Come Cyrano
di Iannozzi Giuseppe

Cyrano
Il tuo astio
Con quelle tue parole
che da tanto sospettavo
pronunciassi in sentenza,
il fiato in due hai tagliato
quand’era ancora
dentro al petto mio,
non buono non cattivo
Poche parole,
poche davvero
E non c’è
carezza di pietà che mi tolga
dall’occhio la lacrima infinita
Silente resisti
Non un singulto,
silente resti;
e paonazzo per te divento,
a ogni secondo più impotente
Ai tuoi piedi cado
nudo
dannato
morente;
e lo sento bene
il tuo muto astio
Con quelle due parole
Con quelle tue parole
d’addio vuote di poesia
Sempre più cianotico divento
e davanti a te rimango,
attendendo l’ultimo secondo
Con quelle due parole
Con quelle tue parole
Con quelle due parole
Lady Luna
Quante volte ho fatto a botte
con l’acquasanta
vestendo
il rosso
– che dicono sia del diavolo –
e una bocca di trentadue denti
Su lividi tramonti
vuoti d’allegria
fu inciso il destino mio
Lungo i Sette Mari
ho cercato Sirene e Venti
E sempre sotto la Luna
ho cantato ebbro;
e salse lacrime
m’han segato il viso
Sino a Babilonia mi son spinto,
cercando fra le macerie
una parola o un volto amico
che m’insegnasse Poesia;
e di Dio la faccia irata
subito ho incontrata,
la bocca spalancata come fornace,
cosicché indietro ho mosso il passo
ma non prima d’aver gridato la collera,
la fragilità dell’Ebreo Errante
E anche Dio ha piegato il ginocchio,
lo giuro che così è stato
Tu, Luna, che luce diffondi,
or dimmi la Verità,
dimmi se speme è giusto nutrire,
se dopo tanti e tanti anni
ancor son qui e son sempre io
non diverso e non migliore,
soltanto più stanco
del lungo vagabondare
Ora non tacere
Il dubbio dissolvi,
adesso e per sempre,
o giuro che mai più mi troverai
di fronte a te in ginocchio
Lady Chatterly
Ti scriverò un pensiero banale
Ti dirò che manchi alla Gioia,
che il tuo animo innamorato
anche sotto l’ombra dei giorni
dall’autunno alla primavera
oggi in questa Casa manca
Non ho idea di quale malia
t’abbia colta nel fior degli anni
Nulla so e tutto temo
come il cieco che scopre il buio
d’improvviso, e dal panico
quasi si soffoca coll’aria
che giù nei polmoni butta
tutta d’un sol fiato
Vorrei poter darti una lama di cielo
per tagliare quei lacci che ti legano,
che prigioniera ti tengono
fra scogli faraglioni e chissà
quali altri perigli
La Clessidra è uguale a come l’hai lasciata
e il Pipistrello osserva la più pallida dieta
Tutto è uguale a ieri, tutto è banale
ma la Casa senza di te è così vuota,
così vuota che fa paura viverla
Qualcosa di Te
E tu chi sei, Bella fra le Belle?
Non credo di conoscerti,
non ancora, ma vorrei tanto
ma davvero tanto saper di te,
dei sogni che all’alba fai
e di quelli che il tramonto
ti porta dentro agli occhi
appena un poco grevi di sonno
Tu chi sei, fata o elfo?
Di certo un animo gentile
Così io spero di trovarti ancora
lungo il mio cammino
perché alfine lo si possa
insieme proseguire
Fra i tuoi seni
Hai perso il senno
Sulla Luna credevi
di poterlo raccogliere
insieme a quello
d’un uomo
ch’era piuttosto famoso
in un dì ormai lontano
– da tutti dimenticato;
e invece solo
hai scoperto
che pazzia chiama
pazzia, piena pazzia
che i mari fa incollerire
e gli amori morire
nel mezzo di procelle
senza nome
Povera Fanciulla
E’ verme strisciante
quel luccichio negli occhi
che ogni mattina
allo specchio ritrovi
insieme all’imago tua
Povera, povera Anima
che le notti tutte vivi
a lume di candela
plorando per la Croce
– danzante stella –
fra gli acerbi seni
non ancora sfiorati
da mani innamorate
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