti stereotipi per scrivere questo breve thriller. Perché l’ho fatto? Per dimostrare a me stesso, ma non solo, che scrivere thriller è facile, fin troppo facile, perlomeno per me. E’ il thriller quel genere popolare che oggi va per la maggiore. Ma tutti gli autori fanno largo abuso di cliché, e par che il pubblico non se ne renda conto. I soli thriller d’una indubbia originalità che ho letto in questi ultimi sono quelli di Giorgio Faletti.
In ogni caso, la vendetta azzera tutti i sentimenti e azzera anche la memoria, così come capita al disgraziato protagonista di questo breve thriller. Se sia stata la sua una lotta vana o no, lo lascio decidere al lettore. Come avrai notato non dico, in maniera esplicita, se alla fine muore o no. Accarezza il coltello però. E’ sicuramente d’attualità questo scritto, evidenzia di fatti un po’ tanti drammi di questo nostro medioevo tecnologico: la violenza sulle donne, il traffico degli organi, la permutazione della mafia (qui si parla di quella albanese), la precarietà e quindi la mancanza di lavoro, il suicidio di tanti imprenditori, etc. etc.
Grazie infinite per aver voluto finire di leggere questo racconto lungo lungo, che, per forza di cose, ho dovuto spezzare, perché altrimenti, tutto in una botta, non se lo sarebbe filato nessuno, disabituata com’è la società a leggere. A qualcuno questo racconto potrebbe persino sembrare un romanzo breve.
Bacioni ❤ ❤ ❤
beppe
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come avrei potuto non farlo, leggerlo intendo a parte che mi erano piaciute le parti precedenti ero rimasta lì come “una ciocca” in attesa ahahaha
bacione e buon pranzo
cinzia
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Grazie infinite, Cinzietta. Grazie davvero perché mica so quanti altri lo avrebbero fatto, tanto più che, per una serie di contrattempi, ho dovuto pubblicare con un certo ritardo. E di questo mi dispiace, ma avevo degli impegni a cui ottemperare.
Infatti ho sempre lasciato “la seconda parte” in evidenza fino a che non ho avuto tempo e modo di pubblicare la 3a e la 4a parte. Magari ne faccio un pdf per il download gratuito di questo mio primo e ultimo thriller.
bacione
beppe
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