Nome al tavolo Blackjack. Valter Binaghi – recensione di Iannozzi Giuseppe

Nome al tavolo Blackjack. Valter Binaghi

Non siamo orologi svizzeri; e forse che sì
forse che no, siamo comunque qui per giocare

di Iannozzi Giuseppe

Valter Binaghi - nome al tavolo blackjack

Valter Binaghi – nome al tavolo blackjack

Gruppo Perdisa Editore
Collana Corsari
Pagine, 248
Prezzo, euro 16,00
Isbn 978 88 8372 624 8

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Perdisa POP editoreIl gioco, la vita. Scegliere le carte dal mazzo. Scartare quelle che, in teoria, non sono adatte alla nostra mano. Giocare d’azzardo, per vincere. Talvolta per perdere anche, con consapevolezza. La vita non è poi tanto diversa, un gioco crudele dove a vincere non sempre è il più forte e astuto, il più intelligente e preparato. Credi d’avere in mano la carta giusta, la più alta, quella che sbaraglierà gli altri giocatori (avversari), e all’improvviso scopri che così non è, e perdi tutto quello che avevi. Le carte le guida il destino e noi possiamo soltanto giocare contro di esso nel tentativo di rovesciarlo. L’ultimo romanzo postumo di Valter Binaghi, Nome al tavolo Blackjack (Gruppo Perdisa Editore), evidenzia proprio questo: che tu creda o no in Dio, alla fine è lui a farti vincere, o perdere, grazie al libero arbitrio, a patto però che sia tu cosciente che sempre c’è un disegno che Dio ha voluto per te, per quello che realizzerai e per quello che invece no.
Non è forse il capolavoro di Valter Binaghi Nome al tavolo Blackjack, ma in un certo qual modo è la sintesi del suo pensiero, della sua filosofia di vita, dell’incertezza che sempre domina le scelte umane. Il libero arbitrio è sì dono di Dio ai suoi figli, ma abusare d’una libertà conduce al vizio che, alla fin dei conti, a ben vedere, è una forma di schiavitù. Bene lo evidenzia Binaghi nel suo romanzo Nome al tavolo Blackjack, un lavoro che mette in gioco la vita, il rischio di vivere e di tentare la sorte, perché nonostante tutti i calcoli che un giocare possa fare per vincere al tavolo sempre gli mancherà la carta fondamentale, quella più alta. E però non basta avere in mano la carta vincente e vincere una due tre volte. Quando sei al tavolo incontri bari e bastardi, calcolatori umani e anche chi si può permettere di perdere milioni di volte perché con un impero finanziario (inesauribile) alle spalle.

«Non puoi fidarti del Croupier, delle carte che smazza con sapienza. Nemmeno di un mazzo di carte nuovo, sigillato con la ceralacca alla fabbrica e aperto lì, davanti al tuo naso. Fare il giocatore d’azzardo vuol dire non doversi fidare, per tutta la vita, di nulla e di nessuno: e non poterlo raccontare, mai. È questo vuoto pneumatico che affossa, uno dopo l’altro, la maggior parte dei giocatori. Non resistono all’idea che l’incertezza dovrà accompagnarli sempre e comunque, che senza di quella sono morti, e prima o poi si aggrappano alla scaramanzia, ai teoremi, alla Martingala del raddoppio metodico, a sistemi che non funzioneranno mai e che anzi li fotteranno, perché sono false certezze che ti fanno abbassare la guardia.»
Un romanzo che è metafora dell’umano esistere coniugato in chiave noir: «Se, a un tavolo al quale vi state giocando la ‘vita’, le carte fossero marchiate con quei nanocazzilli maledetti, chi ha architettato la faccenda saprebbe, sempre e in anticipo, quali carte state utilizzando. Potrebbe decidere come e quando farvi vincere o perdere. Vi metterebbe il guinzaglio e vi farebbe passeggiare, come un barboncino al parco per un paio d’ore, prima di darvi la mazzata. Ignari del tutto, non avreste alcuna possibilità di schivarla. »
Milano, città grigia, città che nell’immaginario collettivo rappresenta il fulcro della grande economia, città di affaristi e speculazioni, città di invidie diaboliche, di razzismi leghisti, e di Tangentopoli. Blackjack è un professionista, non un dilettante. Quando siede al tavolo è per giocare, è per vincere contro la vita, per avere un guadagno sicuro. Una volta al tavolo Blackjack è solo e gioca per sé sfidando croupier e giocatori, sfidando Dio anche.
Valter Binaghi racconta con l’amaro in bocca. Da bravo artigiano di parole sa bene che queste sono come le carte da gioco e che possono combinarsi in milioni di modi diversi per dar anima e corpo a una storia sempre differente. Lo stile è secco, schietto, senza sbavature e per certi versi ricorda quel destino ridicolo che Fabrizio De André e Alessandro Gennari hanno raccontato in “Un destino ridicolo” (unico romanzo del poeta-chansonnier anarchico, scritto a quattro mani con l’amico Alessandro Gennari: “Il destino parla di tre uomini, d’una girandola di personaggi raccolti in una metaforica Trinità, un intellettuale marsigliese passato dalla Resistenza alla malavita, un pappone sognatore e indolente e un pastore sardo che ha alle spalle una pesante condanna da cui è fuggito. Insieme organizzano il furto d’un carico di merce: una trinità di uomini che sembrano essere agli antipodi per carattere e ideali e che, invece, potrebbero essere idealmente un’unica geografia umana, una sola persona, una Trinità. Tre uomini lontanissimi che il destino riunisce a Genova per il colpo della vita ‘alla vita’. Poi ci sono anche due donne, una prostituta dell’angiporto e una istriana che, a dispetto della Trinità disegnata da Fabrizio De André e Alessandro Gennari e del disastro cui va incontro (la Trinità), aspettano e intanto se la ridono per quegli uomini tormentati da un destino troppo ridicolo per essere considerato espressione della libera religiosità umana.”)
In Nome al tavolo Blackjack c’è anche una donna, misteriosa: «“Un paio di volte è arrivato con lui alle porte dell’Inferno, e poi se n’è andato, lasciandogli due piatti da delirio. Sembrava quasi che volesse farlo vincere”.
Bastardo, penso. Schifoso bastardo, lo so io perché.
“E… la ragazza? La nuora del Redi?”
“Seduta, impassibile per tutto il tempo. Non ha degnato di uno sguardo la partita. Forse pensava ad altro» e ammicca, lo stronzo.
“Chi c’era oltre a lei, nel pubblico del Redi?”
“Un tizio largo come un armadio, con la faccia da pugile”.
Il tirapiedi, niente di nuovo.
“Alla fine?”
“Se ne sono andati tutti e quattro insieme. La ragazza e il forzuto dietro, il Redi e Werner davanti in buona armonia, come se fossero vecchi amici. Ci capisci qualcosa?”
“Sì. Fin troppo”.
“Senti Blackjack, mi sembri giù di corda. Qui a due passi c’è un posticino con ragazze dell’est veramente fantastiche, andiamo a resuscitare Lazzaro, eh?”
Rifiuto educatamente e ringrazio. Pago il conto, più un caffè doppio al bar.»
Non manca il mistero in Nome al tavolo Blackjack, un mistero che il personaggio principe di questo noir di Valter Binaghi dovrà risolvere per salvare sé stesso! «È solo adesso, mentre penso a Edith, a Carla, a Giorgia, a questi sceneggiati in cui ho recitato tutte le varianti dell’attor giovane e del pirata, che mi rendo conto di quanto sono fregnone e mentitore di me stesso, io che racconto a tutti di essere un cavaliere di ventura e sono prevedibile quanto un orologio svizzero.»
Con misurata ironia agrodolce, Binaghi par quasi voler suggerire al lettore che, alla fin dei conti, siamo tutti dei mentitori, cavalieri di ventura, e purtroppo quasi sempre prevedibili nonostante le tante maschere pirandelliane che indossiamo per farci strada in quella ‘selva oscura’ sì tanto bene disegnata da Dante Alighieri.
Si è detto che non è forse questo il capolavoro di Valter Binaghi; attenzione però, perché in Nome al tavolo Blackjack c’è lo spirito filosofico più disincantato e maturo dello scrittore e dell’uomo. Binaghi ci consegna infatti il suo lavoro più profondo, più realistico e disarmante, raccontando con voce colma di pietas gli accadimenti più sfrontati e al tempo stesso più sinceri dell’esistenza. Non è un “orologio svizzero” Blackjack, è però, nelle sue imperfezioni, un ritratto encomiabile della società che, giorno dopo giorno, ci sforziamo di combattere per non affondare nell’oblio, nella dimenticanza di noi, nel nostro disperato bisogno di umanità. Da leggere e da meditare, assolutamente.

Valter Binaghi (14 luglio 1957 – 12 luglio 2013) è stato insegnante, musicista e scrittore. Negli anni Settanta si è occupato di controcultura e movimenti giovanili come redattore della rivista “Re Nudo”. Tra i suoi libri ricordiamo: La porta degli innocenti (Dario Flaccovio, 2005); I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano (Sironi, 2007); Devoti a Babele (Perdisa Pop, 2008); Ucciderò Mefisto (Perdisa Pop, 2010); Johnny Cash, The Man in Black, con Francesco Binaghi (Arcana, 2010); La sposa nera (Senza Patria, 2010); Dieci buoni motivi per essere cattolici, con Giulio Mozzi, prefazione di Tullio Avoledo (Laurana, 2011); Melissa, la donna che cambiò la storia (Newton Compton, 2012).

Informazioni su Iannozzi Giuseppe

Iannozzi Giuseppe - giornalista, scrittore, critico letterario - racconti, poesie, recensioni, servizi editoriali. PUBBLICAZIONI; Il male peggiore. (Edizioni Il Foglio, 2017) Donne e parole (Edizioni il Foglio, 2017) Bukowski, racconta (Edizioni il Foglio, 2016) La lebbra (Edizioni Il Foglio, 2014) La cattiva strada (Cicorivolta, 2014) L'ultimo segreto di Nietzsche (Cicorivolta, 2013) Angeli caduti (Cicorivolta, 2012)
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4 risposte a Nome al tavolo Blackjack. Valter Binaghi – recensione di Iannozzi Giuseppe

  1. Blackjack ha detto:

    Beppe: grazie. Credo che tu abbia colto nel segno.
    Blackjack

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  2. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Caro Blackjack, ho solo fatto quello che dovrebbe sempre fare un bravo critico: arrivare al cuore di una narrazione per evidenziarne il quid profondo.

    Felice davvero che la recensione non ti sia dispiaciuta.

    Un forte abbraccio a te e a Valter, che da lassù forse ci sta ora leggendo.

    beppe

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  3. Felice Muolo ha detto:

    Ho letto l’estratto. E’ veramente forte. Sicuramente comprerò il libro.

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  4. Iannozzi Giuseppe ha detto:

    Bravo, Felice. E’ forte, veramente forte, hai detto bene.
    Direi che è un libro che rientra pienamente nelle tue corde. Dovresti leggerlo davvero. E io mi auguro di sì, perché su tutto quello che recensisco ci metto il mio buon nome di critico. Se non è valido, puoi esser certo che non propongo la lettura a chi mi segue fidandosi di me.

    Un abbraccio forte forte

    beppe

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